Aggiornamenti sulla sorveglianza speciale ad una compagna a Genova
Nel mese di agosto è stato emesso l’esito dell’appello contro il provvedimento di sorveglianza speciale per una compagna a Genova; la richiesta di revisione della misura, applicata con tutte le restrizioni, è stata respinta ed è risultato evidente come, malgrado l’accusa di terrorismo, pilastro fondamentale del teorema accusatorio, sia caduta, la misura sia stata mantenuta in toto sempre per lo stesso motivo, cioè “l’adesione all’ideologia anarchica”, le “aperte manifestazioni di solidarietà nei confronti dei militanti della Federazione Anarchica Informale”, per “il sostegno agli anarchici detenuti”, per “l’incitamento all’azione diretta”, per la diffusione di materiale controinformativo.
Nello stesso mese di agosto sono stati emessi a suo carico, su proposta della questura di Genova, ulteriori provvedimenti a corollario della sorveglianza volti a limitare ancora più capillarmente la sua libertà, colpendola nella sfera dei suoi affetti, aggiungendo nuovi limiti e difficoltà all’autorizzazione, finalmente concessa dopo 7 mesi di attesa, ad andare a visitare la propria famiglia che risiede fuori dal comune dove ha l’obbligo di dimora. Le è stata inoltre sequestrata la patente di guida con l’assurdo pretesto che il fatto di possederla potrebbe essere funzionale alla commistione di reati.
Continua a riproporsi, imperterrito e monotono come un disco rotto, il solito ritornello: la compagna in questione è anarchica, quindi è pericolosa, e lo conferma il fatto che sia sottoposta ad indagini in quanto anarchica. Di questo passo si potrebbe andare avanti all’infinito.
In questi tempi di sperimentazione di strumenti di controllo sociale estesi a larghe fette di popolazione, gli anarchici hanno accumulato una certa esperienza al riguardo e hanno già smascherato da tempo le menzogne della narrazione su diritti e libertà a cui sia possibile accedere nella società civile e democratica, concedendo in cambio obbedienza, delega e legittimazione: risulta abbastanza evidente il fatto che gli effetti dell’adesione al contratto sociale sono per lo più a favore di pochi e a danno di molti.
Possono mutare le condizioni contingenti ma la deriva di autoritaria di oggi non è una novità, è il perfezionamento di quegli strumenti di controllo sociale che già conosciamo, per questo i principi di base dell’idea anarchica rimangono sempre validi e indicano la via: preservare il valore della scelta individuale, mantenere viva la scintilla della critica, rifiutare la concertazione con parti istituzionali ad ogni livello, rifiutare la rappresentazione dei movimenti e del conflitto, non piegarsi alle occorrenze del realismo politico.
Non li si rivendica per sterile settarismo ma perché sono strumenti di lotta che hanno sostenuto il pensiero e l’azione, che ci si trovasse nelle strade o altrove, in tanti o in pochi, a fronteggiare con la teoria e con la pratica le tante odiose porcherie che questi tempi infami ci sbattono sulla faccia: la mercificazione delle nostre vite, il saccheggio dell’ambiente naturale, l’autorità e il controllo sociale sempre più pervasivo, le discriminazioni, la violenza dello Stato, il dilagare della logica del profitto che devasta l’umanità in una spirale di guerra, miseria e schiavitù.
Tra le motivazioni addotte per giustificare la pericolosità sociale assume rilievo l’interesse per le questioni e le lotte anticarcerarie, e non è sicuramente un caso.
Da sempre, ma nell’ultimo anno e mezzo ancora di più, le galere di ogni tipo rappresentano un vero e proprio ordigno ad orologeria che potrebbe esplodere: in quei luoghi le questioni che oggigiorno serpeggiano fra le piazze di ogni colore perdono ogni fronzolo e si trasformano in una vera e propria lotta per la sopravvivenza, e quando si lotta per la vita si può rischiare di perdere ogni remora e timore. Lottare contro il carcere nelle sue forme è lottare contro l’istituzione dello Stato stesso, è minare alle fondamenta il castello dell’autorità costituita, l’ambito dove potrebbe coagularsi nel senso più vero e fecondo la pratica della solidarietà di classe.
E tra gli altri nelle patrie galere sono rinchiusi anche i nostri compagni e pare proprio che manifestare solidarietà nei loro confronti e diffondere informazione o testi che li riguardino corrisponda a beccarsi una specie di virus che scatena inevitabilmente reazioni repressive a catena; ci sarebbe da chiedersi perché lo Stato si prenda la briga di accanirsi a punire ed isolare pochi anarchici che da sempre, si sa, non sono proprio degli specialisti nella funzione di radunare folte schiere… Perchè questi anarchici saranno anche rinchiusi dietro alte mura ma sono comunque fonte attiva di contributi nel confronto dialettico sulla lotta dentro ma anche fuori dalle galere. Perché praticare la riflessione e il confronto sugli obiettivi e le pratiche accende la miccia del pensiero e apre panorami di possibilità inaspettate.
In questa semplice osservazione sta una chiave di lettura delle misure di sorveglianza speciale che si stanno moltiplicando a Genova, e qui sta anche l’ispirazione per opporvisi. Questa misura si applica sull’individuo, ha l’intento di restringere libertà personale e il cerchio delle possibilità, isolare e ostacolare i con tatti e le frequentazioni; si insinua tra le pieghe del quotidiano, così come il livello di controllo cui si viene sottoposti, attraverso il meccanismo dell’autolimitazione, che poi tanto “auto” non è se, come nel caso della compagna, vengono applicati ult eriori livelli sempre più stringenti e asfissianti di limitazioni nel momento in cui non ci si rassegni a perdere libertà e spazi dell’agire. E allora la risposta può essere semplicemente agire in senso diametralmente opposto.
Si potrebbero avere opinioni differenti sul fatto che un percorso di opposizione alle misure di sorveglianza speciale prenda o no in considerazione il contributo di quei compagni che gli effetti di questi provvedimenti li stanno già affrontando; sicuramente le diverse visioni dipender ebbero dall’obiettivo che un percorso si propone. Il fatto di non muoversi con l’intento di costruire fronti comuni di lotta non significa essere settari, semmai indica l’intenzione di rintracciare complicità sulla base di un principio che non è per forza aggregativo.
Però sicuramente interrogarsi e confrontarsi sul significato di ciò che accade e sulle strategie per impedire che i compagni debbano affrontare da soli l’isolamento a cui lo Stato, con tutti i suoi apparati, potrebbe costringerli, è il modo per spingersi un po’ oltre e fare sì che la solidarietà non si esprima solo come testimonianza ma sia anche concretamente attiva.
PDF: Aggiornamenti sulla sorveglianza speciale ad una compagna a Genova.
[Ricevuto via e-mail il 14.09.2021].