Contro gli assassini della memoria, fautori del terrorismo di Stato, perché nulla venga dimenticato!

Contro gli assassini della memoria, fautori del terrorismo di Stato, perché nulla venga dimenticato!

Oggi, a cinquant’anni di distanza, nei consessi ufficiali istituzionalizzati, si riscrive la storia ad uso & consumo del potere, su quel tragico 12 dicembre 1969, giorno della prima strage di Stato in Italia (ne seguiranno altre sette negli anni successivi). Al mercato mass-mediatico del consenso si celebra la falsità e la menzogna che fanno da ingiuria a tutte le sue vittime, si oblia e strumentalizza nell’infamia la verità.

Sotto una pesante coltre di servile conformismo sociale a quanto dettato da padroni e governanti di turno, vige così sovrana una profonda cultura della viltà, espressione di mille ricatti e di tanti interessati mea culpa recitati ad hoc da giornalisti, politici e intervistati di turno che oggi coprono e assolvono lo Stato, il capitalismo e i loro criminali servitori di allora.

Perché nulla venga dimenticato, occorre ricordare qui ciò che non dicono. Ossia che, ancor prima dell’avvenuta strage di piazza Fontana, lo Stato italiano, per fermare le lotte in corso durante l’“Autunno caldo” del 1969, mise in atto, col tacito e cinico assenso politico di tutti i partiti allora presenti in parlamento, la cosiddetta “strategia della tensione”. Questa strategia era volta a terrorizzare, a criminalizzare e a reprimere, con l’uso sistematico della violenza poliziesca sulla piazza, l’espandersi di un intero movimento di contestazione anticapitalista e antistituzionale formato da giovani studenti e operai che, al nord come al sud, manifestavano i segni tangibili della possibilità e della capacità di autorganizzarsi autonomamente, fuori e dentro le fabbriche (vedi la riscoperta dell’autonomia proletaria e l’idea dell’autogestione generalizzata).

Così, sull’ondata del Sessantotto, va sviluppandosi e generalizzandosi tra i lavoratori una critica radicale contro certi atteggiamenti filo-governativi manifestati dai sindacati, si inizia a mettere radicalmente in discussione la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, prende piede la contestazione dei capi e dei padroni, viene rivendicata l’interscambiabilità tra i ruoli mostrando una fortissima spinta verso l’egualitarismo salariale. Tutte queste richieste si presentavano allora come non compatibili con lo Stato sociale, né con il sistema di gestione capitalistico né con il livello di ricchezza dell’Italia che, in quegli anni, era sì tra i paesi industrializzati più avanzati ma aveva i livelli salariali più bassi, da qui la lotta legata ai contratti collettivi.

Ma il 1969 è anche l’anno in cui ci sono 150 attentati in tutta Italia, in diversi luoghi e in tante stazioni ferroviarie, piccoli attentati che quasi sempre causano solo danni materiali. E poi, c’è la prova generale di quello che si voleva fare il 12 dicembre: l’attentato del 25 aprile, le due bombe fatte esplodere alla Fiera campionaria di Milano, che poteva essere una strage ma causò pochi feriti.

Lo Stato aveva bisogno di un alibi, e dove cercarlo se non tra coloro che in quel momento, e da sempre, ancora oggi, rappresentavano la sua spina nel fianco? Così vennero arrestati gli anarchici, che con quelle bombe non c’entravano niente, ma che potevano però costituire un punto di riferimento, un facile e comodo capro espiatorio.

Quel tardo pomeriggio del 12 dicembre 1969, una persona entrò nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, lasciò una bomba e andò via. Dopo pochi minuti la valigia esplose causando 17 morti e 88 feriti. Per questo tragico fatto, quasi subito, veniva arrestato e indicato come “mostro di turno” dalla canea di reazionari, non esclusi i progressisti (leggi la presa di posizione del PCI), il compagno anarchico Valpreda e, al contempo, anche tanti altri compagni degli ambienti anarchici venivano trattenuti e interrogati in questura.

Il 15 dicembre del 1969, nel corso di questo repulisti poliziesco, il compagno anarchico Giuseppe Pinelli, dopo tre giorni d’interrogatorio, viene scaraventato, o meglio defenestrato, dal quarto piano della Questura di via Fatebenefratelli di Milano. I maggiori responsabili di questo assassinio sono, e rimangono, con la complicità di tutta una serie di poliziotti e di loschi figuri allora presenti nella stanza dell’interrogatorio, il questore Guida e il commissario Luigi Calabresi. Quest’ultimo non era un poliziotto qualunque ma un assassino prezzolato della CIA, il quale faceva arrestare numerosi compagni, sottoponendoli ad interrogatori, pressioni e torture, con un cinismo tale da guadagnarsi il titolo di “Commissario Finestra” (come era solito definirlo il compagno anarchico livornese Paolo Braschi).

Tre anni dopo l’assassinio di Pinelli, nel 1972, una rivoltella sparava e due pallottole mettevano fine alla vita di quel “galantuomo” del commissario Luigi Calabresi, davanti alla sua abitazione.

Ancora oggi, a tal proposito, sono vani i tentativi che si fanno di rimettere in piedi la figura del “bravo” commissario socialdemocratico e “aperto al dialogo”, come “vittima”, anch’esso, dell’affare di piazza Fontana. La verità è che quel birro gallonato (al pari di tanti altri allora protagonisti della faccenda) era, è e resterà un becero e vile assassino senza scrupoli che ha avuto la sorte che si meritava, al di là di chi ha premuto il grilletto.

Una cosa è certa in quest’amara constatazione: la morte di quegli innocenti, la persecuzione degli anarchici, l’assassinio di Pinelli, sono serviti allo Stato italiano per coprire i numerosi misfatti già portati a compimento prima, durante e dopo la strage di piazza Fontana. Sono serviti a coprire i fascisti, a coprire i servizi segreti, a coprire le infamità non solo dei destri ma anche dei sinistri istituzionali di allora. Il caso, ovviamente, è stato archiviato. Lo Stato si è assolto. E questa infamia continua.

Infatti, tutt’oggi, da quando nell’aprile del 2005, la corte di Cassazione ha assolto i tre fascisti che erano stati accusati dopo diversi anni dall’attentato, mentre l’opinione pubblica e le cariche dello Stato santificano la figura del loro servo Luigi Calabresi, ai familiari delle vittime non solo è stata e resterà negata la verità, suggellata tra i segreti dello Stato, ma è stato inferto senza vergogna il silente sfregio della menzogna e della falsità sull’assassinio dei propri cari uccisi in una strage di Stato, commissionata dallo Stato, e rimasta impunita.

Ma gli anarchici non dimenticano né perdonano!
Tutti sanno chi sono i responsabili.

Né lo Stato né nessun suo servitore riuscirà mai ad obliare la storia e ad assassinare la memoria del passato che li inchioda quali mandanti ed esecutori materiali di questi eccidi.

Perché nulla venga dimenticato, ieri come oggi, perché il vero terrorista è lo Stato!

Nucleo anarchico Insurrezione, Cagliari
Circolo culturale anarchico G. Fiaschi, Carrara


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