Aggiornamenti sulla repressione anti-anarchica (agosto-settembre 2020)

Carla… dalla Francia

Ieri [25 agosto 2020], a un mese dal suo arresto, Carla è stata estradata e trasferita dal carcere di Fresnes in Francia a quello di Vigevano. In attesa di ricevere aggiornamenti sulla sua situazione nel carcere lombardo e dell’iter giudiziario che l’attende riportiamo una lettera arrivata dal carcere parigino sempre nella giornata di ieri in cui racconta l’arresto, il carcere francese e l’esperienza della latitanza.

Otre all’invito a scriverle anche al nuovo indirizzo, cogliamo l’occasione per ricordare gli appuntamenti per continuare a portarle solidarietà.

Mercoledì 26 e sabato 29 agosto dalle 16 alle 19,30 raccolta di libri e cartoline presso il centro di documentazione Porfido in via Tarino 12/c

Domenica 30 agosto h 15 presidio sotto le mura del carcere di Vigevano, per salutare tutte e le detenute lì rinchiuse e far arrivare finalmente a Carla la nostra voce, il nostro calore e tutta la nostra complicità.

* * *

Fresnes, 19 agosto 2020

Ciao,

dopo 536 giorni di latitanza sono stata arrestata il 26 luglio scorso vicino St. Etienne. Ho vissuto il mio arresto come la prima messa in scena di una rappresentazione ripetuta mille volte nella mia testa, o meglio 536 volte… Mi è sembrato che tutto andasse al rallentatore: gli sbirri col passamontagna che mi puntano contro i loro fucili, mi sbattono a terra e mi chiedono il nome che così spesso ho taciuto in questi ultimi tempi e che mi ha fatto strano pronunciare. In seguito la SDAT (reparto antiterrorista della polizia francese, ndt) mi ha portato a Parigi: quattro ore di viaggio con le manette dietro la schiena in compagnia dei loro passamontagna. Pochi chilometri prima di arrivare nella loro sede a Levallois-Perret mi hanno bendato gli occhi. Sempre loro, due giorni dopo il mio arresto, mi hanno condotto prima in tribunale e poi nella prigione di Fresnes.

Durante l’udienza che ha convalidato il mio arresto, ho accettato senza esitare la mia estradizione. Avevo seguito con attenzione ciò che era capitato a Vincenzo Vecchi (che approfitto per salutare) che invece aveva preferito rifiutare l’estradizione dandosi una possibilità di rimanere libero in Francia. Per quanto mi riguarda questo avrebbe significato attendere il processo in Francia invece che in Italia dove si trovano gli altri accusati nell’operazione Scintilla, al momento tutti liberi ad eccezione di Silvia, sottoposta tuttora a divieto di dimora dal comune di Torino.

Sembra che negli ultimi tempi l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo e l’estradizione che ne consegue, costituiscano per la giustizia europea delle semplici formalità burocratiche da espletare. Lo abbiamo visto recentemente in Italia in diverse riprese, ma anche in occasione della repressione seguita alle rivolte di Amburgo o in Grecia e in Spagna. Le polizie europee affinano le proprie armi e le loro collaborazioni sembrano essere sempre più strette, con scambi di soffiate e favori. Alla luce di questi ultimi avvenimenti penso che stia a noi interessarci alla questione e studiarne i meccanismi.

Scopro la prigione al tempo del coronavirus: la quarantena regolamentare ai nuovi giunti, la mascherina per ogni spostamento e per tutta la durata dell’aria, la sospensione di ogni attività e cella chiusa 22 ore su 24. Al termine della mia quarantena e alla vigilia della data prevista per la mia estradizione, io e tutte le altre detenute presenti nella sezione delle nuove giunte siamo state messe per la seconda volta in isolamento sanitario con la scusa che avevamo condiviso l’ora d’aria con una nuova giunta risultata positiva al covid.

I test ai quali siamo state sottoposte dopo questo conclamato caso, e che all’inizio ci era stato detto non fossero possibili per tutte le detenute, ora sono prassi per tutte le nuove giunte. Non sorprende vedere come l’amministrazione penitenziaria arrivi perennemente in ritardo.

Durante la primavera scorsa le misure adottate dall’amministrazione penitenziaria in risposta al diffondersi del Covid19 hanno causato delle rivolte e una forte solidarietà nelle prigioni. Sfortunatamente, almeno qui, sembra che convivere con il virus sia diventato la norma, e al timore che una nuova giunta sia positiva e possa contagiare le altre si aggiunge la paura di vedersi sospendere i colloqui, come è successo a noi quest’ultima settimana. I magri palliativi concessi in primavera dall’amministrazione penitenziaria sotto forma di crediti telefonici fanno ormai parte del passato e un piccolo gruppo di nuove giunte non può essere all’altezza delle grosse mobilitazioni dello scorso marzo. Aspetto l’estradizione da un momento all’altro e so che molto probabilmente quando arriverò in Italia mi aspetterà un terzo periodo di isolamento sanitario.

Per il momento mi godo tutte le dimostrazioni di solidarietà dopo tanto silenzio. Malgrado le pubblicazioni sul tema, sicuramente preziose, la latitanza viene considerata ancora troppo spesso come un’avventura romantica e si pensa di solito ai/alle compagni/e come liberi/e. In quest’anno e mezzo non mi sono mai mancati né la solidarietà né un sostegno caloroso, non mi è mai mancato nulla, ma non si è liberi quando si è privati della propria vita.

Avrei voluto essere in strada assieme ai/lle miei compagni/e durante le manifestazioni in risposta allo sgombero dell’Asilo, ho accompagnato con il pensiero lo sciopero della fame lanciato da Silvia, Anna e Natascia, ho pensato ogni giorno ai/lle compagni/e arrestati/e nelle ondate successive. Avrei voluto essere al fianco dei miei familiari quando hanno conosciuto dei momenti difficili e avere loro notizie durante il lock-down.

Oggi sono pronta e determinata ad affrontare i prossimi mesi, ma il mio pensiero va a coloro che sono ancora in giro, spesso lontani dalle persone care. Spero possano rimanere in giro fin tanto che lo vorranno e che gli incontri che faranno diano loro il calore e la forza per continuare a lottare.

Carla

Per scriverle ricordiamo il nuovo indirizzo:

Carla Tubeuf
Casa Circondariale di Vigevano
via Gravellona 240
27029 Vigevano (PV)

Tratto da ilrovescio.info.


Nuovo indirizzo di Claudio Lavazza

Questo è il nuovo indirizzo del compagno anarchico imprigionato Claudio Lavazza:

Claudio Lavazza
CP Teixeiro – modulo 11
carretera de Paradela s/n
15310 Teixeiro – Curtis
A Coruña — España


Operazione Bialystok: Roberto è stato trasferito ad Alessandria

Apprendiamo che nel mese di agosto 2020, Roberto, arrestato per l’operazione repressiva «Bialystok», è stato trasferito dal carcere di Roma Rebibbia a quello di S. Michele ad Alessandria. Questo è il nuovo indirizzo:

Roberto Cropo
C. R. “S. Michele” — Alessandria
strada statale per Casale 50/A
15121 Alessandria


Operazione Bialystok: saluti solidali a Claudio recluso nel carcere di Cavadonna a Siracusa

In questa calda estate, un gruppo di solidali si è recato un paio di volte al carcere di Cavadonna (Siracusa), per portare un saluto a Claudio e a tutti i detenuti. Fuochi e urla di libertà hanno spezzatto il silenzio che avvolge il carcere.

Claudio libero!
Tuttx liberx!

Questo è l’indirizzo di Claudio:

Claudio Zaccone
C. C. di Siracusa
strada Monasteri 20/C
Contrada Cavadonna
96100 Siracusa

Tratto da roundrobin.info.


Riprende il processo Scripta Manent a Torino

Il 1° luglio si è tenuta la prima udienza d’appello del processo «Scripta Manent». Sono 23 gli imputati e le imputate per cui si sta procedendo.

Nella prima udienza il PM ha richiesto di depositare le sentenze del processo contro le CCF in Grecia, di ascoltare due Digos romani a testimoniare su di un pedinamento effettuato nel 2005 nell’ambito dell’operazione «Crocenera», inoltre di acquisire la seconda e terza parte dell’intervista ad Alfredo Cospito nel giornale anarchico “Vetriolo” del 2019/2020 [si tratta del testo, suddiviso in tre parti e pubblicato in altrettanti numeri del giornale, intitolato “Quale internazionale? Intervista e dialogo con Alfredo Cospito dal carcere di Ferrara”] oltre al contributo, sempre di Alfredo, all’assemblea anti carceraria di Bologna del 9 giugno 2020. La corte ha deciso di acquisire i documenti di Alfredo, mentre per quanto riguarda le sentenze greche, una è stata acquisita solo come dato storico, ma non per il contenuto, e la seconda non è stata acquisita.

Il PM Sparagna ha iniziato a dibattere nelle udienze di luglio e continuerà nei giorni del 7-8-9 settembre (le altre udienze sono state fissate l’11, il 16, il 18 ed il 24 dello stesso mese). Nell’ assurda strategia della procura rientra il fare scempio dei nomi e delle idee di alcuni compagni anarchici che rappresenterebbero l’anarchismo insurrezionale «buono» contrapposto all’anarchismo «criminale» (così lo hanno definito) rappresentato dai compagni cosiddetti «nichilisti». È importante non far passare questo ennesimo tentativo di divisione «buoni/cattivi».

Come sollecitato anche da alcuni compagni in carcere, è importante la presenza in aula nelle date del 7, 8 e 9 settembre in cui Sparagna riprenderà parola, perchè in quell’aula verrà decisa la strategia futura delle procure nei riguardi degli anarchici/e.

Solidarietà ai compagni ed alle compagne sotto processo.


Mobilitazioni solidali a Torino ed Alessandria per il processo Scripta Manent

A settembre si terranno a Torino numerose udienze del processo d’appello dell’operazione «Scripta Manent», in cui 23 anarchiche e anarchici sono imputati a vario titolo per episodi e pratiche di attacco che appartengono al patrimonio delle lotte contro l’Autorità.

Operazione su operazione, processo dopo processo, lo Stato affina gli strumenti giuridici per criminalizzare l’agire anarchico e rivoluzionario, colpire le lotte, soffocare la solidarietà, inasprire l’isolamento carcerario per le prigioniere e i prigionieri.

Da una parte, lo Stato e il Capitale, con le discriminazioni, la repressione, lo sfruttamento, le guerre e le stragi di cui si rendono responsabili ogni giorno
Dall’altra diverse pratiche e strumenti per mettere in discussione, ostacolare, attaccare ruoli e strutture responsabili di tutto questo.

Siamo orgogliosi e orgogliose di aver scelto da che parte stare. Orgogliose e orgogliosi di lottare.

Giovedì 24 settembre dalle 9.00: PRESENZA ALL’AULA BUNKER DEL CARCERE DELLE VALLETTE (dentro e fuori), a Torino.

Sabato 26 settembre ore 11.00: PRESENZA SOLIDALE IN PIAZZA BORGO DORA (Torino).

Domenica 27 settembre dalle 15.00: PRESIDIO AL CARCERE DI ALESSANDRIA.

Solidali con gli imputati nel processo «Scripta Manent».
Ostili all’alienazione dei processi in videoconferenza e ai provvedimenti per impedire la presenza solidale in aula.
Contro tutte le forme di reclusione.
Per non dimenticare le proteste e le rivolte nelle carceri del marzo scorso, represse dallo Stato con 13 morti, pestaggi e trasferimenti di massa.
Per rivendicare che lottare è giusto e necessario.

Cassa Anti Repressione delle Alpi Occidentali

– In rete o sui 105.250 FM di Radio Black Out, si darà conferma della data di presenza all’aula bunker (in base ad eventuali modifiche nel calendario del processo).


Aggiornamento sul processo Brennero

Le prossime udienze del processo «Brennero» (2), ossia il troncone per devastazione e saccheggio, lesioni, resistenza (…), sono previste per l’11 settembre, il 2 e il 9 ottobre, per le 10.00 a Bolzano. In tutte le prossime udienze verranno fatte le arringhe difensive.


Processo Brennero: le date delle prossime udienze e una proposta di dichiarazione collettiva

Il processo per la manifestazione al Brennero (troncone “devastazione e saccheggio”) sta arrivando alle battute finali. Le prossime udienze saranno l’11 settembre, il 2 e il 9 ottobre, sempre alle ore 10,00. L’udienza in cui si possono fare “dichiarazioni spontanee” – individuali e collettive – è quella di venerdì 11 settembre. Tra un po’ di imputati e imputate c’è la volontà di fare una dichiarazione comune – di cui si è parlato all’assemblea convocata apposta lo scorso marzo. Se altri che non han potuto partecipare fossero interessati a leggere il testo e a condividerlo, ci contattino all’indirizzo: torniamoalbrennero[at]anche.no


Operazione Ritrovo: rigetto dell’istanza di revoca delle misure cautelari

3 agosto, dal tribunale di Bologna.

La sostituta, Roberta Dioguardi (sic!), del Gip in vacanza ha rigettato in toto l’istanza di revoca/modifica delle misure cautelari che ancora gravano su sei compagne e compagni per l’operazione «Ritrovo».

I sei resteranno con l’obbligo di dimora, chi a Bologna e chi a Milano, e il rientro notturno dalle 22 alle 6.


Sul prelievo del DNA in seguito agli arresti dell’operazione Ritrovo

Pur essendo trascorsi due mesi dalla nostra scarcerazione, vogliamo raccontare brevemente com’è avvenuto il prelievo del DNA in uscita. Sono stati scritti tanti testi e approfondimenti a riguardo, ma riteniamo importante collettivizzare le esperienze dirette, per trarne eventualmente degli spunti.

Premettiamo che eravamo in quattro differenti carceri (Vigevano, Piacenza, Alessandria, Ferrara) e la scarcerazione è avvenuta per tutte/i il 30 maggio, anche se in orari diversi.

Nel caso delle compagne e dei compagni che hanno inizialmente rifiutato di dare il DNA volontariamente, la reazione da parte delle guardie è stata la stessa: minaccia di trattenerci per più tempo, finché non fosse arrivato l’ok del PM per il prelievo coatto. In un caso hanno direttamente dichiarato che avrebbero proceduto con il prelievo coatto, dato che lo Stato glielo permetteva.

Successivamente, le linee tenute sono state le seguenti:

1) Alessandria: non essendo arrivato l’ok del PM in tempi brevi, le guardie hanno intimato i compagni di denunciarli per resistenza a pubblico ufficiale, ma nessuna denuncia è stata notificata. I compagni sono usciti senza essere sottoposti al prelievo del DNA.

2) Ferrara: siccome il PM non risultava reperibile e quindi l’ok tardava ad arrivare, le guardie hanno proposto ai compagni che fosse il personale medico (e non della penitenziaria) ad effettuare il tampone. I compagni sono riusciti a mettersi in contatto con l’avvocato e, dopo una consultazione con lo stesso, sono stati resi edotti dell’effettiva possibilità di un trattenimento in carcere assai dilatato e indefinito (a seconda dei tempi di attesa dell’autorizzazione del PM); hanno quindi deciso di accettare.

Alla fine il prelievo è stato effettuato da un’infermiera. Sarebbe importante capire cosa comporti il fatto che il tampone sia stato effettuato da una persona formalmente non abilitata a farlo e che non sia stato firmato il foglio in cui si dichiara di fornire spontaneamente il DNA (quindi c’è un prelievo che non è coatto, ma allo stesso tempo senza il consenso dell’interessato). Altra cosa da capire bene è per quanto tempo una persona può esser trattenuta una volta arrivato l’ordine di scarcerazione, perché a Ferrara hanno minacciato di farlo per almeno 3 giorni (fino al martedì, quando la scarcerazione è stata notificata il sabato) causa festività e relativo ponte; la cosa è decisamente poco probabile, ma sarebbe da accertare se esiste una disposizione univoca in merito o se l’eventuale trattenimento in carcere è a discrezione della direzione di ogni istituto.

3) Piacenza: in seguito al rifiuto di dare il DNA spontaneamente, sono partite minacce da parte delle guardie (“portatele la corda per impiccarsi” rivolto a una delle due compagne). Dopo circa due ore di attesa, un gruppo di diverse guardie tra uomini e donne -guidato dall’ispettore, noto soggetto amante dei metodi forti- ha preso separatamente le compagne con la forza per portarle nella sala del prelievo. È stato affermato che l’autorizzazione del PM fosse arrivata, ma -nella concitazione del momento- le compagne non hanno chiesto di vederla: a posteriori, questo è stato un errore, poiché successivamente si è scoperto che nelle altre carceri la stessa autorizzazione non era arrivata. In assenza di autorizzazione del PM al prelievo coatto, il DNA viene messo in banca dati ma, a quanto ci risulta, non dovrebbe essere utilizzabile qualora venga dimostrato che il prelievo sia avvenuto in assenza di autorizzazione. Dopo essersi infilato i guanti l’ispettore ha dichiarato di poter esercitare la forza “in quanto maschio” e che questo potere gli era stato “conferito dallo Stato”. In seguito al prelievo coatto ha falsificato la firma di una delle due compagne, minacciandola affinché non sporgesse denuncia. Il prelievo è stato fatto con la forza: ginocchia in pancia, naso tappato, braccia bloccate, pressione sulla mandibola e sulle guance e testa rivoltata indietro tirando i capelli. Nonostante gli spiacevoli metodi subiti ci si augura almeno che la precisione dei campioni prelevati sia venuta meno, dato che il tutto si è svolto in condizioni tutt’altro che asettiche.

4) Vigevano: il prelievo è avvenuto senza ostacolo per le guardie e per il medico. La compagna è stata prelevata e portata nell’ambulatorio completamente circondata da energumeni. Non ha opposto resistenza perché ha ritenuto di non sentirsi in grado di portarla fino in fondo.

Alla luce di queste esperienze, avvenute nell’arco della stessa giornata, risulta chiaro che qualora l’autorizzazione del PM non arrivi ogni carcere possa decidere a sua discrezione come procedere. Già sapevamo, ma abbiamo avuto ulteriore conferma, che sia possibile uscire con una denuncia o, ancora meglio, con una minaccia di vedersela notificare. Abbiamo purtroppo anche avuto conferma del fatto che il prelievo coatto, per il semplice esercizio della forza che comporta, sia vissuto da certe guardie come un’immensa soddisfazione e questo ci ha fatto riflettere. Tuttavia ci lascia un sorriso il fatto di poter sperare che la precisione di alcuni campioni sia stata resa meno certa.

Il prelievo del DNA non segue delle prassi standard in ogni dove; a maggior ragione è di grande importanza uno scambio di esperienze a riguardo, affinché chi si troverà in futuro di fronte ad un prelievo (e potrà esercitare una scelta) possa avere ulteriori strumenti esperienziali per scegliere fin dove spingersi e a che fine.

Il rifiuto di dare volontariamente il proprio DNA non è una postura ideologica, ma è una scelta che consente di ridurre i margini di precisione o di utilizzabilità di ciò che la controparte prende con la forza. Certo, i quesiti sono ancora tanti, ma è bene continuare ad approfondire il tema e le pratiche di contrasto all’utilizzo di un reperto che spesso in tribunale vorrebbe essere fatto passare come prova scientificamente oggettiva.

Tratto da roundrobin.info.