…per un vero sciopero generale!
Nel mentre ci impongono di stare tutti a casa, nel mentre mettono i sigilli ai parchi, nel mentre fioccano denunce, ammonimenti e sanzioni, c’è chi è costretto ad andare a lavorare. Se le stesse mappe che diffondono i media mainstream dei focolai di coronavirus indicano chiaramente come questi si intensifichino presso i principali centri industriali, non possiamo non accusare Stato e padroni di questa situazione. La sedicente scomparsa del mondo del lavoro è giunta a verità: anche in piena emergenza esiste qualcuno che è necessario alla produzione, qualcuno senza il quale tutto verrebbe giù. E allora tiriamolo giù!
In un lontano passato, lo “sciopero generale” aveva un significato catartico. Nelle sue varie tendenze – soreliane, individualiste, utopiste – il sindacalismo rivoluzionario immaginava lo sciopero generale come una battaglia fondamentale del processo rivoluzionario, se non addirittura del momento stesso della rivoluzione. Nello sciopero generale, gli sfruttati avrebbero sciolto le dinamiche capitaliste e avrebbero fondato una nuova società. Per alcuni, questo sarebbe stato un momento sublime e definitivo. Altri, meno utopisti, erano consapevoli di come per vivere durante lo sciopero i proletari avrebbero dovuto appropriarsi di che campare, sarebbero dunque arrivati i soldati e ci sarebbe stata battaglia.
Negli anni, le parole “sciopero generale” hanno perso questa aurea mitica. Lo sciopero generale è diventato il rito d’autunno, poi il rito di un autunno particolarmente caldo. Talvolta usato dalle burocrazie dei grandi sindacati riformisti per indebolire un governo ostile e favorirne uno “amico”. Ancora più imbarazzanti, le posizioni di chi continua a proclamare lo sciopero generale e lo proclama finanche radicale, senza avere la forza né che esso sia davvero generale né che esso sia davvero radicale.
In questo momento la nostra società appare vecchia e malata. Non è questo lo spazio per analisi, che alcuni di noi stanno facendo e faranno altrove. Possiamo però individuare alcune costanti in tutto l’Occidente: sospensione del regime liberale, forti limitazioni alle libertà degli individui, fine sostanziale dell’Unione Europea e delle sue leggi finanziarie, ma continuità delle produzioni che lo Stato ritiene strategiche (e non sono solo quelle sanitarie, ma anche metallurgia, militare, energetica ed estrattivistica). Stato e capitale tornano al centro della scena, chi si ribella è un untore e un traditore. Alcuni paesi, come il Portogallo, hanno sospeso per due settimane il diritto di sciopero.
Ora più che mai sono gli sfruttati che mandano avanti la baracca. Lo fanno al prezzo della loro sicurezza e della loro libertà. Altri sfruttati, invece, si trovano in una condizione di indigenza. I soldi promessi non arrivano, i padroni non pagano nemmeno i vecchi stipendi precedenti all’emergenza e non si attivano perché arrivi loro la cassaintegrazione. Che questa condizione possa essere di incubazione per un percorso di nuova radicalizzazione. Che si diffonda come una pandemia la convinzione che senza di noi tutto può venire giù. Che, come diceva Durruti, sappiamo che alla fine della sua storia la borghesia lascerà solo macerie; ma noi non abbiamo paura delle macerie, perché siamo noi che abbiamo prodotto ogni cosa e che potremmo ricostruire tutto nel mondo nuovo. Quel mondo cresce già ora.
A farci particolarmente schifo è la retorica di guerra. Siamo in guerra e dobbiamo fare sacrifici – ci dicono. Noi invece vi diciamo: fermatevi, non sarete i martiri di nessuno! Quando usciremo da questa emergenza la gente vorrà solo dimenticare, dimenticare in fretta.
Auspichiamo dunque a un vero sciopero generale spontaneo e di nuova forma. Che scavi la fossa al vecchio mondo.
Circolaccio Anarchico – Spoleto