A propósito de pandemia e «normalidade»
Estamos a viver uma difícil situação pela difusão de um vírus chamado Covid-19. Relativamente à sua génese, não acreditamos em nenhuma «hipótese de complô»: solução simplista para não ler a situação como ela realmente é. A confirmar isso está o facto de que ninguém está a beneficiar disso, bem pelo contrário. A causa da epidemia é uma típica condição de ultra-desenvolvimento industrial e mercantil. Milhões de camponeses deportados na China para lotar as novas metrópoles, com estilos de vida ainda agrestes (animais silvestres, animais de criação e avículas desmembradas vivas em mercados insalúbres lotados de pessoas) e condições de sobrepovoamento urbano foram o detonador desta pandemia. A globalização das deslocações humanas (é preciso só de um passageiro num avião para levar o vírus para outro lado do mundo em apenas seis horas) fez o resto, contaminando o planeta todo. Os empresários e as suas viagens de negócio foram os primeiros untori (contagiadores) no mundo. A hipótese complotista é, de alguma forma, uma hipótese consolatória. Afinal de contas, é mais fácil acreditar que haja pessoas extremamente más, capazes de fazer uma tal perfídia. Mais difícil é aceitar que seja a inteira sociedade a ser extremamente má. O verdadeiro lado obscuro que o complotismo tenta obscurar ainda mais. Leggi tutto “A propósito de pandemia e «normalidade» [pt, it]”
«Eppure per noi anarchici sarà sempre difficile farci capire. Noi non siamo un partito che va in parlamento o in televisione a spiegare le nostre idee. Non abbiamo tanti strumenti che ci consentono di fare propaganda, non abbiamo le televisioni, i grandi giornali, i mezzi finanziari, perché siamo un movimento di persone libere, di lavoratori, di disoccupati, di studenti e le nostre idee le propagandiamo con i pochi mezzi che abbiamo, e con i fatti» — F. Di Gioia
Pubblichiamo due testi scritti da anarchici a Cosenza, “Non li ucciderà il virus” e “Tutto va estremamente bene!”.
Non nascondo una certa monomania. Ho spesso avuto a che fare con la repressione. L’ho subita, affrontata, malamente provando a capirci qualcosa. Ne ho scritto per anni sulle riviste, non fosse altro perché riguarda personalmente me ed altri compagni. Per ironia della sorte mi ritrovo da qualche anno a far lo stesso, ma in qualità di prigioniero e assieme ad altri nella stessa condizione, sull’indagine che ha portato all’arresto mio e di vari altri compagni ed alla condanna di cinque di noi. Farei volentieri a meno di un simile protagonismo, ma ci tengo a tenere informati tutti i compagni. Ci tengo perché un processo è una resa dei conti di varie esperienze sulle quali ogni tanto è bene tornare a discutere per non lasciarle cadere al livello di un nozionismo futile.
Prima le buone notizie
Un articolo tratto dal numero 3 del giornale anarchico “Vetriolo”, pubblicato a febbraio 2019.
Nel mentre ci impongono di stare tutti a casa, nel mentre mettono i sigilli ai parchi, nel mentre fioccano denunce, ammonimenti e sanzioni, c’è chi è costretto ad andare a lavorare. Se le stesse mappe che diffondono i media mainstream dei focolai di coronavirus indicano chiaramente come questi si intensifichino presso i principali centri industriali, non possiamo non accusare Stato e padroni di questa situazione. La sedicente scomparsa del mondo del lavoro è giunta a verità: anche in piena emergenza esiste qualcuno che è necessario alla produzione, qualcuno senza il quale tutto verrebbe giù. E allora tiriamolo giù!
Il testo che riportiamo qui è la terza e ultima parte di “Quale internazionale? Intervista e dialogo con Alfredo Cospito dal carcere di Ferrara”, pubblicata nel mese di marzo 2020 nel numero 4 del giornale anarchico “Vetriolo”. Le parti prima e seconda sono state pubblicate rispettivamente nel numero 2 (autunno 2018) e 3 (inverno 2019). Data la complessità e la vastità degli argomenti trattati e del testo stesso, non è stato possibile pubblicarlo integralmente in un solo numero del giornale e si è scelto di suddividerlo in tre parti. Tutto lo scritto verrà stampato in un volume di prossima pubblicazione.
L’emergenza legata alla pandemia di Covid-19 ha aperto una nuova fase oscura della storia del pianeta. L’Italia è stata, in Occidente, la prima a esserne colpita e il nostro Stato si è trovato nella condizione di sperimentare tentativi e soluzioni alle nuove contraddizioni poste in essere da questa crisi mondiale. Queste soluzioni, con qualche apparente eccezione legata alle politiche di welfare, possono essere sintetizzate con una sola parola: repressione. Ne è esempio drammatico la risposta, violentissima, alle rivolte nelle carceri.
“La situazione politica in Italia è grave ma non è seria” (Ennio Flaiano)
Da meno di una settimana sull’Italia è calata la mannaia di una legislazione di emergenza – progressivamente inasprita ogni 48 ore – per arginare la pandemia del nuovo Coronavirus, il Covid-19. Siamo nelle condizioni nelle quali non si può più nemmeno uscire di casa senza un permesso scritto delle autorità.
Oggi, a cinquant’anni di distanza, nei consessi ufficiali istituzionalizzati, si riscrive la storia ad uso & consumo del potere, su quel tragico 12 dicembre 1969, giorno della prima strage di Stato in Italia (ne seguiranno altre sette negli anni successivi). Al mercato mass-mediatico del consenso si celebra la falsità e la menzogna che fanno da ingiuria a tutte le sue vittime, si oblia e strumentalizza nell’infamia la verità.
Grida per Alfredo
Ritengo importante che i/le compagni/e anarchici/e con visioni e pratiche diverse si incontrino su questi temi. Per quanto limitato questo è il mio contributo, solo qualche spunto di riflessione critica.
Sono anarchica, non sono femminista perché percepisco il femminismo come un ripiegamento settoriale e vittimista, non ho mai fatto discriminazioni di genere anche se non uso convenzioni linguistiche gender-friendly, anzi uso spesso un linguaggio sporco e politicamente scorretto. Ritengo che nella ricerca dell’anarchia, ovvero nella pratica di rapporti antiautoritari sia già contenuto e vada coltivato l’annullamento di privilegi ed oppressioni di genere. Ah, dimenticavo, detesto l’autocoscienza in sede pubblica e pure le assemblee le ritengo uno strumento spuntato. Capisco ed ho la volontà di incontro, ma vedo come troppo spesso il momento assembleare scada nell’autorappresentazione sterile.