L’affare Covid. Tra Emergenza spettacolare ed epidemia dolosa

Pubblichiamo un lungo articolo di analisi sull’epidemia di Covid-19 comparso nel sito internet Il Rovescio. Qui di seguito due collegamenti dove poter scaricare il testo in formato pdf.

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L’AFFARE COVID
Tra Emergenza spettacolare ed epidemia dolosa

Nelle repubbliche [dell’antichità] le cagioni degli avvenimenti erano appresso a poco manifeste, si pubblicavano le orazioni che aveano indotto il popolo o il consiglio a venire in quella tal deliberazione, le ambascerie si eseguivano in pubblico, ec. e poi dovendosi tutto fare colla moltitudine le parole e le azioni erano palesi, ed essendoci molti di egual potere, ciascuno era intento a scoprire i motivi e i fini dell’altro e tutto si divulgava. […] Ma ora che il potere è ridotto in pochissimi, si vedono gli avvenimenti e non si sanno i motivi, e il mondo è come quelle macchine che si muovono per molle occulte, o quelle statue fatte camminare da persone nascostevi dentro. E il mondo umano è diventato come il naturale, bisogna studiare gli avvenimenti come si studiano i fenomeni, e immaginare le forze motrici andando tastoni come i fisici.
Giacomo Leopardi, Zibaldone (120), 11 giugno 1820

Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso.
Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967

Una “narrazione” che scricchiola

Un paradigma scientifico, come ci ha ben spiegato Thomas Kuhn nella sua opera più nota1, è un modello di interpretazione della realtà che ci permette di spiegarla unificando i diversi fenomeni in una trama più o meno coerente. Senza uno sguardo d’insieme, avremmo di fronte soltanto una massa di dati incomprensibili. Ma un paradigma, diceva il vecchio filosofo della scienza, può mantenersi solo finché le anomalie che contraddicono la teoria non diventano “troppe”. A quel punto il paradigma salta, e inevitabilmente ne sorge un altro dalle sue ceneri. L’ultima parola, diceva Kuhn, ce l’ha la “comunità scientifica”. Da ciò si può dedurre come il valore di una teoria, qualsiasi teoria, dipenda nel nostro mondo da almeno tre elementi: l’attinenza della teoria ai fatti e la sua capacità di spiegarli; il parere degli “esperti” in materia; la rilevazione delle anomalie. Non consegnarsi mente e corpo a “esperti” di ogni sorta – si tratti di scienziati, di politici, di “intellettuali”… – dipende quindi da quanti di noi saranno capaci di non chiudere gli occhi e la bocca di fronte alle “anomalie”, ovvero a quanto non si spiega attraverso un certo modello. Se questo è vero per una teoria scientifica, lo è ancor di più per i fatti sociali: giacché pochi di noi hanno usato un microscopio elettronico o un acceleratore di particelle, ma tutti abbiamo esperienza di come “gira il mondo”. Solo che in questo caso non si parla più di “paradigmi” ma – usando un ambiguo vocabolo post-moderno – i modelli interpretativi vengo chiamati “narrazioni”. E già si comincia a sentirsi presi per il culo.

Crediamo che, fin dall’inizio, a molti di noi la “narrazione globale” sul Covid19 abbia suscitato almeno qualche dubbio. Alzi la mano chi non è stato sfiorato, foss’anche per un solo minuto, da questo pensiero: “ma come, c’è in giro un morbo che ammazza gli ultra-ottantenni2 e il mondo si ferma?”. Per prevenire le obiezioni di chi urlerà a un nostro presunto cinismo – assolutamente prevedibili, dopo un anno di bombardamenti mediatici al piombo fuso – ci teniamo subito a specificare che il nostro è un giudizio di fatto (e non di valore). Un po’ strana, in un mondo dominato dal cannibalismo del potere e del denaro, questa improvvisa “sensibilità globale” verso i più fragili, non credete? Ma andiamo avanti. Pensiamo che dopo un anno di restrizioni, confinamenti e allarmi, la diffidenza verso la “narrazione dominante” – al netto, ovviamente, dei condizionamenti mediatici di cui sopra – dovrebbe solo essere cresciuta. Chi sta scrivendo queste righe ha avuto la fortuna di trascorrere quest’anno terribile in compagnia di decine, se non centinaia di persone che hanno continuato a frequentarsi, mangiare insieme e persino far festa (che vergogna!) senza prendere particolari precauzioni. Di queste centinaia, pochi si sono infettati; e di questi pochi solo alcuni hanno avuto sintomi pesanti – per intenderci: forte affaticamento, dolori acuti alla testa e alle ossa, fiato corto… –, mentre nessuno o quasi nessuno ne ha avuti di gravi (da rischiare di passare a miglior vita, per intendersi). Nel frattempo, il barista ultrasettantenne del paese in cui abitiamo è stato dichiarato – a mezzo del solito tampone – morto per Covid. Chi ha parlato con i suoi familiari sa invece che è morto per un’infezione alle vie urinarie. Invece un nostro amico, di età molto avanzata, si è ammazzato durante il primo lockdown, dopo essere cresciuto, con animo comunista, sotto il fascismo – ed aver vissuto la Seconda Guerra Mondiale. Esperienze personali, si dirà, che dicono poco. Giusto. Allora allarghiamo un po’ lo sguardo.

Nel fragore della tempesta mediatica, le notizie si rincorrono e si perdono (si finisce per non rifletterci neanche un minuto). Così è passato quasi inosservato che una ricerca dell’Istituto Tumori di Milano in collaborazione con l’Università di Siena 3 avrebbe rilevato, tramite test sierologico, la presenza di anticorpi del virus Sars-Cov2 nel sangue di 111 pazienti su 959 che si erano sottoposti a test diagnostici per individuare possibili tumori incipienti (si parla dell’11% degli esaminati). Di questi 111, un 14% di individui, provenienti da 13 regioni diverse, avrebbe avuto gli anticorpi del Covid a settembre 2019, il che implicherebbe un contatto con la malattia già nell’agosto, se non prima. E i conti non tornano. Non solo il virus doveva essere già presente in 13 regioni italiane ma, calcolatrice alla mano, il 14% di 111 dà circa 14 o 15 individui. Calcolando che la malattia fa il suo corso in massimo due settimane, e che l’Rt del Sars-Cov2 viene fissato a 4 dalla propaganda medico-statale (cioè ogni individuo, al netto di precauzioni come distanze e mascherine, ne infetterebbe altri 4 in condizioni “normali”), non è difficile ricavarne che a gennaio 2020, in Italia, avrebbero dovuto esserci già milioni di contagiati e migliaia di morti. Non solo ciò non è avvenuto, ma osservando la curva della mortalità complessiva della popolazione italiana (per capirci: i morti per tutte le cause, e non solo quelli attribuiti al Covid19), si vede come questa si sia impennata esattamente con l’inizio delle restrizioni (in Italia tra l’8 e il 9 marzo, mentre nelle zone della Lombardia precedentemente chiuse la curva si impenna già dalla fine di febbraio)4. Nel frattempo un’analoga ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità avrebbe individuato il virus nelle acque del Po a dicembre 20195. Si potrebbe obiettare, come peraltro avanzato da più parti, che gli attuali metodi di rilevazione del Sars-Cov2 (basati sulla PCR come i famigerati tamponi, o sulla rilevazione degli anticorpi come nel caso del test sierologico, a sua volta calibrato sulle “evidenze” fornite dai tamponi), ovvero i mezzi con cui sono state effettuate queste ricerche, non sono affidabili, poiché non sarebbero mai stati né standardizzati né validati secondo le procedure riconosciute come corrette dalla comunità scientifica6. Se ciò fosse vero (non abbiamo le conoscenze per giudicarne), la ricerca di Milano e Siena non sarebbe affidabile, e quindi non potrebbe essere utilizzata per calcolare la curva epidemiologica. Verissimo. Ma questo farebbe crollare, in modo ancora più strutturale, tutta l’impalcatura della narrazione sul Covid19.

Il convitato di pietra

Ma il vero convitato di pietra, per tutta la narrazione sulla pandemia e per chi la alimenta, è un altro: che la malattia si può curare e viene curata, al di fuori degli ospedali e senza terapie intensive. E che chi l’ha fatto – centinaia, se non migliaia di medici, in Italia e nel mondo – non ha trovato presso i palazzi governativi se non sordità e ostacoli, quando non ha ricevuto minacce di sanzioni e radiazioni dall’Ordine.

Procediamo un passo alla volta. A livello internazionale, un numero imprecisato di medici si è unito nel Movimento Ippocrate. Visitando il loro sito (ippocrateorg.org) si scopre che il movimento è presieduto da un Comitato Scientifico di 20 medici e scienziati di nove paesi diversi (Cile, Italia, Libano, India, Regno Unito, Madagascar, Stati Uniti e Mauritius). Che la maggior parte di questi siano italiani, come vedremo, non è affatto casuale. Sostengono che l’unico modo di evitare che il Covid si trasformi nella catastrofe che è diventato, sia curarlo tempestivamente a casa: a partire dal monitoraggio dei sintomi e della febbre, e con la somministrazione graduale di farmaci. Chi sono questi medici? Si tratta forse di pericolosi sovversivi? Di guru che manipolano le energie sottili? Di fanatici e temibilissimi “no vax”? Da quando il mondo è “globale”, siamo diventati tutti più diffidenti.

Per farcene un’idea guardiamo cosa scrive il loro coordinatore Mauro Rango (che è italiano, ma vive alle Mauritius), nei vari articoli del sito internet. Nella pagina “Come si affronta il COVID” possiamo leggere: «Non è il momento delle polemiche. Comprendiamo che le istituzioni sono giuridicamente obbligate a seguire delle prassi che ne rallentano fin troppo le decisioni, cosa che, purtroppo, è INCOMPATIBILE con una pandemia, durante la quale, fatta salva tutta la PRUDENZA del caso, le decisioni vanno prese con la necessaria URGENZA». E ancora: «Siamo certi che le stesse autorità apprezzeranno i nostri sforzi nell’adozione della massima oggettività SCIENTIFICA nella redazione di quanto consigliato, basata ANCHE sulla fase empirica che, di fatto, la categoria medica di tutto il mondo sta adottando da mesi per far fronte all’ESIGENZA NON RINVIABILE DI SALVARE VITE UMANE». Non sembrano toni esattamente incendiari. Di più: il signor Rango sembra dimostrare la pazienza dei santi a mantenere certi toni, se alla pagina “Chi siamo” constata: «Il panorama caotico che si prospetta ha indotto diversi livelli di potere a fornire risposte “non risposte” […]. Abbiamo assistito, con accenti diversi in relazione al luogo geografico, alle reazioni scomposte del mondo scientifico cosiddetto ufficiale: illustri rappresentanti della medicina, delle varie branche della ricerca, virologi, immunologi, epidemiologi e via dicendo, spesso in contrasto tra loro, erano però concordi nel contrapporsi ad altri loro colleghi che, tra mille difficoltà, sul campo, ricercavano una soluzione concreta di fronte al dramma umano e, tra mille difficoltà, intraprendevano alcune terapie per poter salvare vite. Questi ultimi non accettavano di lasciare il paziente intubato con la sola somministrazione di ossigeno solo perché non arrivavano precise direttive dall’alto. […] Laddove questa responsabilità [la cura attraverso dei farmaci] è stata presa, la mortalità è rimasta contenuta».

Torniamo adesso in Italia, e vediamo cosa è successo in questo anno di Stato d’Emergenza. Nel Paese in cui «la situazione è più fuori controllo» (ibidem, “Come si affronta il Covid19”), e in cui infatti si registra il più alto numero mondiale di decessi attribuiti al virus, non c’erano soltanto i medici e gli infermieri “che combattevano nelle trincee” dei reparti ospedalieri e delle terapie intensive, come vuole una propaganda dal linguaggio bellico. C’erano e ci sono anche umili medici di famiglia, che “lottavano contro il Covid” casa per casa, paziente per paziente. Spesso non facevano tamponi, semplicemente ascoltavano i polmoni con lo stetoscopio, e più in generale cercavano di cogliere i sintomi per tempo. Si tratta di medici di tutta Italia, da Milano a Reggio Calabria, passando per Piacenza, Treviso, Trieste, Firenze, Livorno7. E il racconto di tutti questi sanitari è lo stesso: il Covid si cura con una miscela di farmaci8 del normale prontuario medico, somministrati secondo i sintomi, il bisogno e lo stato di salute generale del paziente; è fondamentale la tempestività dell’intervento; tutti i pazienti curati sono stati salvati, con una percentuale bassissima di ospedalizzazioni e nessun morto9. C’è un farmaco che risulta particolarmente efficace, e che è il vero e proprio filo di Arianna di una strana malattia-labirinto in cui niente torna. Una malattia che si può curare a casa, ma che viene “curata” solo a colpi di terapie intensive sui malati e restrizioni su almeno metà della popolazione mondiale. Forse qualcuno dei nostri lettori ha già sentito parlare di questo farmaco. Si chiama idrossiclorochina.

Da restarci secchi

Balzata agli onori delle cronache nei primissimi tempi della Grande Emergenza, grazie all’uso scriteriato che dichiarava di farne Donald Trump10, l’idrossiclorochina è un farmaco in uso fin dal 1955, dalle proprietà antivirali e antinfiammatorie, noto soprattutto per il suo impiego contro la malaria e l’artrite reumatoide, ma da sempre utilizzato anche contro le polmoniti interstiziali (come quella che può venir generata dal virus Sars-Cov2), impiegato e “raccomandato” in Cina già dai primi mesi dell’epidemia (a proposito di quando ci dicono che la “Repubblica popolare” avrebbe risolto il problema solo con quarantene e carri armati…)11 e già impiegato nella “crisi sanitaria” della prima Sars del 200312. Non è il solo farmaco impiegato contro il Covid, poiché è noto anche l’uso di altri medicinali come l’azitromicina (un antibiotico) e l’eparina (quest’ultimo in funzione anticoaugulante), nonché del redemsvir, che però in Italia è a solo uso ospedaliero; per non parlare del ruolo tanto preventivo che curativo della vitamina D, assimilata dal nostro organismo sia attraverso alcuni alimenti sia – soprattutto13– dal sole. A parere dei medici che l’hanno usata, però, l’idrossiclorochina risulta il farmaco più efficace. Questo medicinale è, fin dall’inizio della “pandemia”, anche il più boicottato dalle varie agenzie del farmaco. Ma il vero e proprio “caso” dell’idrossiclorochina scoppia il 14 maggio, quando l’Aemps (l’Agenzia del farmaco spagnola) lancia l’allarme sul proprio sito: questo farmaco avrebbe provocato disturbi psichici e ideazioni di suicidio in sei pazienti non meglio identificati14. L’EMA (l’Agenzia del farmaco europea) avvia immediatamente un processo di verifica. Il 22 maggio “The Lancet”, la più prestigiosa rivista medica britannica, scende in campo con uno “studio” allarmistico secondo il quale l’idrossiclorochina aumenterebbe la mortalità degli affetti da Covid. Se l’OMS sospende immediatamente ogni sperimentazione del medicinale, e tutte le varie agenzie nazionali del farmaco ne vietano l’uso (la relativa nota dell’Aifa italiana è del 26 maggio)15 l’articolo in questione viene smentito dopo pochi giorni: nella stessa giornata del 26 maggio il ricercatore italiano Andrea Savarino, dell’Istituto Superiore di Sanità, rileva errori marchiani nella compilazione dei dati su cui si fonda lo studio; nel giro di pochi giorni un’inchiesta del “Guardian” denuncia che i dati non sono mai stati raccolti, ma proprio inventati di sana pianta16; il 29, una lettera all’editore della rivista firmata da 120 ricercatori di tutto il mondo costringe il “Lancet” a ritirare la pubblicazione. Da tutta la vicenda, dove «a essere messa in discussione è la laicità e l’integrità dell’intero sistema delle pubblicazioni scientifiche»17, emerge che la raccolta dei dati è stata effettuata da una società “fantasma” di Chicago, la Surgisphere, che si occupa di Big Data e intelligenza artificiale; e che il suo fondatore nonché principale proprietario (un tale Sapan Desai) è non solo coautore dell’articolo del “Lancet”, ma anche di un secondo studio scellerato riguardo l’uso di un altro medicinale (l’ivermectina): sulla spinta di quest’ultimo articolo, in Bolivia le autorità sanitarie hanno provveduto a distribuire l’ivermectina in una versione veterinaria, con risultati disastrosi. Nel frattempo, quei Paesi “in via di sviluppo” (in particolare del Sudamerica) che contro il Covid adottano l’idrossiclorochina e più in generale le opportune cure domiciliari (oltre che, in alcuni casi, terapie più raffinate come gli anticorpi monoclonali o la plasmaferesi), stanno ottenendo ottimi risultati, con tassi di letalità e mortalità bassissimi18.

Del tutto incurante della figura vergognosa fatta dal “Lancet”, l’Aifa italiana continua a vietare la somministrazione dell’idrossiclorochina. Contro questa decisione assolutamente scellerata, 44 medici italiani, coordinati e rappresentati dall’avvocato Erich Grimaldi, inoltrano una petizione all’Aifa, che però va avanti per la sua strada contro ogni evidenza. Ancora inascoltati, i “44 dell’idrossiclorochina” si rivolgono al Consiglio di Stato, al quale presentano un’istanza corredata da ampia documentazione clinica per permetterne la somministrazione. Quello dell’idrossiclorochina diventa un “caso di Stato” silenzioso. A metà novembre due alti papaveri, il coordinatore alla gestione dei malati Covid Matteo Bassetti, già primario di Malattie Infettive all’Ospedale San Martino di Genova, e il noto Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, replicano all’istanza dei medici di base presentando memorie e protocolli di “cura” alternativi, e continuano a negare contro ogni evidenza l’efficacia dell’idrossiclorochina19. Nonostante ciò, alla fine Davide vince contro Golia: il 10 dicembre 2020, il Consiglio di Stato autorizza finalmente la somministrazione, per quanto off label (e quindi senza rimborsabilità).

Riflettiamo un attimo. Da una parte abbiamo centinaia di medici di famiglia, sparpagliati, per quanto riguarda il caso italiano, da una parte all’altra della penisola. Medici che prima neanche si conoscevano, e che si sono messi in contatto via chat solo con l’inizio dell’Emergenza. Tutti loro raccontano la stessa esperienza, adottano le stesse terapie e sostengono l’efficacia di un farmaco comunemente utilizzato fino a maggio 2020, e che insieme ad altri medicinali ha salvato la vita a tutti i loro pazienti. Dettaglio non da poco, la maggior parte di questi medici non soltanto non cerca, ma evita il conflitto con le istituzioni (dei “dissidenti” dichiarati diremo dopo). Dall’altra parte abbiamo un allarme totalmente infondato lanciato da un’agenzia nazionale del farmaco e rilanciato dalla relativa agenzia europea; uno studio pubblicato da una prestigiosissima rivista medica che si rivela talmente ciarlatanesco da essere smentito in pochi giorni; il boicottaggio di una cura manifestamente efficace, al quale in Italia prendono parte almeno due medici in posizione apicale nella gestione dell’Emergenza, oltre all’agenzia del farmaco nazionale. In tutti i sensi, c’è da restarci secchi.

Se cominciamo a pensare che le cure siano state disorganizzate e ostacolate ad arte dalle massime autorità sanitarie, è perché ci piace pensar male? E se ne deduciamo che questa è la chiave dell’incubo che viviamo ormai da un anno – è perché siamo paranoici?

Sguardo d’insieme

Se lo Stato d’Emergenza non ci ha spinto a rinunciare completamente a far uso dell’intelletto, non è troppo difficile capire cosa è successo, almeno nei suoi termini più generali, dall’inizio dell’Emergenza. Per intenderlo, però, bisogna ricordarsi di ciò che abbiamo sempre pensato, e con ottimi motivi, prima che tutto l’Affare Covid ci facesse vergognare anche solo di essere sfiorati da simili pensieri. Non siamo nati ieri, e che il capitalismo si fondi su relazioni strettissime tra Stati, imprese e gruppi di interesse, dovremmo darlo per scontato. In tutto ciò, le istituzioni e le autorità sanitarie (dall’OMS alle agenzie del farmaco, passando per i vari Ministeri della Salute e Ordini dei medici nazionali) non sono affatto entità “neutre”, ma gangli di una rete che unisce riviste scientifiche e facoltà universitarie, mondo della ricerca e apparato militare, colossi finanziari e grandi multinazionali (con alla testa le corporation tecno-scientifiche). Se molti hanno intuito fin dall’inizio che la cosiddetta “pandemia” ha messo nelle mani del Gran Capitale tecnologico un’arma formidabile per avviare il modo di produzione informatico, e se sono piuttosto intuibili le spinte di Big Pharma nell’attuale campagna militar-vaccinale, a mancare finora è stata la comprensione delle reali cause alla base dell’Affare Covid e delle meccaniche con cui è stato attuato. Ripensiamo a cosa abbiamo vissuto in questo anno, alla luce di quanto detto sopra.

Per cause tutt’altro che note, compare nei cinque continenti una forma influenzale nuova e più aggressiva del solito, generata da un virus finora sconosciuto. I media di tutto il mondo, all’unisono, proiettano sui teleschermi le immagini di Wuhan nella morsa dell’Emergenza, cominciando a insinuare che il morbo potrebbe raggiungere le nostre latitudini. L’allarme cresce di settimana in settimana, a partire dall’Italia: prima con il noto caso dei turisti cinesi a Roma, ricoverati allo Spallanzani già a gennaio, e poi, a febbraio, con il famoso “paziente zero” in quel di Codogno. Allarmati da una paura mediatica decisamente virale, tanti e tante, fin dai primi sintomi, corrono al Pronto Soccorso. Gli ospedali – questa ormai è storia nota – si trasformano rapidamente nei principali focolai del contagio. Che l’Emergenza sia cominciata in Lombardia, e che là si sia aggravata molto più che altrove, non è affatto un caso in questa vicenda: ciò non è successo tanto – come abbiamo pensato in molti in una prima fase – per le particolari condizioni ambientali, demografiche e sanitarie di quella regione, peraltro nient’affatto felici, quanto per la sua sanità completamente aziendalizzata e concentrata nei grandi ospedali20. Capire nel dettaglio cos’è successo, a questo punto, non è semplice, ma allo stesso tempo è nel suo complesso afferrabile. Fin dall’inizio, il grande assente nella narrazione ufficiale sul Covid19, nella quale ogni giorno sentiamo ripetere tutto e il suo contrario senza alcun rispetto della logica, è stato il concetto più semplice e conseguente a quello di malattia: la cura. Quello che ci è stato più ripetuto, fin dall’inizio e fino alla nausea, non è stato tanto che eravamo in presenza di una malattia grave – questo lo si dice solo quando qualche “negazionista” osa ridimensionarne la pericolosità – , piuttosto che eravamo di fronte a una malattia nuova (lasciando così intendere che fosse anche incurabile); e che avremmo dovuto, per così dire, affrontarla fuggendola il più possibile, con l’accettazione e l’introiezione di chiusure, restrizioni e continui controlli di polizia per un tempo indefinito; in attesa di uscirne solo ed esclusivamente con un vaccino. Una volta esclusa l’idea di cura dal “dibattito pubblico”, si è provveduto da un lato a disorganizzare scientemente le terapie, dall’altra a tappare la bocca a chiunque osasse deviare anche di poco dalla narrazione ufficiale, soprattutto quando si trattava di un medico. Si tenga presente quest’ultimo aspetto, perché è centrale. Di norma, nella “società democratica” per come l’abbiamo conosciuta finora, si può dire tutto e il contrario di tutto senza particolari conseguenze (almeno finché le parole non minacciano di tramutarsi in fatti pericolosi, o anche solo fastidiosi, per lo Stato e il capitale). Questo però non vale per la comunicazione medico-scientifica, perché con la salute non si scherza. Chi diffonde informazioni considerate “false”, ovvero non allineate a una narrazione unica sempre più dispotica, non sta semplicemente esprimendo una sua opinione, ma sta minacciando “la salute pubblica”. Se l’Operazione Covid ci ha imbavagliati un po’ tutti, e non solo con le mascherine, ad avere la bocca tappata sono più degli altri quei medici che, sotto la perenne minaccia di sanzioni e radiazioni, si sono trovati a scegliere tra denunciare ciò che vedevano e sentivano o poter continuare a lavorare. Problema non da poco, se si considera che un medico coscienzioso non si trova soltanto stretto tra la possibilità del lavoro e l’incertezza della disoccupazione, ma anche di fronte a un quesito etico: rinuncio a dire quello che so o a salvare delle vite? Esemplare, a questo proposito, è la vicenda del dottor Mariano Amici, medico di base di Ardea (vicino Roma), a capo di uno studio medico associato che segue circa 6000 pazienti e che nella “lotta al Covid” può vantare di non aver avuto né un morto né un ricovero. Promotore assieme al nutrizionista Franco Trinca anche di un protocollo anti-Covid di medicina biologica, oltre che di una campagna per “riaprire l’Italia in sicurezza”, Amici non è, come si dice, “uno che le manda a dire”. Per le sue posizioni in merito alla reale efficacia dei tamponi e contrarie ai nuovi vaccini, ma soprattutto per aver denunciato più volte, pubblicamente, la negazione delle cure ai malati, Amici è stato ripetutamente attaccato dai giornali, bollato come “negazionista” e “no vax” (accusa particolarmente assurda, visto che rivendica di aver somministrato vaccini nel corso di tutta la sua storia professionale), quindi invitato a una nota trasmissione di La7, dove è stato oggetto di un linciaggio televisivo particolarmente disgustoso (tra i linciatori presenti, anche il viceministro e barone universitario Sileri)21, per poi infine vedersi avviare un procedimento di radiazione dall’Ordine dei medici del Lazio22. Altro caso emblematico è quello di Riccardo Szumski, medico di Santa Lucia di Piave (Treviso) nonché sindaco della cittadina, sotto la lente dell’Ordine trevigiano per il suo rifiuto dei vaccini Pfizer e Moderna, e peraltro più possibilista verso quelli prodotti da Astra Zeneca e Johnson&Johnson23, nonché tra i 44 firmatari del ricorso sull’idrossiclorochina al Consiglio di Stato. Nel frattempo, in Alto Adige, la locale azienda sanitaria ha denunciato una decina di medici per aver diffuso un video in cui osavano «valutare le alternative alla vaccinazione giudicata inutile se non dannosa»24. Se teniamo presente questi fatti, e il clima in cui si inseriscono, capiamo che quanto emerge dai racconti dei medici viene da persone che non possono dire tutto quello che vogliono, e men che meno tutto ciò che sanno. Per questo non dobbiamo solo porgere l’orecchio, ma anche aguzzarlo.

Ciò che si sa con certezza è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato indicazioni che chiamare “sbagliate” sarebbe usare un eufemismo del tutto immeritato. Le parole giuste sono: indicazioni criminali e assassine, prontamente recepite dalle autorità sanitarie di mezzo mondo nei loro vari Protocolli-fotocopia (come quello del Comitato Tecnico Scientifico italiano firmato da Giovanni Rezza e Andrea Urbani). Freniamo la nostra indignazione, e andiamo con ordine.

Dalle testimonianze dei medici emerge che nella cura del Covid sono fondamentali i primi tre giorni di insorgenza dei sintomi, che se tempestivamente curati non degenerano praticamente mai nella fase acuta della malattia. Passata questa fase, i pericoli ai quali è esposto il malato sono due: la cosiddetta “tempesta citochinica” (ovvero l’acuirsi dell’infiammazione degli organi che conduce alla polmonite) e la coagulazione del sangue. Il farmaco più efficace in assoluto per fermare l’infiammazione è l’idrossiclorochina (e i derivati della china in generale), mentre per la seconda servono ovviamente anticoagulanti come l’eparina o il cortisone (pare che la prima sia più efficace del secondo, ma anche quest’ultimo funzionerebbe). Salvo il caso di febbri molto alte, è sconsigliata la somministrazione di antipiretici, sia perché la febbre ha notoriamente una funzione anti-virale, sia perché impedisce un corretto monitoraggio dei sintomi. Al limite si possono però usare i cosiddetti FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) come il nimesulide. Assolutamente da evitare è invece il paracetamolo, poiché riduce una molecola presente nel corpo chiamata glutatione, importante contro l’infezione. Infine è assolutamente raccomandabile la vitamina D (assunta dal nostro organismo, a proposito del valore sanitario dei lockdown, in buona parte dal sole…), sia in funzione preventiva che curativa. Ebbene, sentite cosa dice l’“Informativa e modulo di consenso informato” del Ministero della Salute che viene fatto firmare ai pazienti domiciliari: «La informo che è affetto da infezione da Sars-Cov2 per la quale non esistono ancora medicine di provata efficacia normalmente disponibili in commercio, soprattutto nella fase precoce e al domicilio […] Lei verrà trattato in base ai protocolli attualmente in uso e approvati da vari comitati scientifici: paracetamolo o antinfiammatori [n.b. non meglio specificati], desametasone [ovvero cortisone] (non prima di 72 ore da inizio sintomi)» [si noti: l’unico farmaco indicato davvero utile viene sottoministrato dopo le 72 ore, cioè proprio quando è troppo tardi!] «o prednisone, enoxaparina, antibiotici in caso di sovrapposizione batterica» (corsivi nostri). Non siamo purtroppo riusciti a trovare l’originale di questo modulo (abbiamo dovuto trascriverlo da una slide dell’intervista a Citro Della Riva già citata), ma in compenso abbiamo trovato il protocollo del CTS nella versione del 1° dicembre scorso25. Sentite cosa si può leggere alle pagine 10 e 11: «l’uso di corticosteroidi [come il cortisone] è raccomandato nei soggetti con malattia COVID-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno [cioè già in terapia intensiva o subintensiva]. L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore […] non utilizzare l’eparina. L’uso di tale farmaco è indicato solo in quei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto [cioè già ospedalizzati!]». Non può mancare ovviamente l’attacco all’idrossiclorochina (da «non utilizzare», poiché «la sua efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici controllati fino a ora condotti» (in cosa consistano, questi studi clinici controllati, lo diremo tra poco). Già che ci siamo, unitamente ad altre vitamine, si mette in dubbio anche l’efficacia della “vitamina del sole”: «Non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamina D, lattoferrina, quercetina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato». Infine, nella scheda tecnica a pagina 12, si consiglia proprio di avvelenare la gente col paracetamolo ai primi sintomi!

“Malasanità”? Vicende “tutte italiane”? Nient’affatto. Se non bastasse quanto abbiamo già detto (la vicenda dell’idrossiclorochina è internazionale, mentre il Protocollo criminale Rezza-Urbani, lo ribadiamo, è basato su indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), diamo uno sguardo ai protocolli analoghi degli Stati Uniti. Abbiamo consultato le Treatment Guidelines dei National Institutes of Healt (NIH, forse la massima istituzione sanitaria degli USA). Siccome queste linee guida (basate sulle indicazioni della Food and Drug Administration, FDA, che a sua volta si rifà all’OMS) vengono continuamente aggiornate26, non faremo riferimento alle pagine, ma alle varie sezioni e sottosezioni. E qui, al fioco lume della nostra ragione, ci addentriamo nella caverna della Scienza, dove le ombre degli “esperti” dovrebbero terrorizzarci. Sentite cosa si dice (traduciamo liberamente dall’inglese) alla voce “idrossiclorochina” (capitolo Antiviral drugs that are approved or under evaluation for the treatment of Covid-19, sezione Antiviral Therapy): «Sia la clorochina che l’idrossiclorochina aumentano il ph endosomiale, inibendo la possibilità di fusione tra le forme più gravi e acute del coronavirus 2 e le membrane delle cellule ospiti. La clorochina inibisce la glicosilazione del recettore cellulare dell’enzima 2 di conversione dell’angiotensina, che può fungere da punto di ingresso per il virus nelle cellule causando la sindrome respiratoria acuta. Studi in vitro hanno suggerito che sia la clorochina che l’idrossiclorochina possono bloccare il trasporto del virus Sars-Cov2 dagli endosomi precoci agli endolisosomi, prevedibilmente impedendo il rilascio del genoma virale. Sia la clorochina che l’idrossiclorochina hanno anche effetti immunomodulatori. È stato ipotizzato che questi effetti siano ulteriori potenziali meccanismi di azione per il trattamento del Covid-19». Non abbiamo capito nulla dei termini tecnici, ma abbiamo capito abbastanza da dedurne che la clorochina e i suoi derivati sono efficaci. E allora perché non vengono usati? In questo stesso passo è scritto che «comunque, nonostante sia dimostrata l’attività antivirale in alcuni sistemi in vitro, l’idrossiclorochina in associazione o meno con l’azitromicina non riduce né di più né di meno le cariche virali del tratto respiratorio né ha dimostrato efficacia clinica nelle cavie di macaco rhesus». Si tratta di una giustificazione che ricorre anche nel mettere fuori gioco altri farmaci, e già dice molto sulle logiche deviate della Scienza odierna (l’esperienza dei medici con gli umani non vale nulla, mentre la vivisezione degli animali vale di più, ovviamente alla bisogna, anche degli esperimenti in vitro). Ma la “prova” che ricorre maggiormente, nella pagina successiva come in altre, è la seguente: «gli studi clinici randomizzati […] non hanno provato i risultati clinici [di clorochina e derivati] su pazienti ospedalizzati». Ed è questo il dispositivo che regge tutta la faccenda, da un lato all’altro dell’oceano: non sperimentare le cure prima dell’ospedalizzazione. Chi non ci crede dia un’occhiata al Protocollo di cura statunitense, nella sezione Therapeutic management of patients with Covid-19: a parte il paracetamolo, che sembra un supplemento di assassinio all’italiana, è per così dire la fotocopia del “nostro” Rezza-Urbani, anche se probabilmente le cose stanno al contrario (è il Rezza-Urbani la fotocopia più scura del Protocollo americano). Il trucco è sempre lo stesso: all’ospedale! A casa non si può e non si deve far niente! In tutto ciò, se già i tamponi sono controversi quanto ai risultati forniti, giocano un ruolo fondamentale nell’assassinare la gente: le 48/72 ore di attesa del responso sono proprio le più vitali. Passate quelle, per un vecchio di ottant’anni, un immunodepresso o uno sfortunato qualsiasi possono aprirsi le porte dell’inferno.

Sì signori, questa è oggi la Scienza (o meglio: la Comunità Scientifica che la produce). Un’immensa fucina di inganni, che sforna documenti che paiono ispirati alla propaganda stalinista degli anni Trenta, quando negli appositi manuali redatti a Mosca si consigliava di spararle più grosse possibile se si trattava di spargere calunnie e menzogne. D’altronde, quando si vuole imbrogliare qualcuno, il trucco più vecchio del mondo è urlargli a brutto muso: “Ma mi stai forse dando del bugiardo?!?”.

Al di fuori degli «studi clinici controllati» (e abbiamo dato solo un piccolo saggio di quel che contengono), l’esperienza di quei medici di base che salvavano davvero delle vite provava il loro esatto contrario. C’è dell’altro: al boicottaggio delle cure si è aggiunto da subito il sabotaggio di Stato riguardo la conoscenza della malattia. Se nell’attuale “fase 2” ci sono meno morti che nella “fase 1”, è anche perché nel frattempo tutti, nell’ambiente medico e non solo, hanno capito che il Covid può generare coaugulazione del sangue e quindi tromboembolie, e non solo polmoniti interstiziali27. Se la comprensione di ciò è arrivata in ritardo, lo si deve anche, se non principalmente, all’ostacolamento delle terapie domiciliari. Non essersi accorti in tempo di queste possibili complicazioni ha fatto crepare migliaia di persone, fulminate da embolie provocate dalle terapie intensive (secondo una stima a spanne di Alberto Malvezzi28, un altro dei “44 dell’idrossiclorochina”, su 70.000 morti attribuiti al Covid nel 2020 se ne sarebbero potuti salvare qualcosa come 50.000). A ciò ha contribuito, nel pieno del lockdown di marzo-aprile 2020, anche la nota circolare ministeriale che – contro secoli di storia della pratica medica – “scoraggiava” le autopsie con una strana formula al condizionale («non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie»)29. Un’indicazione che non solo ha confuso le acque (mescolando indistintamente morti per e con il virus Sars-Cov2), ma ha impedito di accorgersi per tempo che le trombosi erano la principale causa di morte tra i contagiati30.

Vista la recente passione della propaganda governativa per le “fasi”, si potrebbe forse riassumere quanto avvenuto così: fase 1) Diramazione di indicazioni mediche sbagliate. Mentre i medici di base più incompetenti, pavidi o corrotti si attengono alle linee guida dell’OMS e gli ospedalieri fanno quello che è permesso loro dal sistema-ospedale (somministrazione di redemsvir e cortisone, terapie sub-intensive laddove ci sono, terapie intensive), si permette ai più coscienziosi e capaci l’utilizzo di farmaci off label, ma se ne ignorano completamente le indicazioni, attuando magari anche pressioni di altro tipo (ma queste non sono attualmente emerse). D’altronde, quanto contenuto nel Protocollo criminale Rezza-Urbani è già una pressione, poiché chi non vi si attiene, in caso di problemi, dovrà risponderne; fase 2) Quando i medici più competenti e coraggiosi, supplendo alla mancanza di indicazioni, cominciano a far da sé parlandosi e coordinandosi31, si passa al sabotaggio vero e proprio, con l’illegalizzazione dell’idrossiclorochina.

Cominciamo a tirare le somme. Siamo di fronte a una strana “epidemia”, provocata da un virus nuovo, più aggressivo del solito ma non particolarmente letale, e soprattutto assolutamente curabile. Se i morti causati – direttamente o indirettamente – dal suo scatenamento si contano a centinaia di migliaia, è evidente come l’intreccio tra indicazioni delle autorità sanitarie, “dibattito” accademico e restrizioni non abbiano fatto altro che ammazzare più gente possibile. Fin dall’inizio niente è stato chiaro (né la reale minaccia del coronavirus, né l’efficacia dei metodi di rilevazione, né le effettive cause di morte), ma ci è stato ossessivamente ripetuto che la nostra vita “doveva cambiare”, ovviamente in peggio, e che le più alte sfere del capitalismo avevano già deciso cosa volevano ottenere dalla crisi: digitalizzazione integrale della società e “profilassi” di massa con vaccini approntati in fretta e furia – come minimo.

Adesso sono gli stessi media – nell’ambito della nuova campagna sull’“incubo delle varianti” – a dirci allo stesso tempo che bisogna vaccinarsi, ma non è detto che il vaccino ci salverà, anzi, potrebbe favorire le mutazioni32! Puro bispensiero orwelliano. D’altronde, è proprio l’esclusione dell’idea di cura a reggere tutta l’impalcatura. Il virus non si cura, serve il vaccino. Ma il vaccino potrebbe non bastare, bisogna affiancargli un maggiore controllo tecnologico33. E così via.

Ancora una volta, se pensiamo male – siamo paranoici? E se cominciamo a convincerci che questa situazione è stata creata ad arte per dei precisi interessi di dominio – è perché ci siamo convertiti al “complottismo”?

Un mondo ci è passato accanto

Non si può capire nulla del mondo contemporaneo se non si tiene presente che esso è lacerato dallo scontro tra varie fazioni del capitalismo (un tema al quale il giornale anarchico “Vetriolo” ha dedicato diverse analisi interessanti e tempestive). Lo scontro avviene allo stesso tempo tra Stati, capitali, posizioni di classe e gruppi di interesse diversi, intrecciati tra loro e insieme l’un contro l’altro armati, in un quadro di configurazioni, alleanze, conflitti in perpetuo mutamento, e sempre sull’orlo di una crisi economica – ma anche sociale, culturale e soprattutto ecologica – che minaccia di deflagrare da un momento all’altro, con esiti imprevedibili e assolutamente nefasti. Negli ultimi vent’anni, per quello che riusciamo a cogliere con le nostre limitate conoscenze, e citando solo i fatti più visibili, abbiamo assistito al montare della potenza cinese; al consolidamento dello Stato russo e all’incoronazione di Putin dopo la terribile crisi russa del 1998; al declino degli USA impantanati in Medio Oriente; alle primavere arabe e alle “rivoluzioni arancioni”; a guerre dagli schieramenti mutevoli e quasi “illeggibili” come quelle in Siria e in Libia; all’uscita della Turchia dall’orbita statunitense e alla rinascita di un imperialismo neo-ottomano – e infine all’irresistibile ascesa dei cosiddetti GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), quei colossi informatici che oramai i demografi collocano accanto alle maggiori formazioni statali – come autentiche super-potenze. Ciò che si è potuto osservare, almeno dal 2008, è da un lato un progressivo deterioramento – se non delle vere e proprie rotture – delle “catene globali del valore”, ovvero degli scambi commerciali e finanziari a livello mondiale (per capirci, “la crisi della globalizzazione”); dall’altro, come conseguenza ma anche concausa di ciò, la sempre maggiore forza attrattiva – economica e militare ma, come vedremo, anche culturale – di alcuni “poli” del dominio globale: Washington, Pechino, Mosca. Non possiamo certo avere contezza di tutte le fazioni in gioco. Quello che possiamo affermare, con discreta sicurezza, è che sono due le fazioni che più si fanno sentire a casa nostra (in Europa, e in generale nella parte di mondo “occidentalizzata”): la fazione neoliberista – geopoliticamente “atlantica” – e quella sovranista – geopoliticamente “russa”. Tra queste due fazioni c’è una guerra continua, che corrisponde e fa leva su diversi interessi di classe all’interno di un fortissimo scontro inter-capitalistico, ma anche su diverse proposte ideologico-culturali. I neoliberali (o “atlantisti”, o “globalisti”) sono espressione delle più alte sfere del Capitale tecno-scientifico internazionale, rappresentato più da algoritmi che da “borghesi” in carne e ossa; alla fazione sovranista fanno invece capo interessi e capitali forti, ma di scala più ridotta (i vari Trump e Berlusconi, gli oligarchi russi…). Queste «forze motrici» agiscono e attraversano tutto il nostro vivere associato, compresi noi stessi, le nostre emozioni e i nostri pensieri, come individui e come militanti, cercando di portare dalla loro parte dei pezzi di società. La proposta neoliberale è del tutto coerente con le origini ideologiche del liberalismo: la libertà “individuale” di commerciare e consumare, con l’importante aggiunta che è la stessa costruzione del “sé” individuale a divenire una merce (a ciascuno gli “skills” mentali e fisici, la mente e il corpo aumentati, la libertà di “essere come si vuole” che potrà permettersi – ed ecco un uso delle “questioni di genere” che le fa spesso sconfinare, nient’affatto casualmente, nel transumanesimo); come rovescio di questa “libertà”, il disciplinamento costante e pervasivo del consumatore globale, con una bella spruzzata di economia verde sulle sue catene (il nuovo suddito globale verrà costantemente profilato dai dispositivi elettronici – e nel suo profilo potrà rientrare anche se ha un’auto a basse emissioni, se mangia solo carne sintetica, se fa correttamente la raccolta differenziata, se è o non è uno di quegli ignobili “avvelenatori pubblici” chiamati fumatori…).

Dall’altro lato della barricata inter-capitalistica, la proposta sovranista propugna il ritorno al “buon capitalismo di una volta”, quello degli Stati nazionali e dei confini materiali e simbolici definiti; quello di quando gli uomini erano “veri uomini” e le donne erano “vere donne”, non c’erano “negri”, “musi gialli” e “pervertiti”, la classe media conservava il suo potere d’acquisto e “l’uomo della strada” poteva fare i suoi porci comodi in santa pace. Ma per la tendenza generale, se intende sopravvivere, il blocco sovranista non può e non potrà vincere la spinta alla concentrazione del potere in unioni di Stati o in veri e propri Super-Stati sempre più vasti, né tenersi fuori dall’affare delle nuove tecnologie (semmai la sua ideologia statalista-autoritaria gliene spianerà la strada). In questo scontro, un ruolo centrale ce l’ha l’informazione: il suo controllo, la sua censura, la sua diffusione e manipolazione. Per il momento, e per non soccombere di fronte alla fazione “globalista”, il sovranismo internazionale sta combattendo un vero e proprio Kulturkampf (“battaglia della cultura”), che passa costantemente da “narrazioni” contrapposte a quella dominante. Non stiamo dicendo che tutte le cosiddette “teorie del complotto”, o quelle che passano per tali, sono diffuse da Mosca – esse si generano principalmente perché, nonostante tutto, tanti uomini e donne non hanno mai smesso di guardare e interpretare il mondo con i propri occhi, e per come riescono. Ma è anche un fatto che moltissime “contro-narrazioni” (a partire da quelle, tutt’altro che implausibili, sull’11 settembre) sono spinte dallo Stato russo, in particolare dal suo network internazionale di informazione Russia Today34. Il processo si svolge in entrambi i sensi, e non vi contribuiscono meno condizioni culturali e politiche che premono dal basso. Esemplare il caso di Giulietto Chiesa, famoso giornalista impegnato nella contro-informazione, animatore del canale internet Pandora tv e deceduto nell’aprile 2020. Iscritto al PCI e su posizioni filo-sovietiche fino alla fine dell’Urss, in anni più recenti Chiesa è stato uno dei principali promotori in Italia delle “contro-narrazioni” sull’11 settembre, oltre a esprimersi più volte in favore di Putin. Con questo dobbiamo dedurne che si era bevuto il cervello per passare al “fascismo”? Nient’affatto. Siamo in pochi, ormai, a concepire una vita libera da ogni forma di capitalismo, e siamo ancora meno a volerci disfare di ogni Stato. Sono di più, molti di più quelli che colgono la pericolosità delle élite neoliberali per la vita di tutto il pianeta e di tutta l’umanità. È ovvio che chi vedeva – non a torto, sul piano dei fatti – nel glorioso mostro sovietico un argine allo strapotere del Gran Capitale atlantico, oggi può accontentarsi di una barriera quale che sia (foss’anche di un natural born killer in affari con le mafie, come l’attuale zar di Russia). La sola alternativa a schierarsi con l’una o l’altra tirannia resta quella di sempre: una vita senza Stato e senza padroni. Ma gran parte del mondo, ahinoi, non la pensa così, e si butta sull’uno o l’altro carrozzone, a volte senza neanche rendersene conto. Questo non significa che chi non la pensa come noi non veda quanto sta accadendo, anzi. Spesso, per certi aspetti, lo vede anche meglio. Ma le lenti con cui lo guarda finiscono per arruolarlo al servizio del re di (P)russia.

Ecco perché è così difficile pensare, nel nostro tempo. Se il pensiero ha bisogno, per esercitarsi, di un minimo di dati, è sempre più difficile – forse impossibile – raccoglierli senza imbattersi in fonti avvelenate. Allo stesso tempo queste sono le sole che abbiamo a disposizione, e bisogna imparare a usarle e filtrarle con attenzione, spesso turandosi il naso.

Ora, chi ha un minimo di cognizione delle attuali trasformazioni tecnologiche – ed è sempre più difficile non averne, visto che ormai anche alla radio e alla televisione si parla sempre più spesso di intelligenza artificiale, robotica, connessione uomo-macchina e via con gli incubi e gli orrori – può davvero pensare che il progetto di una società tecno-totalitaria non sia per lo meno accarezzato dai padroni del mondo? E chi conosce un minimo di economia e geopolitica, può davvero non considerare che alcune reti di potere non travalichino i confini degli Stati nazionali? Se visitiamo molti siti in odore di “cospirazionismo”, non possiamo fare a meno di constatare che gran parte di ciò che vi è scritto è vero, ma precisamente nel senso di Debord: come momento del falso. Non stiamo parlando dei deliri di QAnon sulle star di Hollywood che succhiano il cervello ai bambini, o di moderni “protocolli dei Savi di Sion” come il “Piano Kalergi” tanto amato dai neofascisti. Tutt’altro. Ma la presenza nel mare magnum detto “cospirazionista” di certa paccottiglia reazionaria o demenziale non può portarci a negare l’evidenza. È vero che tra quanti si contendono il mondo c’è anche un’élite economico-finanziaria che ha precisi interessi di dominio. È vero che si identifica grossomodo col Gran Capitale tecno-scientifico e che in varia misura attraversa o opera direttamente per mezzo delle istituzioni nate da Bretton Woods: l’FMI, la Banca Mondiale, la NATO e chiaramente anche l’ONU, della quale l’OMS è un’agenzia. Oltre a ciò, sarebbe semplicemente ingenuo (e ci farebbe arretrare di secoli nella critica del capitalismo) pensare che dei colossi finanziari di tale portata non siano in grado di condizionare, per non dire controllare, una gran quantità di corpi intermedi, dalle agenzie del farmaco ai mezzi di comunicazione di massa, passando per riviste e centri studi di ogni genere, senza scordare l’autentico cuore di ogni Stato: l’apparato militare, a sua volta legato a doppio filo al mondo della ricerca e all’industria bellica. È vero, ancora, che questa élite globale sta cercando di attuare il Grande Reset della Quarta rivoluzione industriale35, ovvero il passaggio alla società cibernetica del controllo totale. È vero, infine, che Trump è il “nemico interno” del blocco atlantista, in quanto uomo del sovranismo internazionale36. Più ancora che le autentiche bufale, ciò che rende false molte delle contro-narrazioni circolanti è la cornice sovranista e reazionaria in cui tendono a inserirsi, al fondo delle quali c’è sempre il rimpianto del “buon capitalismo di una volta”, non ancora “sfuggito di mano” al controllo dello Stato. Nient’altro che un mito reazionario, appunto, che come tutti i miti reazionari rimpiange un passato inesistente. Gli Stati e le imprese capitalistiche si sono sempre alleati tra loro, e questo vale anche per tutti gli attuali blocchi del capitalismo mondiale. Le loro differenze specifiche sono dovute ai loro diversi sviluppi storici, ma soprattutto alla diversa estensione dei loro rispettivi giri d’affari e sfere di influenza. Se da più parti si comincia a dire che il “nuovo modello” di sistema è quello cinese – un capitalismo iper-sviluppato integrato in uno Stato dispotico e totalitario – è perché questo è il futuro che ci stanno apparecchiando tutti i potenti del mondo, che siano più o meno “sovranisti”, più o meno liberisti.

Torniamo un attimo sulla questione del “complottismo”, molto più complessa di quello che sembra a prima vista. Se si guarda un po’ più da vicino l’uso che viene fatto di questo termine, ci si renderà conto che allude a cose profondamente diverse. Esiste, certo, una precisa tradizione “complottista” reazionaria, che va dalle opere di Burke e De Maistre all’indomani della Rivoluzione francese alle teorie di Ezra Pound sull’usura e il signoraggio bancario, passando ovviamente attraverso la storia del nazifascismo internazionale e dei suoi precursori, e arrivando ai suoi epigoni attuali. Il suo leitmotiv è sempre più o meno il cliché del “complotto giudaico-massonico”, a sua volta fondato sullo scorporamento della finanza dai rapporti sociali di produzione. Detto in altri termini: “la divisione della società in classi e lo sfruttamento del proletariato sarebbero anche una cosa buona, ma delle élite finanziarie ficcano ovunque il loro naso adunco e rovinano tutto”. Come se la “finanza” si generasse dal nulla, e non crescesse invece sullo sfruttamento della forza-lavoro!

Ma lo smascheramento dei complotti – laddove questi siano effettivamente ravvisabili – fa parte anche della tradizione rivoluzionaria. Dovremmo saperlo bene qua in Italia, da sempre terra di intrighi del Capitale atlantico, e segnata a suo tempo dalla cosiddetta “strategia della tensione”. All’indomani della strage di Piazza Fontana, mentre la televisione e la stampa accusavano anarchici ed “estremisti”, i compagni di Ludd-Consigli proletari impiegarono appena qualche settimana a preparare e far circolare un volantino che individuava e denunciava le responsabilità statali e padronali del massacro, a partire da una analisi molto raffinata che però non esibiva alcuna prova (e lo stesso fece la Sezione italiana dell’Internazionale Situazionista). La stessa, famosa controinchiesta del Movimento milanese, La strage di Stato, non portava affatto argomenti certi a sostegno delle tesi avanzate, ma accostava una serie di “stranezze” che saltavano all’occhio inserendole nel quadro del conflitto sociale e dei rapporti internazionali di allora (la crisi del Piano Marshall, le lotte operaie, “il lungo Sessantotto” italiano…). Se quei compagni e quelle compagne avessero atteso prove “sicure”, “scientifiche”, lo Stato si sarebbe fatto un boccone e dei compagni, e delle loro tesi. Come ha ricordato recentemente Giorgio Agamben, i complotti sono sempre esistiti, fin dall’antichità37. Figuriamoci oggi, quando «il potere è ridotto in pochissimi» addirittura a livello mondiale! La differenza tra “complottismo” e critica rivoluzionaria è che i “complottisti” spiegano il capitalismo e il potere a partire dai complotti, mentre i rivoluzionari spiegano i complotti a partire dalla critica del capitalismo e del potere. Peraltro, sapete chi ha inventato l’espressione «theories of conspiracy»? Né più né meno che… Karl Popper, in due conferenze del 1948 poi incluse ne La società aperta e i suoi nemici (un autentico “classico” del peggior anticomunismo liberale). Per Popper i “cospirazionisti” sarebbero tutti coloro che spiegano i fatti sociali includendovi anche degli atti intenzionali (e non solo quelli che “si producono da sé”, sempre guidati verso il Bene dalla mano provvidenziale del mercato, come in tutte le favole delle api liberal-liberiste). Ora, anche noi crediamo che i fatti sociali vadano analizzati privilegiando il loro momento oggettivo e non-intenzionale (il capitalismo e l’autorità producono disastri e sofferenze in quanto rapporti sociali, al di là delle intenzioni buone o cattive dei dirigenti di turno). Ma Piazza Fontana, Piazza della Loggia, l’Italicus, la strage alla stazione di Bologna (e prima ancora l’attentato che uccise Errico Mattei) non accaddero “da sé” – come, per intenderci, l’attuale scioglimento dei ghiacciai e altri “effetti collaterali” di un sistema scellerato – ma furono il frutto di scelte “soggettive” (cioè intenzionali e operative) nel quadro di condizioni oggettive del capitalismo di allora. Oggi più di allora, per capire cosa sta succedendo, dobbiamo inserirlo nell’attuale fase di un capitalismo ancora più globale.

Mentre ce ne stavamo chiusi tra i nostri opuscoletti ottocenteschi ed analisi magari pertinenti, ma troppo schiacciate sulle lotte intraprese, un mondo ci è passato accanto. Dobbiamo allargare lo sguardo e individuarne le «forze motrici», prima che ogni prospettiva di liberazione ne rimanga schiacciata.

L’Operazione Covid e la «distruzione creativa»

La famosa “globalizzazione” ora in crisi è stata caratterizzata da almeno tre elementi: la crescita degli scambi commerciali globali a un livello mai raggiunto in precedenza; l’egemonia degli Stati Uniti d’America e delle loro imprese; un’accentuata finanziarizzazione dell’economia a tutto discapito della produzione. Chi ha letto il capolavoro di Giovanni Arrighi (grande studioso scomparso nel 2009), Il lungo XX secolo, sa che non si è trattato di dinamiche assolutamente nuove nella storia del capitalismo. Ogni suo ciclo precedente (dalla Venezia medievale all’ascesa dell’impero britannico, passando per l’alleanza tra lo Stato spagnolo e i banchieri genovesi, e dal breve ma importante momento di gloria delle Province Unite) ha visto l’egemonia di una specifica potenza statale, prima con un’ascesa caratterizzata dalla crescita della produzione industriale, e poi con una fioritura finanziaria che ne segna l’apice, ma anche il declino. La finanziarizzazione dell’economia, diceva Arrighi riprendendo Braudel, è anche «il segnale dell’autunno». Questo vale anche per l’attuale “ciclo statunitense”. Può sembrare strano, ma fin dai primordi della globalizzazione (tra le due grandi crisi petrolifere degli anni Settanta), l’economia mondiale è entrata sia in una fase di semi-stagnazione produttiva, sia di immensa accumulazione di profitti d’origine finanziaria. Detto in parole semplici, i padroni hanno limitato gli investimenti nell’industria, preferendo fare denaro sul denaro. La crisi strisciante in cui ci troviamo almeno dal 2008 non è una crisi di sovrapproduzione, ma di sovraccumulazione. Tagliando un po’ il discorso con l’accetta, si accumula troppo più denaro – in termini di pacchetti azionari, ovviamente, non certo di cartamoneta – di quante merci si producono; finché questo non determina – com’è ovvio – una crisi di fiducia. Quando sul mercato è troppo facile imbattersi in pacchetti azionari dietro cui non c’è niente – in cui manca il sottostante, come si dice in linguaggio economico – nessuno vuole più comprare niente. Ed è il crack.

Molti economisti prevedevano l’arrivo di una crisi economica già dai primi «segnali dell’autunno», ovvero fin dagli anni Settanta, dando vita a un dibattito che giunge fino all’oggi. Alcuni di questi già allora sostenevano – rifacendosi al pensiero di Schumpeter – che il capitalismo avrebbe tentato di salvarsi entrando in una fase di distruzione creativa. Se molti – tra i quali il marxista Michael Roberts, anche in un testo pubblicato in italiano e commentato da Il lato cattivo38 prevedevano una crisi di proporzioni bibliche per il 2019, la crisi è forse arrivata39, ma non è esplosa, o almeno non ce l’hanno detto. In compenso, è esploso il Covid.

Adesso, in Italia, il Paese con più morti per milione d’abitanti attribuiti al Sars-Cov2 e dove la situazione delle cure «è più fuori controllo»40, è arrivato proprio l’uomo della distruzione creativa41: Mario Draghi. Ora, le nostre conoscenze di economia sono piuttosto limitate, ma una cosa l’abbiamo capita con sicurezza: “distruzione creativa” significa distruzione delle imprese più piccole (le “imprese-zombie” nel linguaggio di quell’élite liberista chiamata “Gruppo dei 30”, del quale Draghi fa parte) a vantaggio delle più grandi. Bene, cos’è che sta facendo chiudere tantissime piccole imprese, in Italia e nel resto del mondo, con più brutalità ed efficacia di qualsiasi manovra di governo? Ma le chiusure messe in atto in nome dell’Emergenza-Covid!

C’è dell’altro. Secondo qualcuno, a settembre 2019, sarebbe avvenuta un’operazione senza precedenti nella storia del capitalismo: le banche centrali, a partire dalla Federal Reserve americana, avrebbero letteralmente stampato dal nulla un’enorme quantità di denaro, “pompandola” nelle principali banche di investimento. Perché di norma operazioni del genere non vengono fatte? Perché altrimenti l’inflazione schizzerebbe alle stelle. A meno che… non si costringa la gente a stare a casa. In questo modo circola meno denaro e l’inflazione ne risulta contenuta. Attenzione, abbiamo letto quest’ultima notizia su un unico sito42, non sappiamo quanto affidabile, e non abbiamo avuto modo di verificarla. Quindi questa non ve la diamo per buona. Chi scrive quest’articolo, peraltro, ha cercato il più possibile di raccogliere le notizie dalla stampa “ufficiale”, utilizzando il meno possibile i canali di contro-informazione. Ebbene, per ricavare notizie certe abbiamo dovuto incrociare una gran quantità di dati sparsi e frammentari, senza imbatterci praticamente mai in racconti unitari e coerenti (nemmeno riguardo a una vicenda scabrosa, e assolutamente certa, come quella dell’idrossiclorochina), mentre di norma è possibile trovare reportage interessanti sui vari orrori di questo mondo anche sulla stampa “borghese” (certo, non in prima pagina). Il che la dice lunga sul clima di censura e il livello di asservimento che gravano in questo momento sull’informazione. Facciamo comunque cenno alla notizia, chiedendo a chi può di confermarla o smentirla, così come invitiamo ad esprimersi compagni più preparati di noi in materia economica.

Un’ultima suggestione, e qui crediamo proprio di cogliere nel segno. Ricordate il famoso rapporto intitolato Urban operations in the year 2020? In questo documento, realizzato nel 2009 dalle teste d’uovo di sei Paesi della NATO, si prevedeva l’esplosione di una pazzesca crisi sociale proprio nell’anno 2020, e si ragionava sulle modalità per prevenire, contenere o affrontare le rivolte a partire da una crescente militarizzazione, con l’impiego degli eserciti sia in funzioni di polizia che d’altro tipo (come ad esempio, oggi, l’uso dei militari per far tamponi e vaccini, cosa auspicata anche dallo stesso Bill Gates). Chiediamoci: perché proprio il 2020? Le migliori teste al servizio del nemico prevedevano forse l’epidemia? Ma nient’affatto. Prevedevano la crisi economica! Anche l’arrivo di virus e batteri può essere previsto, certo, e chi tiene a libro paga una buona fetta del “cervello sociale” può farlo (ed è possibile che sia stato fatto a fine 2019 col Sars-Cov2). Ma non con dieci anni d’anticipo. I cicli economici, invece, non solo possono essere “visti” anche decenni prima, ma possono pure essere calcolati da algoritmi, soprattutto all’indomani di una crisi come quella del 2008. D’altronde, come direbbe il filosofo, gli uomini conoscono soprattutto ciò che fanno, e “l’economia” è pur sempre una creazione umana.

Tirando le somme, pare di assistere a una sorta di Piano Caos globale nell’epoca della crisi della globalizzazione. Per chi non lo sapesse, Piano Caos era il nome ufficiale dato dall’amministrazione Kennedy, agli inizi degli anni Sessanta, a quella che in Italia si sarebbe chiamata “strategia della tensione”, secondo il motto «destabilizzare per stabilizzare». Nell’era del suo declino, il Capitale atlantico sembra cercare di rilanciarsi e ri-stabilizzarsi – tentando, non sappiamo con quanta avvedutezza, di entrare in una nuova fase produttiva fondata sulle nuove tecnologie – attraverso un disegno mostruoso. E probabilmente la difficoltà nel pensarlo è data proprio dalla sua mostruosità. Pensare che una cosa del genere sia possibile, è “troppo”. Ma più il potere si riduce in pochissimi, più l’inconcepibile diventa possibile.

Comunque, checché se ne pensi delle nostre deduzioni, alcuni fatti sono assolutamente certi.

È certo che c’è stato un sabotaggio delle cure, provocato ad arte dalle massime autorità e istituzioni sanitarie, e dai vertici dell’industria e della ricerca che vi ruotano attorno.

È evidente come questo abbia mandato in crisi i sistemi sanitari di mezzo mondo, provocando morti non solo tra i malati di Covid, ma anche tra tutti quelli che non hanno potuto giovarsi delle consuete prestazioni sanitarie (ed ecco perché l’aumento della mortalità in Italia, con 50.000 morti in più nel 2020 rispetto alla media degli anni precedenti, con punte tra il 100 e il 300% di incremento in Lombardia)43.

È evidente come questo sia stato usato per giustificare i lockdown, provocando un’autentica tragedia planetaria: attentato alla salute collettiva (con la privazione del sole, dal quale assorbiamo gran parte di quella vitamina D necessaria anche contro il Covid), falcidie di ogni libertà individuale, disoccupazione dilagante, assenza di futuro e una vera e propria epidemia di suicidi.

È piuttosto evidente, a nostro parere, anche il rapporto dell’Operazione Covid con la più spaventosa crisi economica nella storia del capitalismo (anche se non giuriamo sui termini nei quali abbiamo descritto questo rapporto).

È certo, infine, che andiamo verso l’epoca della “distruzione creativa”, e dobbiamo chiederci come intendiamo affrontare quest’epoca.

Punti di domanda

Non intendiamo certo tracciare in questa sede una possibile strategia per affrontare gli anni a venire (siamo certi, peraltro, che in un senso o nell’altro saranno terribili, ma potranno anche aprirsi delle possibilità). Vogliamo piuttosto avanzare alcuni nuclei problematici, chiedendo a tutte e tutti i compagni uno sforzo non solo di ragionamento ma, visto il correre e precipitare delle cose, anche di immaginazione. Proprio così: per non farci trovare ancora impreparati, dobbiamo immaginare il futuro, così come per scrivere questo testo abbiamo dovuto in parte immaginare il presente, «andando tastoni come i fisici».

Prima di tutto, cerchiamo di darci la proporzione di cosa sta succedendo. Siamo prigionieri di una cosa che si fa fatica persino a definire. Il Covid è allo stesso tempo un virus realmente esistente e di una certa pericolosità44(ancora una volta, il vero come momento del falso), l’ennesima Emergenza spettacolare e un’epidemia dolosa di Stato. Proprio così, di Stato, perché se dietro quello che è successo sta il capitalismo internazionale (come stava, peraltro, dietro Piazza Fontana), senza le molteplici ruote dentate dello Stato, e senza la comune fede nello Stato, tutto ciò non sarebbe potuto succedere. Che ciò sia successo ci dà la misura dei tempi che corrono, delle gigantesche contraddizioni e tensioni che attraversano il sistema-mondo. La prossima volta, la catastrofe potrebbe semplicemente arrivare senza essere creata ad arte. Se gli Stati hanno provocato tutto ciò, cosa sarebbero capaci di fare di fronte a una sciagura che piomba dall’esterno (dalla natura che si ribella, o da uno Stato estero)? E noi cosa faremmo? Saremmo preparati o rimarremmo ancora paralizzati, come stavolta? Se tanti “antagonisti” (e anche qualche anarchico) hanno perso la testa chiudendosi in casa, appoggiando “criticamente” le narrazioni e le misure governative, obbedendo o addirittura riproducendo le disposizioni del nemico, o lodando le maniere forti di dove “lo Stato comanda davvero” (la Cina)? Se stavolta certi ragionamenti sulle cause strutturali delle epidemie – e anche chi scrive li ha fatti – ci hanno più fuorviati che illuminati, essi potranno tornarci utili in futuro. Perché un mondo come questo può generare anche catastrofi non intenzionali, comprese quelle sanitarie. Se dovesse succedere, dovremmo essere preparati a distinguere davvero precauzioni liberamente scelte e disposizioni governative, senza consegnarci corpo e mente all’Apparato per sfuggire a un flagello (sarebbe come farci trascinare in un burrone per scappare da un branco di lupi). In seconda battuta, la proporzione dell’Operazione Covid ci dà una volta di più – ma con maggiore evidenza – la misura delle tensioni tra Stati e Capitali diversi (da pensare sempre al plurale, altro che cercare “il grande burattinaio”! Non c’è domanda più sciocca che chiedersi, in astratto, “chi muove cosa”). È più che probabile, diremmo quasi certo, che queste tensioni siano destinate a sfociare in delle guerre. Ma non è affatto scontato che queste consistano per forza in scontri frontali e visibili. Ormai da anni, negli ambienti militari e universitari (tra loro sempre più interconnessi), si discute di guerre asimmetriche, e in particolare di guerre cyber, cioè a mezzo dell’informatica. Cyberwar può significare, ad esempio, che un attacco hacker può anche togliere elettricità, gas e acqua corrente a un intero Paese. Anche in questo caso, non sarebbe affatto scontato che ci venga raccontato che cosa sta realmente succedendo. Che la si smetta di pensare che questa è fantascienza. Il futuro che abbiamo visto e letto in certi film e libri, è già qui. In un’epoca come questa, la diffidenza verso ciò che racconta il potere è più sana che mai. Se non vogliamo perderci ancora dobbiamo usare tutta la nostra “ragione naturale”, quella che si esercita nell’esperienza. Confrontiamo sempre l’oggi con quello che abbiamo vissuto ieri, chiediamoci se ci fidiamo più di un medico di base o di un barone universitario al servizio del governo, e non aspettiamo di diventare “esperti” in tutto prima di aprire gli occhi e la bocca. Facciamo parlare i documenti del nemico, che possono dire molto anche a chi non ne padroneggia completamente i temi. Fuggiamo, infine, l’ultima delle trappole, quel relativismo repressivo per il quale tutto è un punto di vista e ogni punto di vista è uguale all’altro, col risultato che vince sempre chi parla più forte (chi ha i mezzi per farsi ascoltare e soprattutto per azzittire gli altri). Noi non fabbrichiamo “narrazioni” – quelle sono balle che lasciamo al potere e denunciamo per tali. Noi facciamo ragionamenti, non temiamo di poter essere smentiti né di ammettere i nostri errori. Cerchiamo la verità, tentiamo di trovarla e non abbiamo paura di dirla, anche quando non ci fa comodo. Gli uomini di potere hanno tutto l’interesse a ingannare tutti, spesso anche se stessi. I ribelli, viceversa, ci perdono sempre, quando si prendono in giro.

Immaginiamo adesso il prossimo periodo. Prima le buone notizie. A differenza del marzo dell’anno scorso, non dobbiamo più temere di fare un favore ai padroni se ridimensioniamo il pericolo del virus. Confindustria ha ottenuto in poco tempo ciò che voleva: un “lockdown selettivo” in cui si esce per andare a lavorare e poi a casa, mentre gli operai che scioperavano – lo diciamo con dispiacere – hanno conquistato solo condizioni di lavoro più alienanti: mascherine, distanze, paranoia (chiediamoci tra l’altro cosa vuol dire svolgere lavori pesanti con un pezzo di plastica in faccia). D’altro canto, anche l’esigenza di prendere alcune precauzioni non viene meno, soprattutto se ci sono anziani e persone fragili. Non cambia poi molto se si rischia di crepare per un virus o per la sua “gestione” sanitaria. Ma cambia molto la luce in cui appare tutta la faccenda. La paura degli asintomatici scompare o almeno si attenua (ci si può ancora credere, considerando certi fatti?), mentre più che pensare alle mascherine dovremmo preoccuparci di diffondere le opportune conoscenze e mezzi di cura, anche casa per casa.

Dobbiamo inoltre chiederci per cosa, come e con chi lottare. Teniamo presente che nella macelleria sociale della “distruzione creativa” potranno aprirsi ampie possibilità in questo senso. Molti commercianti e piccoli imprenditori saranno colpiti da una feroce proletarizzazione, ma questo non avverrà per forza nel giro di qualche mese. Nel frattempo, il bar sotto casa potrà restare vuoto, prima di essere rimpiazzato da uno Starbuck’s. In questo interludio succederanno probabilmente molte cose. Metterci a gridare anche noi alle “riaperture”, in un fronte comune con commercianti e padroncini, sarebbe solo deleterio45. Il nostro dev’essere anche, se non principalmente, un discorso di classe. Cominciamo col rivendicare la nostra libertà, i nostri spazi di vita e di lotta, e poi guardiamoci intorno. Le proteste dello scorso ottobre sono state un’occasione per la rabbia di tanti proletari giovani, giovanissimi, a volte immigrati o figli di immigrati. La prossima volta, un discorso “nostro” contro le restrizioni potrebbe fare la differenza e dare continuità alle proteste. I giovani vogliono aria.

Fare un discorso di classe non andrebbe poi inteso in modo troppo “rigido”. “Fronti unici” con la piccola borghesia, i vari sovranisti e populisti, certo che no; ma se il barista del quartiere, o del paese, ci chiede una mano per non chiudere, dobbiamo negarci per la nostra “purezza di classe”? Il proletariato non esiste solo come classe in sé, ma anche come classe per sé (si forma come classe nella lotta). Quel barista potrà diventare un operaio, o semplicemente un disoccupato, nel giro di pochi anni, e si ricorderà di chi gli ha dato una mano mentre affondava. Sarebbe bene che si ricordasse di noi, e non di chi dice di aiutarlo perché “anche lui è italiano”. Ci spieghiamo? A volte certi piccoli gesti non alimentano fronti unici, ma ne impediscono, o ne ostacolano, la nascita.

Infine non dobbiamo dimenticarci che in questa situazione non è in gioco solo la nostra classe, ma anche l’essere umano per come lo conosciamo e lo incarniamo. E non riguarda un singolo Stato, ma tutta l’umanità. Già questo andrebbe contrapposto al nazionalismo strisciante che circola anche nelle piazze contro le chiusure (“liberiamo l’Italia”, “salviamo il Paese” ecc.) Una nuova “accumulazione originaria” vuole distruggere ciò che ancora si può chiamare “umano” per sostituirlo creativamente col suo doppio meccanizzato. Se la questione delle cure negate sta già uscendo – e prevediamo che nel prossimo periodo se ne parlerà molto46 –, le persone che pensano stanno già portando e denunciando in piazza gli incubi della Quarta rivoluzione industriale. Non si capisce perché non dovremmo farlo noi, che ne discutiamo da anni. A questo proposito, c’è poi da chiedersi come sia potuto accadere tutto questo. Se l’essere umano non è tale solo per le proprie caratteristiche biologiche, ma anche per le relazioni con i propri simili, questa vicenda ci dice anche che il processo di disumanizzazione è già cominciato da tempo nella frammentazione e nell’isolamento sociali, e che l’ingegneria transumanista si innesta su un terreno già preparato dalle condizioni attuali. L’Emergenza è uno strumento che lo Stato può utilizzare quando è già venuto meno un certo modo di essere insieme, che passa anche per la denuncia delle nocività sociali e ambientali, il rapporto tra “esperti” ed esperienze (anche di lotta), l’autogestione e l’autorganizzazione di fronte alle diverse necessità della vita (compresa la salute). Tutti aspetti sui quali si dovrà tornare.

Se abbiamo ancora voglia e intenzione di lottare, dobbiamo sapere che ci aspetta un’immensa fatica. Un movimento proletario di liberazione potrà rinascere. A quelli come noi il dolore delle doglie. Per ora, con noi non c’è nessuno (o quasi). I padroni del mondo si scannano tra loro, arraffando qua e là pezzi di umanità da portare al macello dietro le loro diverse schiere. Dal canto nostro, per ora, non abbiamo altro che le nostre eterne idee: libertà, uguaglianza, solidarietà. Se non c’è più nessuna “patria dei lavoratori” dove cercare il sole dell’avvenire, nessuna bandiera rossa sotto la quale si radunerebbero i “buoni” – allora nella coscienza di ognuno e ognuna risorge di prepotenza la domanda su cos’è buono e giusto: come vogliamo vivere, che umanità vorremmo, per quale vita ci battiamo. Comunque la si guardi, si tratta di un’occasione irripetibile.

Febbraio-marzo 2021
Un amico di Winston Smith

POSTILLA

Mentre finiamo di scrivere questa nostra controinchiesta, ci arriva la notizia che Mario Draghi ha “finalmente” aperto alle cure domiciliari nominando un apposito consulente: il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto farmacologico “Mario Negri” di Milano. Pare che il primo a pubblicare la notizia sia stato il quotidiano “Il Foglio”, ma noi lo abbiamo appreso da un articolo che potete leggere anche a questa pagina: https://lacittanews.it/2021/02/26/rivoluzione-guarire-da-casa-draghi-punta-su-remuzzi/ Lo riportiamo quasi integralmente per tre motivi. Primo, perché questa notizia conferma tutti i presupposti tecnico-medici del nostro lavoro. Secondo, perché questo articolo, e le dichiarazioni di Garavelli che vi sono contenute, ci dice anche che gli attuali “vaccini” – se così si possono ancora chiamare – a mRNA sono vere e proprie “terapie geniche” – e quindi è effettivamente in corso una sperimentazione biotecnologica di massa. Terzo, l’articolo ci conferma l’inizio dell’“operazione-recupero” riguardo la scabrosissima vicenda delle cure domiciliari negate. Dopo aver creato il disastro, Lorsignori fingeranno adesso di aver dimenticato qualcosa – “che volete, l’Emergenza ha confuso le idee anche a noi” – per continuare così a tirare dritto: tracciamento elettronico, vaccini biotecnologici, restrizioni e militarizzazione ma anche un po’ di cure domiciliari, “in questa dura lotta contro il Covid”. Questo non possiamo permetterlo. Mentre ogni giorno sale il bollettino di invalidi e morti da vaccinazione47, crediamo di esserci fatti prendere per il culo più che abbastanza: che le responsabilità dello Stato, del padronato internazionale e degli “esperti” asserviti si sappiano; che si sappia cos’hanno combinato e cosa stanno cercando di ottenere; che la rabbia sociale gli faccia pagare le loro responsabilità e porti al naufragio i loro progetti di dominio.

RIVOLUZIONE: GUARIRE, DA CASA. DRAGHI PUNTA SU REMUZZI

26 febbraio 2021

Smontare il Covid? Possibile: basta agire per tempo, sapendo quali farmaci usare.

Non c’è bisogno dell’ospedale: ci si cura a casa, con potenti dosi di antinfiammatori. In questo modo, si impedisce alla patologia di esplodere e la si “spegne” sul nascere. Lo afferma il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Milano. La notizia? Mario Draghi ha intenzione di “arruolarlo” come suo consulente speciale, facendone il Fauci italiano: uno stratega, in grado di spezzare l’incantesimo del Covid, finora rivelatosi un disastro per l’Italia (niente cure precoci, e corsa all’ospedale quando ormai è tardi, in molti casi). Il primo a rivelare il piano-Draghi è stato il “Foglio”, sottolineando la scelta di utilizzare Remuzzi. Attenzione: nei mesi scorsi, il professore (insieme a Fredy Suter, a lungo primario di malattie infettive all’ospedale di Bergamo) ha diffuso una sorta di protocollo per le cure precoci, destinato a istruire i medici di famiglia, mettendoli finalmente nelle condizioni di trasformare il Covid in un problema affrontabile da casa, in pochi giorni. Istruzioni finora mai recepite dal ministero della sanità.

L’attuale protocollo-Covid è ancora «grottesco», come lo definisce il professor Pietro Luigi Garavelli, infettivologo e primario a Novara: le cure efficaci esistono (idrossiclorochina e colchicina, più eventualmente eparina), ma non sono state recepite dai gestori nazionali della  sanità.

«Ai pazienti alle prese coi primi sintomi si prescrive ancora l’inutile Tachipirina, lasciandoli in attesa a “friggere” nella loro febbre: in questo modo, non si fa nulla per contrastare il peggioramento, che poi gonfia i numeri dei ricoveri in emergenza», dicono i sanitari che assistono gratis i pazienti, attraverso associazioni come “Ippocrate”, che vantano il 100% di successi: tutte guarigioni ottenute senza bisogno di ospedalizzare nessuno. La terapia di Remuzzi è ancora più semplice: tanta vitamina D, e soprattutto antinfiammatori come il Nimesulide. Ma persino l’Aspirina (in dosi elevate) può bloccare l’evoluzione del Covid, scongiurando il pericolo. Sta dunque per cambiare la narrazione dell’emergenza, se Mario Draghi punta sul presidente dell’istituto Mario Negri? Sarà sfatato il tabù che ha finora impedito ai media di raccontare l’esistenza di terapie efficaci?

Proprio l’adozione di un protocollo nazionale per le cure precoci domiciliari (finora clamorosamente mancato) potrebbe essere l’arma vincente per uscire dall’incubo. Certo, a pesare come un macigno sono i 12 mesi di ritardo accumulati dal governo Conte, grazie alla sciagurata gestione dell’emergenza affidata al ministro Speranza e al suo consulente Walter Ricciardi. Occorre altro tempo, per mettere a punto la contromossa definitiva? Per questo, probabilmente, lo stesso Draghi convalida la colorazione in arancione di molte Regioni, per il prossimo mese. Primo obiettivo, transitorio: limitare i contagi, trovando il modo (intanto) di arginare il problema con i vaccini, cioè reperendo milioni di dosi e reclutando personale sanitario e siti per le vaccinazioni in ogni angolo d’Italia. Insomma: fine delle storielle imbarazzanti, come le costosissime “primule” di Arcuri.

La risposta vaccinale è quella che va per la maggiore, nel mondo: si spera che i “vaccini” mRna («che non sono veri vaccini, ma terapie geniche», precisa Garavelli) possano funzionare, almeno per qualche mese.

Molti i dubbi, ovviamente: si teme che un innesto genetico come quello oggi in distribuzione (ancora sperimentale, e con grandi incognite sugli effetti collaterali a medio e lungo termine) possa rappresentare una soluzione solo momentanea, dovendo “inseguire” un virus Rna velocemente mutante. Strategica, invece, la risposta dei sanitari che hanno imparato a guarire i pazienti: vaccino o non vaccino, l’essenziale è sapere come fermare l’infiammazione in modo tempestivo. Se il governo Draghi adotterà questo approccio, raccomandando dai migliori medici italiani, è facile immaginare che il problema Covid sarà destinato a sparire dai titoli d’apertura dei telegiornali.[…]

Remuzzi e Suter hanno firmato lo scorso dicembre un documento indirizzato ai medici di famiglia: fondamentale per curarsi a casa in sicurezza «anche prima di avere la conferma, tramite tampone, che si tratti proprio di coronavirus». Il protocollo si basa sulla letteratura scientifica e sull’esperienza clinica maturata sul campo, in tutto il mondo: «Strumenti essenziali e semplici, alla portata di tutti, per spiegare come vengono curati i pazienti Covid a casa loro, minimizzando il rischio di ricovero in ospedale». La parola d’ordine è tempestività. «Prima agisci, più hai successo nell’evitare il ricovero», ha spiegato Remuzzi a “Repubblica”. «Moltissimi italiani che si curano a casa ci telefonano perché hanno problemi di assistenza, che poi li inducono a rivolgersi al pronto soccorso. Però non ci vanno subito, ma solo quando si è già instaurata una fase iper-infiammatoria, e allora magari la malattia evolve negativamente».

Nei primi 2-3 giorni, quando la malattia è in fase di incubazione e si è presintomatici, inizia ad esserci una carica virale che sale, riassume “Qui Finanza”, sulla base del report di Remuzzi. Nei 4-7 giorni successivi, iniziano febbre e tosse e la carica virale diventa altissima. «Quello è il momento cruciale, ma è anche il momento in cui di solito non si fa niente, perché magari ci si limita a prendere l’antipiretico aspettando il tampone». Così, si può arrivare rapidamente al periodo di infiammazione eccessiva, quella che gli inglesi chiamano “hyper inflammation”, con sindrome respiratoria acuta: «E’ questa che mette le basi perché il virus arrivi ai polmoni, e lì si crei quella che gli immunologi chiamano “tempesta di citochine”, ovvero una reazione eccessiva del sistema immunitario che danneggia l’organismo». Un dramma che si può benissimo evitare, sostiene Remuzzi, se il medico di base sa come agire, da subito. Prevenire la fase di iper-infiammazione, dice Remuzzi, «è la cosa più importante in assoluto, per scongiurare un’evoluzione negativa della malattia».

Ovviamente non si tratta di una “cura fai da te”: è una strategia da seguire a casa sotto controllo medico (a patto che il medico, appunto, sia stato finalmente ragguagliato sui farmaci da somministrare). Prima ancora, il professor Remuzzi raccomanda l’assunzione di vitamina D, a scopo preventivo: alza le difese immunitarie, e quindi riduce di molto la possibilità di inconvenienti seri. Quando invece la malattia dovesse manifestarsi, secondo Remuzzi il medico di famiglia dovrebbe visitare il paziente, a casa, almeno una prima volta, per impostare la terapia (per seguire l’evoluzione, basteranno contatti solo telefonici). Prima mossa: «Appena si avvertono i primi sintomi, occorre suggerire subito l’antinfiammatorio, mentre il paziente aspetta il tampone». Remuzzi spiega anche cosa non fare. E cioè: «Non seguire la solita trafila ma chiamare subito il medico, non prendere la Tachipirina mentre si aspetta il tampone, non aspettare altri giorni per i risultati del tampone».

Quello che raccomandano Remuzzi e i suoi colleghi, aggiunge “Qui Finanza”, è di prendere vantaggio sul virus non appena si può. «Appena si avvertono i primissimi sintomi – come tosse, febbre, spossatezza, mal di testa, dolori ossei e muscolari – bisogna iniziare subito il trattamento, senza aspettare i risultati del tampone». Alle prime avvisaglie, «non bisogna assumere un antipiretico (come la Tachipirina) ma un farmaco antinfiammatorio, così da limitare la risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione virale». Quali farmaci si possono prendere a casa, dietro prescrizione medica, prima dell’esito del tampone? «Quando la febbre supera i 37,3 gradi o se ci sono mialgie, dolori articolari o altri sintomi dolorosi, si possono assumere farmaci antinfiammatori chiamati “inibitori della ciclo-ossigenasi 2” (o Cox-2 inibitori), come il Celecoxib. Il medico può prescriverne, ovviamente se per quel paziente non ci sono controindicazioni, una dose iniziale di 400 milligrammi seguita da una di 200 nel primo giorno di terapia, e poi un massimo di 400 milligrammi per giorno nei giorni successivi, se necessario».

Un altro farmaco Cox-2 inibitore, utile a prevenire l’infiammazione eccessiva, è il Nimesulide, il più famoso dei quali è l’Aulin. «In questo caso la dose consigliata è di 100 milligrammi due volte al giorno, dopo i pasti, per un massimo di 12 giorni». Se invece ci sono problemi o controindicazioni per il Celecoxib e il Nimesulide, «si può anche ricorrere all’Aspirina, anch’essa in grado di inibire Cox-2». La semplice Aspirina? Sì, certo: in dosi da 500 milligrammi, due volte al giorno, dopo i pasti. Poi: «Se c’è febbre persistente, dolori muscoloscheletrici o altri segnali di infiammazione, il dottore può prescrivere anche un corticosteroide, come il Desametasone: i corticosteroidi inibiscono molti geni pro-infiammatori che producono citochine».

Uno studio sul Nimesulide, pubblicato sull’”International Journal of Infective Diseases”, dimostra che riduce le componenti della famosa “tempesta di citochine”.

Un altro studio, pubblicato su “Anesthesia and Analgesia” rivela che «l’uso dell’Aspirina si associa a minor bisogno di ventilazione meccanica, minore necessità di essere ammessi in terapia intensiva e minore mortalità del paziente». Attenti, soprattutto, a non usare la Tachipirina: «La Società di Farmacologia francese ha trovato che l’utilizzo di paracetamolo, in persone che hanno forme avanzate della malattia, potrebbe persino nuocere, perché sottrae glutatione, antiossidante naturale prodotto dal fegato, sostanza importante per la capacità di difenderci dalle infezioni virali». Tutte notizie “lunari”, per il pubblico italiano, a cui giornali e televisioni – per un anno – hanno raccontato che dal Covid ci si “salva” solo all’ospedale, o ricorrendo al vaccino. Introdurre finalmente terapie precoci, gestibili da casa, significa compiere una sorta di “rivoluzione copernicana”, trasformando il Sars-Cov-2 (incluse le sue ovvie e continue “varianti”, essendo un virus Rna) in una patologia normalmente affrontabile, come tantissime altre. Il che permetterebbe di uscire davvero dall’incubo, mettendo fine all’allucinazione collettiva del panico e del distanziamento: se la malattia diventa curabile (e lo è già, come confermano Remuzzi e colleghi) l’emergenza non ha più ragione di esistere.

1La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962)

2Chi non si è ancora convinto dell’età media delle vittime vada a vedere i dati dell’Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-decessi-italia

3https://www.agi.it/cronaca/news/2020-11-15/studio-covid-virus-italia-settembre-2019-10300267/

4Si veda la meritoria ricerca dello statistico Mirco Vandelli, dalla quale il giornalista Matteo Gracis ha ricavato questo video: https://www.youtube.com/watch?v=AikpMh9kk1U&ab_channel=MatteoGracis (in descrizione si trova il pdf della ricerca). Per un confronto riguardo ai dati della mortalità: https://www.istat.it/it/files/2020/12/Rapp_Istat_Iss.pdf (in particolare le pagg. 5 e 9). Infine chi ha voglia di perder tempo può guardare anche il primo tentativo di replica uscito: https://www.youtube.com/watch?v=IjbSoDcXwO4&ab_channel=PaoloTuttoTroppo-LoStimolatorediNeuroni L’autore, un sedicente fact checker “stimolatore di neuroni”, si lascia andare a considerazioni più imbarazzanti di molti siti sui rettiliani, facendo cominciare il calcolo dell’Rt dal 1° ottobre (quando il calcolo dovrebbe cominciare da prima) ma soprattutto da un solo individuo e non da almeno 14 (stando ai numeri della ricerca milanese-senese). Si consideri inoltre il modesto numero di esaminati, che autorizzerebbe a ipotizzare un numero di “infetti” assai maggiore.

5https://www.ilgiornale.it/news/cronache/studio-iss-su-acque-scarico-covid-cera-gi-dicembre-milano-e-1871409.html

6Si veda ad esempio: https://www.byoblu.com/2020/11/06/dai-tamponi-alle-analisi-del-sangue-tutto-quello-che-non-sai-sui-test-covid19-fabio-franchi/

7Si veda il breve servizio nella puntata della trasmissione di Rete 4 “Fuori dal coro” del 16 febbraio 2021: https://www.mediasetplay.mediaset.it/article/fuoridalcoro/fuori-dal-coro-puntata-16-febbraio_b100002099_a19710

8Per comodità di esposizione rimandiamo alla stessa pagina citata (https://ippocrateorg.org/2020/11/26/come-si-affronta-il-covid-19/), dove si può trovare il prontuario medico elaborato dal gruppo. I farmaci utilizzati dai medici italiani sono gli stessi.

9Si ascolti ad esempio il racconto del medico milanese Andrea Mangiagalli, utile anche a capire quali sono le reali complicazioni del Covid19, senza sottovalutazioni né allarmismi: https://www.radioradio.it/2020/12/medici-chat-cura-covid-mangiagalli-duranti/

10Il quale, come l’asino della favola, dichiarava di assumerne preventivamente una pastiglia al giorno, salvo poi smettere dopo un paio di settimane. È noto comunque che il miliardario-presidente, una volta contagiato dal virus, si è curato con questo farmaco.

11https://scienze.fanpage.it/perche-lantimalarico-idrossiclorochina-potrebbe-aiutare-contro-il-coronavirus/

12Si veda ad esempio l’intervista al medico Massimo Citro Della Riva, ricchissima anche di indizi inquietanti sulla possibile origine laboratoriale del virus Sars-Cov2: https://www.youtube.com/watch?v=LDnvfpDj-VU&ab_channel=MassimilianoNeri

13In condizioni “normali”, il nostro organismo assumerebbe dal sole fino al 90% del fabbisogno di vitamina D. Ma pare che l’inquinamento atmosferico impedisca parte dell’azione naturale dell’astro. Anche per questo sempre più persone sono costrette a ricorrere ad integratori.

15https://www.aboutpharma.com/blog/2020/12/11/idrossiclorochina-consiglio-di-stato-dice-si-alluso-contro-covid/

16Intervista a M. Citro Della Riva, cit.

18Si confrontino ad esempio il caso del Venezuela (che dall’inizio della “pandemia” non ha mai superato i 40 morti da Covid per milione di abitanti), o quello di Cuba (che attualmente può vantarne appena 27), con gli oltre 1300 morti attuali per milione di abitante dell’Italia o i circa 1000 degli Stati Uniti. Mentre la Colombia, che ha vietato l’uso dell’idrossiclorochina, contava a fine 2020 più di 39000 morti, Caracas ne dichiarava 954. Un discorso a parte andrebbe fatto per il Brasile, dove Bolsonaro, in assenza di ogni forma di lockdown, ha non solo autorizzato ma anche promosso la distribuzione di idrossiclorochina e altri farmaci alla popolazione. Se in Brasile il numero di morti attribuiti al Covid rimane alto (ma in tutto ciò si considerino le condizioni demografiche e le forti disuguaglianze sociali del Paese, con ampie sacche di povertà estrema), esso è comunque inferiore a quello di Paesi che hanno attuato le chiusure e negato le cure, come ad esempio l’Argentina. Su ciò cfr. ad esempio: https://www.panorama.it/news/salute/idrossiclorochina-america-latina , oltre alla ricerca statistica di Mirco Vandelli citata all’inizio. I numeri sono inoltre verificabili su worldometers.info/it, il sito di statistiche in tempo reale di Google. Caso diverso ma emblematico è poi quello dell’India, territorio notoriamente sovrappopolato, con ampie masse di poveri e non particolarmente famoso per il suo “igienismo”, dove nella quasi assenza di lockdown il Covid è quasi scomparso: https://www.notizieflash24.it/2021/02/19/lindia-si-sta-liberando-dal-covid-ma-nessuno-capisce-di-preciso-perche/

20A proposito di ciò che è successo in Lombardia, in particolare nell’uso “industriale” delle terapie intensive, si ascolti (a partire dal minuto 10.20) l’intervento del medico Leopoldo Salmaso, utile anche a capire il clima attuale all’interno dell’Ordine dei medici: https://comedonchisciotte.org/aridatece-linfluenza-video-speciale-comedonchisciotte/

21Chi ha lo stomaco per farlo può vederlo qui: https://www.youtube.com/watch?v=s85ieNxc99M&ab_channel=La7Attualit%C3%A0 a partire da 1h e 41 del minutaggio. “Interessante”, a suo modo, anche lo sproloquio introduttivo di Stefano Massini, ultimo buffone aggregato alla banda atlantista di “Repubblica”, con l’equiparazione tra “negazionisti” del Covid e negazionisti delle camere a gas naziste:

22Cfr. https://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/mariano-amici-rischio-radiazione-pierpaolo-sileri-minacce-morte-3248921/

23Cfr. https://www.facebook.com/thecancerMP/posts/4186417978039057

25https://www.sanita24.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANO_SANITA/Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/2020/12/02/CIRCOLARE_CURE_A_CASA.pdf?uuid=ADZ9Gg5

26L’ultimo aggiornamento, cui facciamo riferimento, è dell’11 febbraio 2021. Lo potete vedere qua:

https://files.covid19treatmentguidelines.nih.gov/guidelines/covid19treatmentguidelines.pdf

27Cfr. l’intervista a Mangiagalli, cit.

28Intervista al programma di Rete 4 citato alla nota 7.

31“I 44 dell’idrossiclorochina” e altri si incontrano via internet già da marzo 2020, anche grazie al contributo dell’avvocato Grimaldi che dà vita a una pagina Facebook per quanti vogliono informazioni o richiedono cure domiciliari. Stando alle notizie che siamo riusciti a reperire, risalenti allo scorso dicembre, “i medici in prima linea” o “medici in una chat”, come vengono chiamati, sarebbero circa 200. Cfr. ancora Mangiagalli, cit.

32Secondo un fenomeno chiamato ADE (Antibody -Dependent Enahancement, potenziamento anticorpo dipendente), particolarmente facile a verificarsi con i coronavirus, come ci informa Wikipedia

(https://it.wikipedia.org/wiki/Potenziamento_anticorpo-dipendente), aggiungendo subito, però, che secondo un certo studio l’ADE non sarebbe mai stato osservato con il Sars-Cov2. Ma va…

33Si veda anche il recente “appello” internazionale – semplicemente agghiacciante – di 30 scienziati (unica italiana: la professoressa Giulia Giordano dell’Università di Trento) a costituire “zone verdi” controllate tecnologicamente, nelle quali si potrebbe entrare solo previo tampone, vaccino e app di tracciamento: https://www.repubblica.it/cronaca/2021/02/15/news/obiettivo_zero_covid_l_europa_deve_agire-287696017/

34A questo proposito si può leggere, tra gli altri libri, l’interessante inchiesta di Claudio Gatti, I demoni di Salvini, Chaiarelettere, 2019.

35La quarta rivoluzione industriale (edito in italiano da Franco Angeli) e The Great Reset (pubblicato nell’esate 2020 e non ancora tradotto) sono anche due libri di Klaus Schwab, economista, fondatore del World Economic Forum di Davos e teorico di punta dell’élite globalista-atlantista. Chi legge l’inglese e vuole farsene un’idea può visitare la sezione dedicata al “great reset” del sito del WEF: https://www.weforum.org/focus/the-great-reset Scoprirà che i padroni del mondo certe cose le dicono esplicitamente. Sconsigliato agli animi troppo delicati.

36E a proposito di élite globale bisogna fare almeno un nome e cognome: Bill Gates. Detto sommariamente, Gates:

1) Attraverso la Melinda and Bill Gates foundation è il secondo finanziatore al mondo dell’OMS (durante l’era- Trump è stato il primo, perché il presidente fascio-sovranista, non a caso, aveva ritirato il finanziamento. 2) Attraverso la medesima fondazione, è il primo finanziatore della Gavi, l’Alleanza internazionale per i vaccini 3) Ha “previsto” l’epidemia in una celebre conferenza “TED” del 2015 (https://www.youtube.com/watch?v=6Af6b_wyiwI&ab_channel=TED) in cui appronta in anticipo le attuali “soluzioni” (tracciamento tecnologico, sinergia tra ambiente medico e ambiente militare, vaccini) 4) Ha praticamente dettato l’attuale “agenda pandemica” dei governi – con tanto di “ritorno alla normalità” – in un post altrettanto famoso nell’aprile 2020. 5) Pochi mesi prima della pandemia, a ottobre 2019, ne ha organizzato la simulazione (col nome di “Evento 201”) alla John Hopkins University di Baltimora. A buon intenditor poche parole, e ci sembrano già troppe. Su questo più in dettaglio si veda Bianca Bonavita, Bill Gates e la nemesi tecno-medica, Efesto, 2020.

37https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-due-vocaboli-infami

38https://illatocattivo.blogspot.com/2018/12/il-demos-il-duce-e-la-crisi.html

39https://pungolorosso.wordpress.com/2020/03/14/il-cigno-nero-e-qui-crisi-guerra-e-prospettive-dello-scontro-di-classe/

40Ippocrateorg.org, cit.

41Si veda, tra le altre, questa interessante analisi: https://malacoda.noblogs.org/post/2021/02/04/good-bye-giuseppi/

42https://andreacecchi.substack.com/p/rapidamente

43Cfr. L’analisi dei fatti Gracis-Vandelli citata all’inizio.

44Al di là dell’età dei morti, se non tempestivamente curato può attaccare potenzialmente tutti gli organi (una delle sue “particolarità”) lasciando danni anche permanenti.

45Un occhio attento avrà notato che buona parte delle fonti utilizzate in questo articolo vengono dalla stampa di destra. Anche alcuni dei medici più “barricaderi” citati lo sembrano (il che però non equivale a dire che siano “fascisti”). Non ci sembra del tutto un caso. Se questo ci dice cos’è oggi la “sinistra”, ammesso che ne esista ancora una, è un motivo in più per non fare fronti comuni contro chiusure e restrizioni. Meglio soli che male accompagnati.

46E già se ne prepara il recupero, dicendo che nella “lotta al Covid” non c’è bisogno “solo” dei vaccini, ma anche delle cure domiciliari. Si ascolti questo: https://www.raiplayradio.it/audio/2021/02/Prima-Pagina-del-18-febbraio-2021-e155fafb-c14d-4ada-9f82-8d85f2c8535a.html Interviene anche Luigi Cavanna, medico piacentino, uno dei “44 dell’idrossiclorochina”.

47L’ultimo di cui abbiamo saputo è il decesso “anomalo” di un medico di Bolzano: https://www.altoadige.it/cronaca/medico-parla-di-morte-anomala-dopo-il-vaccino-l-asl-vuole-chiarezza-1.2852099