Dichiarazione di Alfredo Cospito per l’appello del processo Scripta Manent a Torino, 9 settembre 2020
La dichiarazione che segue è stata fatta dal compagno anarchico Alfredo Cospito durante l’udienza del 9 settembre 2020 nel processo d’appello di Scripta Manent, a Torino.
Avrei voluto tacere e lasciar parlare unicamente il mio avvocato (che è più che capace), ma visto che è stato fatto scempio delle mie idee e che addirittura mi sono state messe in bocca parole che non ho mai pronunciato sono costretto ad intervenire direttamente in prima persona.
Per noi anarchici il fine non giustifica i mezzi, crediamo fermamente nell’eticità dei mezzi che usiamo, per noi sono i mezzi che giustificano il fine, non il contrario.
Per questo devo ribadire che non ho fatto mai apologia di stragi o di stragismo (come ha sostenuto in un’udienza passata Sparagna). Il PM si confonde, confonde volutamente il “terrorismo” con lo “stragismo”.
Due brutte parole (indubbiamente): una mi appartiene, il “terrorismo”, l’altra mi è totalmente estranea, lo “stragismo”.
(Apro una breve parentesi sul “terrorismo”).
Sparagna, per creare il mostro (“l’anarchico sanguinario”, il sottoscritto per capirci) ha pescato nel contesto di molti miei scritti, estrapolando frasi a casaccio. Frasi che sono il frutto di una diatriba (di uno dei tanti dibattiti) che attraversa il nostro movimento, “la legittimità dell’utilizzo o meno del termine ‘terrorismo’ in ambito anarchico”. Per chi anarchico non è, è difficile comprendere la passione con la quale noi anarchici ci scontriamo su certi temi.
Il senso (reale) di questa discussione sul terrorismo (usata dall’accusa in chiave incriminatoria) in realtà ruota sulla mia convinzione (solitaria, sono praticamente l’unico a sostenere in ambito anarchico una tale posizione)… dicevo, sulla mia convinzione che non debba essere il potere a decidere quale definizione sia giusto o meno usare.
Fin dalle loro origini, gli anarchici hanno usato la parola “terrorismo” (secondo me nel modo corretto) nel vero senso originario: difendere la povera gente dagli sfruttatori, dai capitalisti.
Negli anni ’70, la parola “terrorismo” è caduta in disgrazia, usata solo in modo spregiativo, da tutta la sinistra rivoluzionaria compresi gli anarchici.
Be’! Io come al mio solito ho remato contro, ho messo in discussione il dogma di molti rivoluzionari per il quale solo lo Stato è terrorista. Sia ben chiaro, sono due tipi di terrorismi diversi quello degli Stati e quello degli anarchici.
Il terrorismo anarchico storicamente è figlio del Risorgimento. È figlio, per quanto vi possa scandalizzare, di Pisacane e di Mazzini. Per Mazzini il terrorismo assumeva un significato non spregiativo, parlava senza falsi moralismi di azioni terroristiche, e le organizzava mettendole in pratica. Non sono un ipocrita, almeno questo dovreste concedermelo vista la mia (suicida) mancanza di peli sulla lingua, ho sempre detto quello che pensavo chiaramente senza tanti giri di parole, mettendo concretamente a rischio la mia stessa libertà e temo in questo caso anche quella dei miei coimputati. E quindi con molta chiarezza vi dico che per quanto mi riguarda il terrorismo anarchico non contempla in alcun modo lo stragismo.
Al contrario di quello degli Stati che bombardano popolazioni innocenti, che fanno saltare treni, stazioni, banche colpendo innocenti. Per questo mi sono indignato quando il PM ha detto che io avrei fatto apologia di stragismo, costringendomi ad intervenire, cosa di cui non avevo veramente voglia.
A questo punto vi chiederete: perché non hai preso le distanze da quelle azioni stragiste di cui sei accusato? E qui arriviamo al nocciolo della questione, semplicemente perché sono convinto che non si tratti di stragi. Sono arrivato a queste conclusioni anche attraverso i periti dell’accusa.
Parliamo delle bombe alla Crocetta di cui si sa di più, quelle di Fossano sono un mistero, si parla di un’esplosione con proiettili, ma non c’è alcuna prova che questi “proiettili” ci siano stati, ci sono dei fori in un muro ed una rete curvata, ma nessuno si è scomodato a controllare se effettivamente quei fori fossero preesistenti o causati da quei presunti proiettili (mai trovati), mistero… totale, ma ci ritorneremo su Fossano…
Alla Crocetta sono scoppiati tre ordigni, il primo esplosivo composto di dinamite scoppia in piena notte in una piazza deserta. Seguono in tempi diversi due ordigni composti con della sostanza incendiaria, di bassa intensità, con delle bombolette da campeggio, per capirci quelle piccoline che noi carcerati per protestare facciamo scoppiare, non ucciderebbero neanche se ti scoppiassero in mano.
Il terzo ordigno, che se l’intenzione degli attentatori fosse stata quella di uccidere dovrebbe essere il più forte, riesce a malapena a stappare il coperchio della pentola usata come involucro, e gli stessi periti sostengono che era caratterizzato da scarsa potenza.
Non ci vuole un esperto di esplosivi per capire che chi ha messo quelle bombe non voleva uccidere ma solo spaventare, quindi si tratta indubbiamente di terrorismo ma non di stragismo. Chi avesse voluto uccidere avrebbe fatto esattamente l’inverso, prima quelle piccole poi quella forte con l’esplosivo ad alto potenziale, dinamite.
Anche un bambino lo capirebbe, questo è il motivo per cui il GIP aveva tolto l’accusa di strage, incredibile la forzatura fatta in primo grado.
Ho fatto tutta questa filippica perché l’accusa di aver fatto una strage è contraria alla mia etica, mi ripugna. In questa aula ho apprezzato positivamente queste azioni perché non le considero stragi, certamente azioni terroristiche ma che non avevano l’obiettivo di colpire nel mucchio, di uccidere innocenti.
È una mia convinzione basata sui fatti, sulla dinamica delle cose, sulle stesse perizie dell’accusa. Sia chiaro, non sminuisco la portata di queste azioni, al contrario non voglio che vengano stravolte. In tal senso la mia convinzione è fortissima, chi ha messo quelle bombe non voleva uccidere, questo se la logica ha ancora un senso.
Adesso arriviamo all’assurdo dello stravolgimento delle mie parole, al miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, quando il PM lamentandosi con il giudice di primo grado per non aver stravolto il mio scritto come ha fatto lui, trasforma la mia prima dichiarazione addirittura in una confessione. Quando invece (in questo mio scritto) sostengo in maniera mi sembra chiara che pur non avendo fatto quelle azioni che mi vengono attribuite, non me ne dissocio, apprezzandole (di nuovo, sia chiaro, perché non le ritengo stragi).
In più mi è stato fatto notare che a pag. 120 dell’istanza d’appello del PM salta fuori un «che» che nell’originale dello scritto riportato nella pagina precedente, 119, non c’è. Una distrazione, non credo che con quel «che» in più si volesse stravolgere il senso dello scritto (mi auguro di no, insomma) anche perché mi sembra che comunque il senso della frase non cambia di molto.
Leggiamola: «Valentina, Danilo, Anna, Marco, Sandro, Daniele, Nicola amici, fratelli, sorelle, compagni, compagne sono stati arrestati e riarrestati». Qui faccio il semplice elenco dei fratelli, sorelle, compagne, compagni arrestati. Poi proseguo: «Dovrei propinare la solita solfa sull’ennesima montatura…». Qui volevo dire che non mi va di fare il solito piagnisteo sulla montatura, perché bisognerebbe dare per scontato che sostenendo con lo scritto e la parola l’azione diretta qualcuno prima o poi (in mancanza di meglio) ci costruisce addosso su misura una montatura.
Andiamo avanti con la lettura: «Invece voglio parlare del perché sono stati arrestati. Perché fratelli e sorelle […]» (qui salta fuori nella versione del PM un «che» in più) nella sua versione sarebbe «Perché fratelli e sorelle che hanno colpito…», suona un po’ diverso…
Torniamo alla versione giusta partendo dall’inizio: «Dovrei propinare la solita solfa sull’ennesima montatura. Invece voglio parlare del perché sono stati arrestati. Perché fratelli e sorelle hanno colpito, si sono stufati di aspettare, hanno ignorato le decisioni della maggioranza e sono passati all’azione».
Se ci fosse stato il «che» aggiunto dal PM la frase suonerebbe leggermente ambigua ma solo se letta senza punteggiatura. I fratelli e sorelle di cui parlo che sono passati all’azione non sono Valentina, Danilo, Anna, Marco, Sandro, Daniele, Nicola o gli altri coimputati a piede libero, come sostiene Sparagna nella sua interpretazione delle mie parole (a pag. 120), ma i fratelli e sorelle che hanno rivendicato le azioni firmandole con gli acronimi FAI [Federazione Anarchica Informale].
Che io chiami fratelli e sorelle in questo comunicato coloro che firmano FAI è evidente anche da una frase alla fine dello stesso comunicato. Ve la leggo: «La mia complicità ideale va ai fratelli e sorelle della Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini / FAI, ai fratelli e sorelle della RAT (Rivolta Anonima Tremenda) / FAI ed ai fratelli e sorelle della Narodnaja Volja / FAI» (poi aggiungo) «chiunque essi siano, dovunque siano».
Come vedete uso nei confronti di coloro che rivendicano queste azioni i termini fratelli e sorelle ed in più con la frase finale «chiunque essi siano e dovunque siano» faccio capire chiaramente che non ho la minima idea di chi siano e di dove siano, più chiaro di così!
Si badi bene che parlo di «complicità ideale», per noi anarchici sono parole importanti, vuol dire che pur non sapendo chi le abbia fatte mi sento idealmente complice perché le approvo, le ritengo giuste.
Ricapitolando quindi, il senso della frase è questo: i miei coimputati sono stati arrestati (punto) perché fratelli e sorelle (i soggetti che rivendicano FAI) hanno colpito, si sono stufati di aspettare, hanno ignorato le decisioni della maggioranza (qui parlo della maggioranza del movimento anarchico) e sono passati all’azione (punto). Tutto qui.
Nessun atto da parte mia autoaccusatorio, né tanto meno eteroaccusatorio come dice il PM. Vado avanti, proseguo con l’altra frase incriminata: «Rimango comunque ottimista e di buon umore perché la logica del 1+1=2 mi dice che i compagni che hanno colpito sono ancora in libertà quindi in grado di colpire di nuovo». Anche questa frase mi sembra chiara.
Sapendo che io ed Anna quelle bombe non le abbiamo messe, convinto che i coimputati che conosco non c’entrano niente, messi in mezzo solo perché ci frequentavano. Convinto che coloro tra i miei coimputati che non ho mai visto in vita mia da libero erano all’epoca troppo giovani per aver messo quelle bombe. Tiro le somme, e la logica «del 1+1=2» mi fa pensare che chi ha fatto quegli attentati è libero come un fringuello, probabilmente neanche controllato visto che avete arrestato i colpevoli sbagliati, e questo mi metteva di buon umore. Io non tifo per lo Stato, non ho mai nascosto le mie simpatie nei confronti di coloro che praticano l’azione diretta, e non cambio certo idea solo perché finisco nell’ingranaggio della repressione.
Sparagna dice che questa frase è ambigua, a me non sembra, comunque questo ne era il senso. La prova del 9 che mette definitivamente fine alla fantasiosa teoria dell’autoaccusa la troviamo più avanti in una frase non citata dal PM. Nella quale sostenevo che pur non volendo entrare nel merito delle accuse e delle così dette prove, mi sentivo di dire che i fratelli e sorelle della FAI-FRI avevano sempre rivendicato a testa alta davanti ai giudici le proprie azioni assumendosene le responsabilità. Come d’altronde feci anche io a Genova (aggiungo adesso) per non dare adito a montature.
Questo mio comunicato fu scritto a due settimane dai mandati di cattura [6 settembre 2016] con rabbia, e questa frase, in particolare, contiene anche un paio di insulti che mi sono costati una denuncia. Il PM poteva approfittare di questa frase e degli insulti conseguenti per mettermi in ulteriore cattiva luce (cosa, lo ammetto, facile da fare nel mio caso), ma non l’ha fatto visto che questa frase smonta definitivamente la tesi della confessione. Questa della rivendicazione in aula delle proprie azioni, è una pratica diffusa e consolidata per chi rivendica con quella sigla, basta dare un’occhiata a tutte le puntuali rivendicazioni davanti ai giudici di chi è stato arrestato con accuse simili alle nostre firmate FAI in Grecia, Cile, ecc. Se le azioni non verranno rivendicate in aula, vuol dire che tra gli imputati non ci sono i responsabili. Questo pensavo all’epoca scrivendo quel comunicato, e quello ho scritto. Questa mia convinzione credo salti fuori evidente dalla lettura di tutto quel documento e fu confermata dal fatto che nessuno dei miei coimputati rivendicò le azioni. Certo, dal punto di vista processuale quello che dico non ha alcun valore, lo capisco, ma per quanto ingenua possa sembrare questa mia convinzione questo è quello che volevo dire con questo documento, è difficile negarlo.
In particolare il contenuto di questa ultima frase senza ombra di dubbio smonta totalmente la tesi autoaccusatoria di Sparagna. Mi sembra evidente che questo mio comunicato non è un’ammissione di responsabilità ma un ribadire ulteriormente la mia (cattiva) attitudine anarchica e rivoluzionaria. Nella sua conclusione Sparagna scrive: «Orbene tali affermazioni sono pubblicate sul sito di CNA [Croce Nera Anarchica] e la Corte di Primo Grado non le considera, neppure le menziona e ciò appare veramente stravolgente». A me non pare così stravolgente, di stravolgente c’è ben altro nella sentenza di Primo Grado, l’invenzione di sana pianta di due stragi inesistenti, e l’accettazione di indizi inconsistenti trasformati in prove granitiche.
Le accuse del PM sono costellate di errori e distorsioni di questo tipo: estrapolazioni, citazioni prese a casaccio dai miei scritti, fantapolitica e improbabili rivisitazioni della storia anarchica, video terrorizzanti scaricati da internet, cartine geografiche del terrore prese dal web, sappiamo tutti che su internet puoi trovare tutto e il contrario di tutto, non mi va neanche di perdere tempo a commentare queste cose, non sapendo neanche chi le ha scritte e perché le abbia scritte.
Ma d’altronde non poteva fare altrimenti che ammucchiare roba su roba, migliaia e migliaia di pagine tanto poi alla fine qualcosa sarebbe riuscito a tirare su, e c’è riuscito. Non poteva fare in altro modo perché contro di noi solo una serie di indizi che dire lievi è far loro un complimento, io direi inesistenti, tranne uno (riguarda solo me) ma ne parlerò tra breve.
Le prove chiave della colpevolezza mia e di Anna sarebbero un’assurda discussione (litigata tanto per cambiare) di cui ho già parlato in un’udienza passata, tra me e la mia ex-fidanzata, sull’ennesima domenica passata a lavorare piuttosto che a spassarcela fuori, trasformata nella compilazione di una lettera minatoria che ci legherebbe alle stragi. L’altra prova schiacciante (lasciatemelo dire) surreale: la ricalcatura della nostra stessa calligrafia sulle buste di alcuni pacchi bomba. Cioè, noi avremmo ricalcato la nostra stessa calligrafia sulle buste, insomma avremmo imitato la nostra stessa calligrafia. Una perizia superficiale porta avanti questa tesi. Talmente superficiale che viene di fatto smentita da una perizia precedente di anni, fatta dai RIS [Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri], i quali rendendosi conto (originale della busta alla mano) del ricalco, stabilivano che sarebbe stato impossibile risalire agli autori. Di fatto, e non credo di poter essere smentito, la perizia dei RIS (fatta sugli originali della busta) smentisce quella dei periti dell’accusa che hanno basato le loro analisi su delle fotocopie.
Naturalmente il giudice di Primo Grado ha preso per oro colato la seconda perizia.
Io insomma (scusate se mi ripeto) avrei ricalcato la mia stessa calligrafia, sarei un demente totale, fosse così mi meriterei la fucilazione, non venti anni.
Queste “prove” inchiodano me ed Anna alle così dette bombe stragiste di Fossano e la Crocetta.
È arrivato ora il momento di parlare dell’unica prova secondo me degna di questo nome dell’inchiesta, riguarda solo me e l’attentato (impossibile) di Parma, dico impossibile perché l’ordigno era spento (posizionato su «OFF»), non poteva quindi scoppiare: la logica ci dice quindi che era stato messo unicamente per far paura. Questo spiega probabilmente l’aria minacciosa che aveva. La prova consisterebbe nel mio DNA sull’ordigno, per la precisione sul manico della busta che conteneva l’ordigno, a quanto dicono le perizie degli stessi RIS di Parma, ai quali era diretto l’attentato. Gli stessi colpiti dall’attentato hanno indagato sull’attentato, si può fare? A quanto pare sì. Questa prova quindi riguarda solo quell’attentato e unicamente me, però crea quella suggestione necessaria per condannarci per gli altri attentati a firma FAI.
Ricapitolando: questo DNA salta fuori dal nulla ad otto anni dai fatti, dopo un ventennio di indagini sugli anarchici a vuoto. Questo DNA non c’entra niente con gli altri attentati, tanto meno con i due così detti stragisti. L’unica cosa che li accomuna l’acronimo FAI.
Più volte negli anni mi è stato prelevato il DNA, per esempio dopo gli attentati alla Crocetta.
Le stesse forzature (non saprei come altro chiamarle) che sono bastate oggi per condannarmi per quell’attentato, all’epoca non portarono neanche al fermo e venni prosciolto insieme a tanti altri anarchici. Poi è saltato fuori il DNA a Parma (altro attentato, altra storia) e tutto cambia, i così detti indizi che non erano neanche degni di essere presi in considerazione diventano prove granitiche. Io mi chiedo, perché il mio DNA all’epoca non è stato subito messo a confronto con quello di Parma?
Visto che ero sempre tra i primi indagati quando in Italia si verificava un attentato a firma anarchica?
Queste mie domande non avranno mai una risposta, lo so bene. Per 20 anni ho avuto la polizia e la magistratura alle calcagna, ogni volta che c’era un attentato anarchico mi perquisivano, era un continuo, microfoni e telecamere fuori di casa, scovare microfoni in casa come fossero funghi per me era diventato un passatempo, ogni volta pubblicavo sui siti anarchici le foto degli stessi, senza farne una tragedia. Non mi sto lamentando, avevano i loro buoni motivi per farlo visto che ero tra quegli anarchici che pubblicamente con giornali, comizi appoggiavo chiaramente le azioni.
Possibile che a nessuno in otto anni era venuto in mente di paragonare il mio DNA con quello di Parma? E puf! Guarda caso dopo l’attentato ad Adinolfi, appare quel DNA sulla busta dell’ordigno, per la precisione sul manico della busta di plastica che conteneva l’ordigno.
L’ordigno è pulito, non c’è neanche una microgoccia di DNA, ma la busta ne contiene, anche se non soddisfa nemmeno i limiti di riconoscibilità stabiliti dalla legge, la scappatoia tecnica è che è ai limiti della riconoscibilità.
La mia convinzione è che era semplicemente arrivato il momento di tirarlo fuori visto che un anarchico aveva rivendicato un’azione FAI: l’attentato di Genova contro Adinolfi. La forzatura a quel punto sarebbe passata senza tanti intoppi: trasformare in utilizzabile un DNA inutilizzabile perché degradato.
Successo assicurato se il DNA (se pure in maniera traballante) risultasse di un anarchico che in precedenza aveva rivendicato un’azione FAI.
Sono convinto (e nessuno me lo toglierà dalla testa) che il mio DNA era già stato paragonato con quello di Parma ed i risultati all’epoca erano inutilizzabili per un processo, ma questa è una mia intuizione e vale quello che vale… La convinzione (cattiva) che mi sono fatto è che con un DNA deteriorato, non integro, è semplice giostrare con i parametri.
Dopo il mio arresto sono state studiate tutte le azioni rivendicate FAI (e sono decine) e l’unica cosa che sono riusciti a cavar fuori è quel DNA incerto, e su quello hanno puntato tutto. Ma questa come ho già detto è una mia convinzione, e vale quello che vale, niente per un tribunale, ma qualche spiegazione me la dovevo pur dare.
Non essendo stato io, quel DNA non può essere il mio, escludo che qualcuno ce l’abbia messo, non mi rimane che pensare che qualcuno ha sbagliato.
Io non sono mai stato a Parma e non ho mai fatto quell’attentato, ma poco male, non è un’accusa infamante per un anarchico. Non posso prendermi il merito di averla fatta, ma la condivido, e quindi me ne sento idealmente complice, come mi sento idealmente complice di tutte quelle azioni anarchiche rivendicate o meno degne di questo nome, come mi sento idealmente complice di Bresci e del suo regicidio, un’affinità naturale, diciamo di amorosi sensi.
Poi ci sono i testi che seguono le azioni (le rivendicazioni): gran parte dell’ipotesi stragista si appoggia su questi scritti. Voglio farvi notare la distanza tra questi testi e l’effettiva dinamica di questi attentati: nella rivendicazione di Parma si parla di due ordigni, di un doppio attentato, invece c’è un solo ordigno, con l’interruttore spento quindi impossibilitato ad esplodere.
Nella rivendicazione di Fossano si parla di tubo di ferro con dinamite, le analisi dei RIS invece escludono che l’ordigno fosse caricato con esplosivo ad alto potenziale (dinamite) ma con polvere di tipo pirotecnico, fuochi d’artificio per capirci, molto meno distruttivi.
Basta leggere l’ordinanza di applicazione della misura cautelare alle pagine 141–143 per farsene un’idea. Ordinanza che poi è stata bellamente ignorata nella sentenza di primo grado.
La cosa si ripete per altre rivendicazioni: sia chiaro, lontano da me qualunque forma di critica ai compagni che hanno fatto queste azioni, avranno avuto i loro buoni motivi. Come diceva Bakunin (se non ricordo male) la rivoluzione è 90% di fantasia e 10% di realismo.
Credo (ma forse mi sbaglio) che in un processo bisognerebbe attenersi esclusivamente ai fatti, questo se non si vuole arrivare ai tribunali dell’inquisizione.
L’esempio lampante di questo meccanismo inquisitoriale è la simpatica convinzione sanguinaria dell’accusa che se io fossi stato bloccato a Genova mi sarei messo a sparare sulla folla, sui balconi delle case come un pistolero impazzito. Vi assicuro che niente è più lontano dal mio modo di agire.
Per concludere mi tocca dire due cose sulla FAI-FRI. Anche in questo caso avrei voluto tacere, ma visto che sono state dette un mucchio di sciocchezze, anche offensive a volte, sono costretto (per forza maggiore) a dire la mia: non vorrei che tra vent’anni qualcuno prendesse come verità storiche il revisionismo e la fantapolitica di un PM.
Questa mia decisione di dire la mia in merito è legata soprattutto al fatto che sono state usate mie frasi, estrapolate dal contesto di scritti molto più lunghi, stravolgendone i reali contenuti, per costruire una sorta di realtà alternativa, mescolando cose vere a cose e intenzioni inventate strumentalmente di sana pianta, per dare una visione deformata e mostrificata di una parte di movimento anarchico. Una strategia molto usata nei processi politici.
La mia paranoia è che attraverso una narrazione falsata venga stravolto un pezzo di storia dell’anarchia. Per esperienza vi dico che in ambito anarchico, quando si narra la storia, soprattutto dell’anarchismo d’azione, si fa riferimento (con i dovuti distinguo) agli atti processuali.
Cercherò di farla breve, posso parlare solo per me in base alla mia esperienza personale, non rivelo segreti di stato. Queste cose le ho già dette in un processo con fierezza e orgoglio.
Per quanto mi riguarda la FAI-FRI (per quello che ho vissuto sulla mia pelle) sono due anarchici che da soli senza organizzazione o associazione di sorta, senza dire niente a nessuno e chiedere l’avallo di chicchessia, decidono dopo il disastro di Fukushima di dare il proprio contributo perché un disastro così non si ripeta, colpendo uno dei maggiori responsabili del tentativo di riportare il nucleare in Italia.
Il mio contributo all’esperienza di lotta della FAI-FRI è iniziato lì e finito lì.
Io sono convinto che la stessa dinamica che ha coinvolto noi a Genova è successa 100 e 100 volte in maniera simile in 100 e 100 diversi punti del pianeta.
Degli anarchici (nel nostro caso due) decidono di agire e colpire, questo dopo aver personalizzato (modificato leggermente) un simbolo trovato su un sito greco (per inciso neanche un sito di movimento), lo ricopiano sul volantino e rivendicano la propria azione, e poi tornano a casa nella speranza di non essere arrestati. Per inesperienza è andata male, ci hanno arrestati.
In questo caso l’etica insita nell’uso di quella sigla ci dice di rivendicare l’azione per non dare adito a repressioni e montature su compagni ignari e innocenti, questa è l’unica cosa chiara (secondo me) nell’uso di quella sigla.
Per quanto mi riguarda gli anarchici rivendicano a testa alta le proprie azioni, fa parte della nostra tradizione storica. E questo è anche l’unico motivo per il quale non ho rivendicato le azioni che mi attribuite: perché non le ho fatte.
Non c’è alcun “salto di qualità” nell’attentato ad Adinolfi, queste sono fascinazioni che il PM ha preso da romanzi, film sugli “anni di piombo” lontane anni luce dalla realtà.
Analisi e deduzioni fatte dall’accusa, prodotto dell’idea ingenua che questa si è fatta di questo fenomeno e degli anarchici che in alcuni momenti della loro vita hanno rivendicato con quell’acronimo. Perché è di un acronimo che stiamo parlando, di una sigla per capirci.
Una sigla usata da anarchici di mezzo mondo senza copyright per rivendicare centinaia e centinaia di azioni in Indonesia, Russia, Australia, Ucraina, Inghilterra, Messico, Cile, Argentina… Anarchici che tra di loro non si conoscono e che molto probabilmente non si conosceranno mai, tranne forse nel caso vengano arrestati.
Cosa capitata a me quando, una volta rivendicata l’azione in tribunale, alcuni anarchici greci delle CCF [Cospirazione delle Cellule di Fuoco] mi hanno fatto un’intervista scrivendomi da un carcere greco.
A proposito degli anarchici delle CCF, per riportare nella sua giusta proporzione la realtà della situazione greca, il PM si è dimenticato di dire che tutti i prigionieri CCF condannati a centinaia di anni, di cui si è fatto tradurre la sentenza (per creare un’atmosfera cupa da anni di piombo), sono tutti in libertà per aver già scontato la pena già da più di un anno e mezzo, hanno fatto circa otto anni di carcere in tutto. Tanto per ridimensionare ed inquadrare nel suo giusto contesto le accuse e le condanne dei compagni greci.
Di sigle come quella della FAI-FRI usate dagli anarchici ce ne sono svariate: ALF [Animal Liberation Front], ELF [Earth Liberation Front], la semplice A cerchiata, nessuno di questi acronimi, a quanto mi risulta, è considerata un’organizzazione.
Una delle prove che la FAI-FRI non sia un’organizzazione è che capita che le azioni siano firmate mescolando più sigle (ALF-FAI, FAI-ELF, ecc.). E questo il PM si è guardato bene dal dirlo in aula…
Naturalmente io posso parlare solo per me, non so cosa passi per la testa di centinaia di anarchici che firmano con quella sigla. L’unica cosa che so è che tutti hanno la mia simpatia e solidarietà (per quello che vale) purché non escano fuori dall’etica anarchica, ad esempio facendo stragi.
Io personalmente ritengo contro producenti persino i coordinamenti, figuriamoci le organizzazioni, come più volte ho scritto anche in tempi non sospetti (anche in questo caso il PM si è guardato bene dal citare quelle mie parole). Ma questo non perché sono buono e caro, ma perché ritengo inefficienti (strumenti spuntati) le organizzazioni ed i coordinamenti in una società complessa, post-industriale come la nostra. E questo perché ho la convinzione che un’organizzazione è molto più facile da distruggere, da smantellare, di una sigla che chiunque può usare.
Centinaia di individui liberi che si muovono autonomamente senza conoscersi tra di loro, senza direzione di alcun tipo in maniera caotica quindi vitale.
Unica cosa che li unisce un acronimo, una sigla che si fa simbolo, edificando in questo modo un mito che diventa voce e strumento per tutti gli oppressi.
La comunicazione (se vogliamo chiamarla così) sono le rivendicazioni scritte da sconosciuti, dirette ad altri sconosciuti che le leggono sui quotidiani, telegiornali, siti di cronaca, siti della sinistra rivoluzionaria e anarchica.
Chi sui siti esalta o appoggia a parole o con video o con cartine geografiche e simboli rivoluzionari (parlo dei disegni così detti simboli FAI) non prende parte a questo fenomeno. Sono spettatori e le loro parole valgono meno che zero. Naturalmente questo vale anche per me e per queste mie stesse parole, che rappresentano solo me e le mie convinzioni e certezze.
Solo nel momento dell’azione si dà il proprio contributo e le uniche parole che contano sono le rivendicazioni. Questa dinamica semplicissima, elementare, impalpabile annulla la necessità di un’organizzazione o di coordinamenti di alcun tipo.
Trasformando una semplice sigla in qualcosa di molto più pericoloso di un’organizzazione per possente che possa essere. Un’organizzazione la puoi sconfiggere militarmente o con la repressione, un mito è molto più difficile da sradicare, perché è etereo, di fatto non ha struttura di alcun tipo, non ha organizzazione e quindi continua a crescere. Troverai sempre un anarchico che in qualche modo con la propria azione deciderà autonomamente di dargli nuova vita firmando con quella sigla.
Questo naturalmente se il mito riesce a cogliere lo spirito del tempo, altrimenti andrà a sparire, così come è apparso, e nascerà qualcosa di nuovo, e questo finché il mondo sarà diviso in classi, sfruttatori e sfruttati e nessun tribunale al mondo potrà farci qualcosa.
Mi dispiace deludere Sparagna ma l’organizzazione informale è un ossimoro, un paradosso, un magnifico paradosso. Un’organizzazione deve essere formale, strutturata, specifica: se è informale, semplicemente non è.
Apro una parentesi: il PM ha tirato fuori un mio articolo di 23 anni fa in solidarietà a dei compagni prigionieri scritto in occasione di una polemica molto accesa che aveva agitato il movimento all’epoca, in cui dicevo che sarei potuto entrare anche io in un’organizzazione specifica. Sono passati due decenni e più, il solito metodo inquisitoriale, se andava indietro un altro po’, poteva spulciare tra i miei temi delle superiori, qualcosa di incriminante trovava di certo.
Vi lancio ora degli input, sono tante le cose che i due PM hanno detto in questi tre giorni che mi è impossibile ribattere su tutto, in fondo è la strategia inquisitoriale di un processo politico: ammucchi tanta di quella roba che poi le così dette prove diventano obsolete o quasi, e non sai più cosa rispondere…
– Il così detto logo della FAI non esiste, a dire il vero ne esistono 10, 100, 1000. E dire che solo una parte delle rivendicazioni che girano è seguita da un simbolo.
Io ho visto una A cerchiata con mitragliatore, una fenice in fiamme, una fenice non in fiamme, il globo con una fenice, le varianti con la fenice sono infinite, dalle parti dell’America Latina due penne incrociate, un’ascia con una A cerchiata, in Europa una stella con delle frecce, una stella con dentro una A cerchiata, una bombetta rotonda con una A cerchiata dentro, poi quella inventata da me per l’attentato di Genova, delle frecce con la scritta FAI-FRI, e per finire quello più bello: un ometto stilizzato che butta una bombetta, penso forse il personaggio del fumetto “Anarchik”.
– I PM dicono che l’acronimo FAI è uno sbeffeggiamento, una presa in giro della FAI italiana. Se è così, come dicono, non possono dare un significato realistico alla sigla, questo spiegherebbe il paradosso della federazione e dell’informale in uno stesso contesto. Questo sempre se la logica vuol dire qualcosa, ma a quanto pare anche i PM amano i paradossi, non solo gli anarchici.
– I PM parlano di organizzazione mondiale ma non dicono come questa organizzazione si riunirebbe. Forse è più plausibile che semplicemente chiunque fa un po’ come cavolo vuole (per non essere volgare).
E le parole delle rivendicazioni che lanciano campagne viaggiano per esempio attraverso gli speaker dei telegiornali, come abbiamo visto nel video all’arancia meccanica che ci avete propinato, dove si vedono chiaramente i giornalisti del telegiornale greco che leggono i comunicati delle CCF per intero.
– Non sarà magari che la spiegazione più intricata è quella meno realistica, e che la verità è più semplice di quello che pensiamo? E che i rimandi tra le varie rivendicazioni che per i PM son la dimostrazione dell’esistenza di una direzione strategica sono molto più semplicemente l’effetto della comunicazione attraverso le azioni che lanciano campagne di lotta, che vengono raccolte a pioggia, a casaccio da altri anarchici e rilanciate? Ma dopo tutto siamo nell’epoca del complottismo.
– Non vi pare che la dinamica dell’azione Adinolfi è totalmente diversa da tutte le altre azioni FAI in Italia, per strumento usato, per dinamica portata avanti? Ma non sarà magari che io e Nicola abbiamo usato la pistola non per fare il ridicolo salto di qualità, ma perché l’esplosivo non ci è congeniale? E che magari quella è l’unica azione firmata FAI che abbiamo fatto?
– Non potrebbe essere che se io e Nicola non rivendicavamo in aula l’azione Adinolfi magari venivamo assolti, visto che le riprese sono state fatte lontane dal luogo dell’attentato, non avevamo caschi da moto e quindi ci potevamo inventare 1000 scuse per stare lì a Genova quel giorno visto che Nicola a Genova ci lavorava? E che magari non abbiamo rivendicato per disperazione, ma perché l’unica prassi che unisce tutti gli arrestati che utilizzano la sigla FAI-FRI è rivendicare la propria azione se presi per non dare adito a montature e prendersi le proprie responsabilità, forse a quello servono gli acronimi.
– Il PM dice che siamo isolati da tutto il movimento, ed anche dagli altri anarchici insurrezionalisti: ma allora come si spiegano tutti i manifesti in nostra solidarietà, cortei e presidi?
E come si spiega che i compagni invitati qui a parlare contro di noi da Sparagna o non si sono presentati o sono venuti a esprimerci solidarietà e salutarci?
L’aula vuota di questo tribunale in questi mesi non si spiegherà forse col fatto che ai compagni che sono venuti è stato consegnato regolarmente il foglio di via da Torino? Un classico della democrazia totalitaria.
– Ma non vi sembra una mostruosità che la libertà delle persone (per quanto antipatiche siano come il sottoscritto) è in mano ad un algoritmo che nessuno sa come funziona, neanche gli stessi RIS di Parma, neanche il giudice, neanche io, ma solo il programmatore di computer che probabilmente vive beatamente in America o in Giappone e che nessuno ha mai interpellato, e che magari di DNA (essendo un programmatore) ne sa quanto me? Quello sì che è terrorismo…
– Non può essere che magari soggetti diversi (visto che non c’è copyright) firmano con lo stesso nome di una cellula?
Non potrà essere capitato che nella storia decennale della Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini a rivendicare nel tempo siano state persone diverse che neanche si conoscevano, visto che è la sigla più famosa del panorama anarchico avendo rivendicato azioni per almeno 10 anni anche fuori dall’Italia, in Spagna?
– Non può essere che la storia dei cassonetti che Sparagna usa come prova della violenza delle bombe alla Crocetta sono cassonetti bruciati da ordigni a basso potenziale composti da sostanze incendiarie?
Io da ragazzo ho bruciato cassonetti nelle manifestazioni e vi posso garantire che basta un accendino, una piccola fiamma per vederlo bruciare ridotto in quelle stesse identiche condizioni, una macchia di plastica sul pavimento. Non può essere che una bomba, invece di bruciare il cassonetto, lo avrebbe disintegrato sparpagliando migliaia di schegge tutto intorno e non poche come abbiamo visto nelle foto?
Non sarà che uno degli errori che abbiamo fatto in questo processo è di non aver preso un nostro perito di parte sugli esplosivi, perché stupidamente fiduciosi che non avendo fatto noi quegli attentati non ci riguardasse?
Adesso vi leggo pochissimi stralci presi dalla stessa intervista, quella su “Vetriolo”, da cui i PM hanno tratto frasi secondo loro a favore dell’organizzazione. Quando i PM hanno letto la parola «organizzazione» da quei miei scritti, si sono dimenticati di dire che regolarmente quella parola è sotto virgolettato. Questo per dare un senso diverso a quella parola, destrutturarla, capovolgerla.
Leggiamo:
«Bisogna fare uno sforzo ed entrare nello specifico, nel particolare, per esempio senza il web l’esperienza di lotta armata della FAI-FRI (per quanto limitata nel tempo sia stata) non si sarebbe mai potuta diffondere in mezzo mondo. Ad ogni azione corrispondeva un’azione in risposta in qualche altra parte del mondo, questo senza coordinamento o organizzazione strutturata omnicomprensiva. In questo caso internet ha permesso di escludere meccanismi autoritari evitando grazie all’anonimato, e la non conoscenza tra i vari gruppi d’azione e singoli, la nascita di leader e gerarchie. In una dinamica di questo tipo (priva di struttura organizzativa) il web diventa di vitale importanza».
«Un giorno un’internazionale nera sorgerà dalle ceneri delle tante sconfitte che come anarchici/e abbiamo subito nella storia, e quel giorno verrà alla luce uno stupendo ossimoro, un’organizzazione senza organizzazione».
«[…] l’ALF e l’ELF. “Organizzazioni” queste che sono per altri motivi un esempio importante (perché concreto) di come si possa “organizzare” in maniera destrutturata. Come dicono alcuni/e compagni/e “l’organizzazione che non ha e non vuole organizzazione”. Indubbia, secondo me, la loro influenza sulla pratica della FAI-FRI, basti pensare al loro comunicare attraverso le azioni ed alle loro campagne internazionali».
Mi fermo qui, se no facciamo notte.
Gli anarchici non fanno i partiti armati, e hanno una concezione totalmente opposta, se poi volete strangolare la realtà, la storia per arrestare 20 compagni, fatelo pure ma è veramente strumentale e falsificante.
Per finire, ma questa volta per davvero:
Anche nelle “organizzazioni” dell’800 anarchiche si parla di gruppi di affinità, di individualismo, di concezione antiorganizzatrice. Non è un’invenzione moderna, basta leggere Carlo Cafiero: piccoli gruppi di affinità, singoli individui che si muovono in ordine sparso, caotico, senza centro e gerarchia. Non è un’invenzione degli anarchici che si rifanno alle teorie di Bonanno: il gruppo d’affinità, la concezione antiorganizzatrice ha sempre fatto parte del metodo di vivere, di lottare degli anarchici.
A proposito di Alfredo, per quanto mi riguarda il suo contributo all’anarchismo moderno è enorme, siamo tutti figli suoi dal punto di vista teorico. E di rivoluzionari che hanno dato tanto alla causa anarchica come lui ce ne sono veramente pochi in giro: lontana da me qualunque forma di disprezzo come ha cercato di adombrare Sparagna. Noi anarchici litighiamo anche violentemente sul piano teorico, siamo passionali e irruenti, è nella nostra natura.
Gli anarchici non si intrupperanno mai in un’organizzazione né hanno direzioni strategiche, promotori, ideologi e mostruosità simili: questo è l’abc dell’anarchia.
Mi rendo conto che è difficile farlo capire ad un Pubblico Ministero.
Alfredo Cospito
Nota: Tra parentesi quadre e in corsivo sono indicate alcune brevi integrazioni atte a rendere maggiormente comprensibili alcune parole ed acronimi presenti del testo.
Per leggere la precedente dichiarazione di Alfredo a processo: Dichiarazione di Alfredo Cospito per l’inizio del processo Scripta Manent a Torino, 16 novembre 2017.