Coronavirus. Due contributi da Cosenza

Coronavirus. Due contributi da Cosenza

Pubblichiamo due testi scritti da anarchici a Cosenza, “Non li ucciderà il virus” e “Tutto va estremamente bene!”.

Português: é possível ler e baixar o arquivo do texto carregando no link “Tudo está extremamente bem“.


Non li ucciderà il virus

Questo scritto approfondisce quanto pubblicato nel documento “Tutto va estremamente bene”. Si avvale, inoltre, di considerazioni formulate in precedenti nostre pubblicazioni.

Il vuoto della tecnica

Il continuo adattamento delle progettualità politiche degli stati moderni alla presunta infallibilità della tecnica, pare aver posto in secondo piano quegli stessi governi che delegano ad essa le proprie scelte. Lo Stato continua, in realtà,  a svolgere un ruolo repressivo ed avalla, attraverso i suoi rappresentanti, l’innesco di protocolli economici, sanitari, amministrativi, già definiti. Nello specifico, se tali protocolli sono efficaci o perniciosi è un dato di secondo piano. Per i fantocci di turno, l’applicazione dei protocolli in questione deve risultare un fattore di accrescimento della propria popolarità e, al contempo, deve fornire una giustificazione scientifica delle scelte effettuate. Come rendere tutto ciò propaganda di governo è compito dei media e di ciò che ruota intorno alla politica. Se le cose dovessero andare male, ci si atterrà alla dicitura sempre efficace: “Sono state eseguite tutte le procedure che il caso richiedeva”.

E’ chiaro, che tale procedura di comodo, non ridimensiona le responsabilità di nessun padrone, di nessun politicante, di nessun tutore dell’ordine, di nessun accademico compiacente, di nessun giornalista. Sebbene sia mutato l’aspetto del contenitore, sono persone in carne ed ossa a svolgere i ruoli di oppressori ed aguzzini.

Tuttavia, il tentativo di rendere efficiente l’azione di governo attraverso l’ausilio delle tecnica e delle scienze valutative ed economiche, ha spostato l’attenzione dal protagonismo reale dei governanti ad un mero raggiungimento di obiettivi; di tali obiettivi, però, non se ne discutono i contenuti, così da dare l’impressione che promotori ed esecutori si trovino ai margini delle scelte effettuate.  Ma è solo l’effetto spettrale del tentativo di distruzione della realtà di cui hanno bisogno gli artefici del sopruso.
Eppure, per le democrazie, l’idea di permettere al “popolo”, termine che riconosciamo esclusivamente come entità astratta, di decidere delle proprie sorti deve restare in piedi, anche quando le libertà concesse devono essere soppresse per lavori in corso.

Ribadendo che non rimpiangiamo nulla delle libertà elargite dalle democrazie, crediamo che indignarsi ora per la stretta repressiva ulteriore equivarrebbe a riconoscere che nel recente passato vi siano state situazioni favorevoli. Lo Stato fa il suo lavoro, sta a noi anarchici rivoluzionari farlo stancare, esaurire, azzopparlo in qualunque veste esso ci si presenti. Riteniamo fondamentale quindi, evidenziatene le falle ed i punti scoperti, attaccarli in modo concreto. E state pur certi, ce lo insegnano la storia ed il buon senso, non vi sarà mai alcun Decreto o “ritorno alla normalità” che ci consentiranno di farlo senza conseguenze.

La democrazia non è l’eredità di una libertà concreta, ma un binomio costituito da una libertà astratta coesistente con svariate forme di servitù, dipendenza oppressione. Come far fruttare al meglio questo binomio se non attraverso il connubbio tra potere tecnico e sovranità politica? Un processo che potremmo considerare un “laboratorio” tendente ad autoimmunizzarsi procedendo per crisi interne. L’intensificazione della risposta autoimmunitaria del capitalismo ha luogo, da sempre, nelle sue aree periferiche o in via di marginalizzazione rispetto ai centri del sistema.  Di conseguenza, una transizione da un contenitore democratico-autoritario ad un contenitore tecno-autoritario non è che un gradiente con cui è modificato lo status di sistema in senso più conservativo. Il capitalismo, tanto amante della scienza a tutti i costi, si è creato la sua bella disciplina scientifica, ovvero quella economica, con la quale si incensa continuamente e si dota di una gloria immediata, nonché postula quel suo  dogmatismo che oggi giustifica come “vera” ogni affermazione che proviene dalla sacra bocca dei moderni vate, ovvero i cosiddetti scienziati. Ebbene, se noi avessimo la pazienza di addentrarci nello studio dell’economia potremmo vedere come questa risponda, perfettamente, all’immagine della società che il capitale, appunto, desidera forgiare per ottenere maggiori profitti, guadagni e controllo sociale. Tuttavia, non è il capitalismo ad essere in crisi. Possono essere in crisi alcune sue aree territoriali, poiché nuove emergono agli occhi della storia presente. Il capitalismo è sopravvissuto ad epidemie più distruttive, a due guerre mondiali, a svariate rivoluzioni comuniste riconvertitesi in capitalismo di stato. E’ in crisi il suo contenitore strategico attuale, ma non lo ucciderà il virus. Lo sfruttamento è messo in atto da persone reali e queste sono già in moto per reinventarsi o conservare un ruolo al vertice della piramide.

Non affidiamo ai padroni e ai politicanti la nostra vita

Se volessimo ripercorrere cronologicamente le dichiarazioni dei ministri, le uscite propagandistiche e i decreti legge del consiglio dei ministri, non potremmo non evidenziarne la contraddittorietà e l’approssimazione. E quando il nemico è confuso, va attaccato. Visto che lo Stato ha la memoria lunga, dimostriamo, anche noi sfruttati, di averla ben salda e funzionante.

Attenzione, però, nell’affermare che il nemico è confuso, non intendiamo dire che è debole, piuttosto ha evidenziato, palesemente, contraddizioni specifiche in tutto ciò che gli si muove intorno. Ha mostrato il fianco proprio nel momento in cui ci ha chiamati ad aiutarlo per difendere “la nostra economia”, le “nostre aziende”. Come un feudatario medievale, come un barone post-unitario, come un qualsiasi padrone lo Stato vorrebbe condividere le perdite e in prospettiva accaparrarsi gli utili; si affida al lavoro volontario, sottopagato e  oscura gli scioperi. Le persone chiedono inutilmente aiuto ai servizi sanitari che, se contattati, rispondono talvolta di “stare a casa” poiché non ci sono i presidi adatti a prestare soccorso. Mentre padroni e governanti spettacolarizzano la loro malattia, la pubblicizzano, la rendono un fatto condiviso, i ricchi vengono ben curati e hanno maggiori probabilità di  sopravvivere,  i poveri crepano e vanno a finire, spesso, in fosse comuni. Per attenuare le possibili conseguenze di una rivolta sociale davanti alla mancanza dei beni di prima necessità, all’aumento dei prezzi, alla perdita di salari, lo Stato delega ad associazioni di volontari la rappresentazione del proprio lato umano. Nel contempo , come detto in precedenza , continua a svolgere il suo mestiere di aguzzino.

Chi fa appelli all’unità ed alla condivisione è chi ci uccide ogni giorno.

La discarica dell’informazione locale, nazionale, globale

Siamo abituati al falso ed abbiamo imparato da tempo a non temerlo. La veicolazione del falso ha contraddistinto la storia di questa terra che oggi esige a gran voce di farsi chiamare “patria”. Si tratta di una prassi istituzionale rafforzatasi e perfezionatasi nel tempo: con le stragi di stato, con l’assassinio premeditato dei rivoluzionari in strada o durante un arresto, nell’ecocidio quotidiano dei luoghi che abitiamo. Ebbene, riguardo a tutto ciò, la versione ufficiale dei fatti, da parte dell’informazione “attendibile” qual è stata fino ad ora?

Far diventare, col tempo, la realtà “narrazione” con grande compiacimento di tanti mediattivisti.

Tra loro, infatti,  c’è chi vede nell’attuale dimensione, l’opportunità per spostare la cosiddetta “narrazione” dal profitto dei padroni sui valori umani.  Ci sembra alquanto ingenuo vedere nei decreti legge il mutamento dei principi capitalistici in senso accettabile, eppure c’è chi cerca di cavalcare l’onda coronavirus, proprio come chi governa l’economia e gli stati, per rientrare a dire la propria nel consueto processo democratico: dirette facebook, skype segnano il nuovo terreno di battaglia delle lotte di coloro i quali già ne portavano avanti un contenuto esclusivamente simbolico. Tali parti politiche che hanno tratteggiato la linea di intervento del nuovo capitalismo, ora lo sostengono nella fase di riavvio della macchina. Nel contempo ci si affida all’intrattenimento collettivo. Non è importante ciò che è giusto o sbagliato, tanto meno chi lo decide , l’importante è dire qualcosa, confessare uno stato d’animo, una sensazione, un disagio, renderlo tracciabile, classificabile, inglobarlo nella drammaturgia del potere.

Tutto si gioca sulla quantità di informazioni che consentono di prevedere l’andamento delle attese.

Il governo si arrabatta a fornire informazioni, notizie utili, comportamenti responsabili. I Decreti sono prima alimentati dall’informazione e poi ratificati come qualcosa di già atteso, di già digerito. Tuttavia, la narrazione quotidiana delle quarantene, il diario di bordo delle proprie vite spettacolarizzano ed edulcorano la crudezza  degli eventi, nascondendoli o marginalizzandoli. Da una parte, la situazione è grave, a causa di chi esce di casa, non di chi ha speculato e continua a speculare sulle nostre vite; dall’altra, andrà tutto bene, ce la faremo, siamo un grande paese. Nel primo caso si è spinti ad identificarsi con un  comportamento conformista, timoroso, appiattito sulle leggi e sull’attendismo; nel secondo, si chiede uno scatto d’orgoglio, di coraggio, di ottimismo. Pur partendo da punti vista opposti, ci troviamo davanti allo stesso meccanismo di suggestione e arriviamo alla stessa conclusione: l’importante è obbedire senza protestare!

La riproduzione del meccanismo capitalistico di propaganda si connatura alla dimensione quotidiana così come sentenziano i marchi aziendali della pubblicità: “sii anticonformista nelle tue scelte!”; “uniformati agli altri per non essere isolato!”. L’importante è comprare!

Ma chi vende, ha già comprato gli slogan “sostenibili” e sostenuti “dal basso”. Insomma le parole d’ordine e gli slogan che prima si potevano leggere sui muri di qualche centro sociale okkupato, oggi li troviamo sulla bocca degli economisti più gettonati! L’impoverimento delle proposte, delle idee ravvisatosi negli ultimi anni nell’area riformista ed antagonista è passato dalla ideologia del fare a quella del dover essere scordando definitivamente l’agire.  Un bel progresso, non c’è che dire. Questo capitalismo dal basso, condiviso, sarà un capitalismo che individuerà le procedure da seguire in ogni momento della nostra vita, che normerà i nostri sentimenti e non lascerà nulla al caso e alla spontaneità ma al contempo ci dirà che siamo liberi. Questo concetto di capitalismo autogestito, probabilmente, nasce anche perché molte pratiche, come l’autogestione, nel corso del tempo hanno smesso di essere conflittuali e sono rimaste mero strumento di sopravvivenza, ecco perché ormai è facile far recuperare al capitale, all’economia, alcuni concetti.

Contro lo Stato, senza eccezioni

In questo periodo risulta tristemente interessante osservare i linguaggi e i modi di comunicare i messaggi. In realtà trovarvi una apparente coerenza è difficoltoso, in effetti basta confrontare le varie dichiarazioni di ogni singolo esperto o politico, per rendersi conto che sono, a distanza di pochi giorni  del tutto contraddittorie.

Come funziona l’apparato strategico del nemico quando percepisce condizioni pericolose e dichiara uno stato di emergenza? Dimostra efficacia, prontezza di interventi? Premesso che lo stato di emergenza è pressoché permanente nella rappresentazione del potere e che i momenti di eccezionalità e di crisi sono costantemente mantenuti in auge, ciò a cui assistiamo oggi riveste un profondo aspetto di indeterminatezza e di imprevedibilità ed in tutto questo è percepibile fortemente una grande difficoltà da parte dei governi.  Un affanno più che evidente. Al momento, il primo ministro Conte, espressione dell’unico organo statale attivo, il Consiglio dei Ministri, viene spinto davanti alle telecamere per fare dichiarazioni e leggere decreti . Il più delle volte si tratta di risoluzioni già venute alla luce attraverso svariati mezzi stampa, già masticate dall’informazione e da chi vi dà credito, in modo da ottenere un effetto di impatto minimo.

Facciamo alcuni esempi: la confusione sui protocolli sanitari, la contraddittorietà delle risoluzioni a livello territoriale, le concessioni e i divieti intercambiabili di giorno in giorno.

Altro aspetto fumoso, l’utilizzo dell’esercito. La presenza dei militari in luoghi considerati sensibili dallo Stato è ormai da tempo consuetudine e vederli affiancare polizia o carabinieri nelle stazioni o altre zone delle città non è un fatto inusuale. Tra l’altro la storia recente ci rimanda alla memoria momenti in cui ciò è avvenuto in alcuni territori considerati fuori dal controllo statale diretto. Ci riferiamo alle operazioni Vespri siciliani, Riace e Fortza Paris svoltesi rispettivamente in Sicilia, Calabria e Sardegna tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90.  A conti fatti, l’occupazione militare di queste terre portò esclusivamente ad aumento del controllo quantitativo del territorio, poiché le forze impiegate in aggiunta a quelle già presenti non ottennero un reale mutamento delle dinamiche illegali. Se lo Stato ha ottenuto risultati in questi territori, ciò si è verificato soprattutto grazie al pentitismo, non ad un’azione investigativa o ad un controllo capillare di città, paesi e montagne. Lo Stato, però, poté dimostrare, attraverso i criteri della scienza valutativa a cui il capitalismo fa riferimento, che il suo impegno si moltiplicò.

Come già detto, anche in questa occasione, l’unica soluzione formulata dai governanti è la raccolta di dati: un tot numero di denunce, di fermi, di posti di blocco, di sbirri dislocati nelle regioni; ciò nasconde, in parte, la richiesta di ventilatori, di supporti sanitari e strutture d’accoglienza per i malati.

Ma se si dispone di grandi numeri per il controllo, perché si chiede l’ausilio dei volontari per il soccorso minimo?

Quanti sbirri, militari e secondini che effettuano controlli o pestano i detenuti sono contagiati? Quanti di questi eroi diffondono il virus? Quanto costa l’indennità di missione dei militari impiegati? A chi viene affidato il comando dei presidi ospedalieri in emergenza? A quegli stessi angeli che insieme ai politici locali hanno riformulato i presidi sanitari sul territorio fino a poco tempo fa ridimensionandone la qualità e dislocandone le strutture?

La risposta è sempre afferente alla dimensione protocollare: si creano, quindi, task force che delegano alla tecnologia altre acquisizioni di dati.

Si propaganda il tracciamento degli spostamenti a fronte della richiesta di presidi sanitari per intervenire, fornire assistenza a chi dovrebbe recarsi in ospedale. Ma è evidente che si tratta di un’ennesima mossa per dimostrare che si è fatto il possibile.

Non riteniamo giusto soffermarci sulla portata dell’attuale ondata repressiva, né esaltare, oltremodo, dettagli e minuzie delle tecnologie militari in uso; tanto meno evidenziare restrizioni, limitazioni e disumanità dei decreti governativi. Non intendiamo certo passare per ingenui o superficiali, anzi riteniamo opportuno e sensato documentarsi e aggiornarsi sul funzionamento della macchina nemica; tuttavia nessuna trasformazione o aggiornamento dell’ordine democratico ci fa rimpiangere ciò che esso si lascia alle spalle.

Noi vogliamo distruggere la società, non migliorarla

I governi, come anticipato, sono in  confusione. Si affidano alla tecnoscienza che stenta a tenere testa ai mutamenti del virus. Si affidano ai calcoli logaritmici delle previsioni di mercato e di indagine economica. In poche parole demandano alla continua riformulazione dei parametri scientifici l’inconsistenza della loro azione.

Il metodo scientifico contempla l’errore, dice che si può sbagliare, anzi da un errore si possono dedurre delle osservazioni che saranno utili per altre ricerche, ebbene cosi facendo, ecco dunque il  perfetto strumento di lettura del reale. I sostenitori della tecnoscienza affermano che mai si  smette di approfondire e ricercare, e sostengono che non è vero che ciò che non può essere misurato dal metodo scientifico viene semplicemente ignorato, essi sostengono che nulla viene ignorato ogni cosa viene ricercata. Ricercando ogni cosa dunque la scienza ha la capacità di rispondere, prima o poi, ad ogni domanda? Se così è allora è in potenza, onnisciente, proprio come dio. Allora chi sostiene che oggi alla religione si è sostituito il dogma scientifico ha perfettamente ragione. La scienza non è interpretazione del mondo? Non ha un suo progetto? La domanda appare retorica, alla luce di queste brevi considerazioni, e  questi sono i caratteri propri di ogni ideologia, ecco perché pare corretto, oltremodo corretto, parlare di ideologia della scienza. Come anarchici non crediamo possibile indicare, o peggio ancora credere, che esistano reali strumenti conoscitivi della realtà, ogni mezzo simile si configura come ideologia, ideologia è la scienza, ideologia può essere una forma di “credo politico” ideologia può anche essere lo stesso anarchismo. Crediamo che non esistano alcuna verità e certezze, chi le ricerca produce in noi molti dubbi e, soprattutto, un forte senso di repulsione.

Sappiamo bene però, che l’apparato tecno scientifico e militare si muove dietro alcuni pionieri che incarnano ancora il volto primordiale del capitalismo: i padroni. Essi sono da sempre il vero motore dello sfruttamento. Scienze economiche, teorie di mercato, previsioni di investimento costituiscono il fantasma dietro cui correre per perdere di vista l’effettiva realtà delle cose.

Sono i padroni, in carne ed ossa, gli artefici delle presenti e delle future forme di oppressione. Ad essi scienziati e sbirraglia si accodano.

In effetti, nella odierna situazione chi non pare avere le idee confuse è proprio il padrone,  l’imprenditore che, ammantatosi col mantello della filantropia, riconverte le sue aziende, produce quello che il mercato richiede e aumenta i suoi profitti. In realtà un numero elevato di fabbriche non ha mai smesso di produrre e molte spingono per riaprire al più presto. In entrambi i casi procedure di sicurezza fittizie giustificano il fatto che venga messa a repentaglio la vita dei lavoratori. Le grandi corporazioni farmaceutiche oggi cercano di gareggiare le une contro le altre, nella corsa al vaccino, alcune di esse hanno già avviato la sperimentazione umana e mentre tutto il mondo guarda col fiato sospeso e cerca affannosamente notizie riguardanti i progressi scientifici che porteranno alla salvezza dell’umanità, le corporazioni farmaceutiche rivolgono il loro sguardo ai profitti.

Nel frattempo le aziende che lavorano da sempre alla tracciabilità dei movimenti si danno da fare per  progettare le nuove app che permetteranno di classificare l’umanità in varie porzioni: malati, sani, immunizzati. Una app potrebbe quindi permettere la gestione della circolazione umana e tutto questo per quale motivo?

Nel frattempo i prezzi dei generi di prima necessità aumentano e probabilmente, sono destinati a lievitare ulteriormente.

La verità appare ben chiara, a chi vuole leggerla, oggi soprattutto in previsione della fase due, c’è chi si è già preparato.

Ebbene su questo disastro, che sta costando un enorme numero di vite umane, si è già pensato a ricostruire, ricostruire mantenendo ferme le stesse regole: pochi devono poter speculare senza alcun vincolo al proprio sopruso, molti devono soccombere in condizioni di schiavitù. Lo strumento d’oppressione che sarà utilizzato è in via di costruzione. Università, governi, psicologi ne stanno calibrando e dosando gli effetti sotto il peso della sconfitta inflitta loro dal virus, rifacendosi a modalità operative già in corso. Non vi è quindi alcuna rivoluzione tecnologica imminente, solo un potenziamento di ciò che già esiste e che, dovremmo considerare con più attenzione nelle sfaccettature presenti, piuttosto che con  quelle di là da venire.

Nel mondo de-realizzato dalla produzione tecnologica, la mediazione tra l’individuo e la democrazia, tra le sacche, apparentemente, non pacificate e la società è sempre pronto a bussare alla porta, forse, è già dentro le nostre dimensioni di lotta quando stiamo cercando di sfuggirgli.

Ebbene, liberiamoci dai sedimenti e dalle incrostazioni che vorrebbero farci assumere comportamenti esemplari e porre in essere pratiche virtuose da immettere a pieno titolo nella democrazia in affanno. Noi vogliamo distruggerla questa società, non migliorarla. Non sentiamo ridimensionata quindi la nostra forza propulsiva e distruttiva, in questa attuale temperie. Anzi, ci sentiamo stimolati e curiosi di scoprire nuove forme di sopravvivenza ai margini della società “malata”; non ci siamo mai aspettati momenti facili e siamo consapevoli che le strade da percorrere sono costellate di luci ed ombre, di menzogne da dire all’autorità e verità taciute, di illegalismo e attacchi imprevedibili al nemico. Così come sono costellate da lunghi silenzi, attese, sconfitte. La nostra lotta non coincide con le lotte di chi aiuta lo Stato nella sua campagna propagandistica, ma tiene ben presente qual è il campo d’azione su cui innescare la battaglia.

Anarchici a Cosenza
20/04/2020


“Tutto va estremamente bene!”

La parola d’ordine di questi giorni è: “regole”.

Ad ogni cittadino modello è chiesto un grande sacrificio: ubbidire incondizionatamente ad una legge.

Ma questa legge, o meglio questo insieme di decreti che si susseguono vorticosamente, in modo contraddittorio e confusionario, ha come teatro una società che ha perso in pochi giorni le “sue certezze”.

Un nuovo virus è apparso come figlio del capitalismo, della pressione umana sulla natura, come prodotto dello sfruttamento.

Di fronte a tale virus sconosciuto la salvezza risiede nell’ubbidire alle leggi, non tanto per sviluppare l’immunità ma per indirizzare il gregge; poi, se queste leggi impongono o permettono comportamenti insensati, va bene lo stesso. In simili frangenti, cosa è più utile: riempire la testa di leggi; bombardare  con la propaganda del #iorestoacasa;  cantare inni dai balconi; militarizzare strade e quartieri, oppure far si che la gente comprenda quella che è la situazione reale?

Se la legge permette di fare una sciocchezza enorme, chi è abituato a ubbidire e basta, non farà altro che aderire alle nefandezze della legge.

Per questo motivo il bene più grande da coltivare in noi è la ragione, non l’ubbidienza, né il cosiddetto “bene comune”.

Ci sono tanti modi per legare l’individuo all’ubbidienza, alcuni molto evidenti, altri meno.
Quelli più subdoli e meno riconoscibili si fondano sulla volontà collettiva e  sul senso di comunità.

Il più delle volte tali collettività e comunità altro non sono che il prodotto funzionale, lo strumento di rigenerazione delle gerarchie e delle catene di comando: il terreno fertile, insomma, in cui attecchiscono più facilmente le radici della sorveglianza.

Ebbene, la prospettiva di avere idee condivise e sottoscritte, attraverso una limitazione quasi totale delle responsabilità individuali, è diventata nel tempo la prassi istituzionale più chiara e semplice per l’imposizione di ogni gerarchia, di ogni dominio, di ogni sfruttamento.

Ma quali “certezze” sarebbero dunque intaccate dal DPCM del governo?
E a quale “normalità” si agogna di ritornare al più presto?

La legge, oggi, dice che in tanti devono recarsi al lavoro; governo e padroni stringono accordi con  le parti sociali  e si ignorano gli operai che hanno organizzato scioperi spontanei.

Lo dice la legge: pattugliati in casa e, nello stesso tempo, a lavorare in fabbrica. Bisogna stare in casa, ma bisogna essere presenti sul posto di lavoro e in fabbrica.

Una dimensione che ricalca perfettamente lo slogan “distanti, ma vicini”, ovvero: da soli nei rapporti di forza contro gli strumenti dello sfruttamento; comunità nell’agire in modo responsabile alle ordinanze. Non è questo uno degli obiettivi più agognati dal modello economico vigente, sia esso incarnato dallo stato, sia esso incarnato da creativi imprenditori?

Intanto, in tutta questa situazione si è spinti alla delazione, si denunciano i vicini di casa usciti fuori , magari a buttare la spazzatura, si denuncia chiunque. Giornali e affini, come sempre, ma forse oggi con più foga, sono alla ricerca della notizia sensazionale e quindi pronti a fungere da sbirri e a denunciare. Politici e aspiranti tali, vogliono trarre profitto e visibilità con opere di sciacallaggio vero e proprio. Alcuni ministri cercano di conquistare il palcoscenico comunicando in diretta le scelte del governo relative al loro settore, altri politicanti dicono tutto e il contrario di tutto pur di stare sulla cresta dell’onda parlando dagli schermi di TV locali, nazionali, internazionali. C’è chi invoca elezioni e chi dice in diretta di essere ammalato.

Dove è l’eccezionalità di tutto questo? Non era la prassi anche fino a pochi giorni fa?

Approfittando delle suggestioni create, numerose aziende promuovono sul mercato le loro app, i loro droni e la loro tecnologia per aiutare governo e sbirri e controllare gli spostamenti delle persone. Pronte insomma ad assicurasi una via privilegiata nella costruzione delle nuove infrastrutture della rete digitale. Nulla di nuovo per un modello economico che da tempo sta cercando di imporre i suoi nuovi standard ed i suoi nuovi obiettivi. Il rinnovamento del capitalismo ha bisogno di mettere in quarantena le sue vecchie forme di produzione industriale e di sfruttamento delle energie. Il nuovo assemblaggio strutturale sostenibile e condiviso è già in atto. Fatto proprio e propagandato dalla associazioni più disparate in flashmob e manifestazioni “pacificate”. Resta solo da rendere i sudditi consapevoli e disposti ad accettarne i parametri comportamentali senza intoppi eccessivi.

Ad ogni modo, riteniamo importante soffermare la nostra analisi su un ramo strutturale del capitalismo: l’apparato tecnoscientifico.

“Governare significa sfruttare”, ma l’esigenza odierna del capitalismo di governare e reprimere in modo produttivo ed illimitato, presuppone la costruzione di un sistema scientifico capace di aggiornare e modificare continuamente la scelte da imporre. Inoltre, tali scelte devono essere applicate  velocemente, per far questo c’è bisogno di comunità e territori capaci di introitare al meglio le esigenze dell’economia.

Una lettura superficiale di ciò che accade intorno a noi in questi giorni, potrebbe facilmente indurci a pescare in un universo letterario e filosofico, già più volte evocato e scarsamente ritornato utile ai fini di un’analisi tesa al contrattacco.

A cosa è funzionale il continuo accompagnamento della sorveglianza nelle nostre vite?
Può una telecamera o un drone, impedire una qualsivoglia azione volontaria?
Assolutamente no! Può solo, in alcuni casi, dissuaderla o allontanarla altrove.
Eppure l’arma della sorveglianza è nello stesso tempo spuntata e a doppio taglio.

I continui cambiamenti di contesto economico e decisionale devono prevedere o influenzare i comportamenti degli individui. Tuttavia, il livello di controllo totale non agisce sull’interiorità, ma sulla cosiddetta collettività. L’obiettivo del nemico è, dunque, modulare l’ambiente affinché risponda in un determinato modo: un ambiente che funzioni come sensore, come sonda, come polizia.

Quando l’ambiente diviene un sensore non esiste più un limite a ciò che può essere elaborato, raccolto, classificato. Nel modello disciplinare di controllo industriale, la sorveglianza si concentrava sul luogo di lavoro e sulle prigioni. Nell’era digitale l’interattività di rete annulla le differenze tra i processi di monitoraggio: la raccolta dei dati arriva a permeare una crescente gamma di spazi e attività. E alla fine il punto d’arrivo di una decisione guidata è l’automazione del giudizio. L’individuo limita la quantità di informazioni che può essere assorbita o elaborata, invece le macchine promuovono scenari di “neutralità” e “oggettività” che permettono di poter trascendere le parzialità di giudizio. Lo scopo dell’automazione è, infatti, quello di sviluppare sistemi che sostituiscano le decisioni individuali e gli istinti vitali.

Il fine non è quello di reprimere semplicemente, attraverso le forze dell’ordine, i comportamenti antisociali. Oggi si sta trasferendo all’interno delle masse l’occhio del controllo, verso se stessi e verso gli altri. Quante volte, infatti,  prima ancora della diffusione del mortifero virus, isterici cittadini modello hanno prodotto filmati per denunciare le condotte ritenute moleste?

Per i Decreti Legge non è importante sapere perché non vi sono abbastanza strutture o respiratori per gli ammalati, questi ultimi che stanno vivendo sulla loro pelle, le difficoltà di questi giorni, da nord a sud, lo sanno bene.  Invece  è utile disciplinare al meglio le persone davanti ad un evidente “errore” del sistema operativo. Con sempre maggiore frequenza amministratori, cittadini invocano la presenza dell’esercito ma come mai, invece di fare appello a misure concrete in favore della sanità si chiede l’esercito? E’ presto detto: la cosa importante è che non si formino assembramenti, che non ci sia gente capace di protestare una volta che ci si sarà resi conto che in realtà, ci vorrebbero chiudere in casa ad attendere il morbo, senza cure, mentre si canta dai balconi. Cosa accadrebbe se tutti  testassero con mano la mancanza di cure adeguate, che succederebbe se arrivati in pronto soccorso venti , trenta persone si vedessero, tutte insieme, rifiutate le cure perché, semplicemente, non ci sono i soldi? Cosa succederebbe se alle continue rassicurazioni seguisse la triste realtà di non potersi garantire un sostentamento quotidiano adeguato?

E’ prassi, davanti ad ogni passo in avanti della sorveglianza nelle nostre vite, alimentare  un panorama visionario orwelliano per criticarne gli effetti; è consuetudine davanti all’aumento della stretta della catena dello sfruttamento, dimenticarne i responsabili: il capitale, lo stato, le istituzioni e i suoi rappresentati. E’ importante, dunque, non sminuire la concretezza dei fatti e non edulcorare la realtà.

Più i governi ricercano infallibilità e completezza delle informazioni che acquisiscono, delegando ai sistemi tecno-scientifici la ricerca di un numero di dati sempre maggiore, più incorrono in errori di valutazione, poiché il concetto stesso di “completezza dei dati” è limitante, superficiale.

Il pericolo posto dalla sorveglianza automatizzata, non è che sarà assoluta, ma che le persone possano agire come se lo fosse.

Tuttavia è importante tenere presente che la fallace neutralità delle macchine condiziona quotidianamente decisioni governative, valutazioni economiche e quant’altro. Eppure, l’ampio mercato che l’apparato industriale della sicurezza muove, è evidente. Esistono, dunque, in merito alla governance della sicurezza, un ambito economico strategico ed uno strettamente sociale che si auto alimentano e spartiscono equamente gli utili ritagliandosi ruoli determinanti nella gestione e nell’erogazione dei servizi. La sperimentazione diffusa che il capitale usa come modo per rigenerarsi ha continuamente bisogno di figure che restituiscano senso ai tentativi di riavvio della macchina ma ha anche bisogno di un ambiente addomesticato che compie scelte “sane”, “virtuose”, “comuni”, prevedibili.

Per cui, se viene chiesto di lavorare senza retribuzione è un dovere del lavoratore nei confronti dell’economia statale; se viene chiesto di lavorare in ambienti o in condizioni insalubri è un dovere nei confronti della nazione o della comunità di cui si fa parte. Anche da questo punto di vista, però, ciò che il DPCM del governo impone non è nulla di nuovo o di salvifico. Ma è la conferma dell’assassinio quotidiano che viene, da sempre, somministrato dai padroni ai lavoratori.

Probabilmente questo nuovo senso del dovere riesce a far dimenticare che ogni giorno ci confrontiamo con la morte: recandoci al lavoro; respirando aria infetta; assassinati da zelanti tutori dell’ordine.

Tutto ciò ha dei responsabili! Li conosciamo bene! E non dobbiamo dimenticare come si fa a riconoscerli: quando ci dicono che bisogna stare uniti per il bene della nazione e fare sacrifici; quando ci dicono che l’imprenditoria è l’unica salvezza dalla povertà; che la democrazia è il male minore; che un prigioniero morto in galera, si è suicidato o è morto di overdose.

Non dimentichiamo chi sono anche quando chiedono uno sforzo a tutti per arginare un’emergenza come quella in corso.

Sono gli stessi infami, gli stessi assassini di sempre.

Non dobbiamo disconoscere responsabilità specifiche attraverso la condivisione della colpa; un’arma che da mesi i governi europei e i loro servi sinistrati, stanno cercando di istillare nelle coscienze, attraverso proteste addomesticate.

Politici, padroni, sbirri, magistrati sono il virus quotidiano della nostra vita.

Il vecchio detto: “Se non hai nulla da nascondere. Non hai nulla da temere dalla sorveglianza”, rievoca implicitamente i consueti privilegi di classe.

Chi non ha nulla da temere dal sistema economico che condiziona le nostre vite è il padrone, colui che ha introitato i modi di vivere funzionali al capitalismo e li riproduce.

Non abbiamo bisogno di contare un numero maggiore di passi in un recinto per sentirci liberi.

Siamo liberi poiché non riconosciamo il diritto e la legge, sia che provengano da un’assemblea di delegati, sia che provengano da un’elaborazione di un algoritmo.

La paura con cui cercano di infettare le coscienze deve rivoltarglisi contro e chi fa sciacallaggio politico di questa situazione, cercando di promuoversi a benefattore o controllore, è complice!

Nessun ordine, nessun comunicato consolatorio e distensivo di ciò che produce il sistema economico, va salvaguardato o amplificato.

Siamo animati da una  fortissima vicinanza a tutti coloro i quali stanno vivendo momenti bui, in questi giorni ed è proprio per questo che non aspettiamo silenti e indifesi, alcun ritorno alla normalità, quella stessa normalità che già combattevamo e che, sostanzialmente, non ha nulla di diverso da quella odierna.

In guerra contro il capitale ieri ed oggi!

Anarchici a Cosenza