A proposito del libro “Anti-Tech Revolution: Come e Perché” di Theodore J. Kaczynski

A proposito del libro “Anti-Tech Revolution: Come e Perché” di Theodore J. Kaczynski

T. J. Kaczynski
Anti-Tech Revolution: Come e Perché
Editziones Sa Kàvuna, Sardegna, gennaio 2021. Prima edizione in lingua italiana.
Una copia: 12,00 euro. Per la distribuzione, a richieste di almeno cinque copie: 8,00 euro.
Per richieste di copie rivolgersi a editzionessakavuna@yahoo.com

«Distruggere la civilizzazione significa distruggere noi stessi, così come ci conosciamo».

Anti-Tech Revolution racchiude le ultime analisi e prospettive che l’autore John Theodore Kaczynski – noto come Unabomber, ha maturato tra il 2013 ed il 2016 in un carcere di massima sicurezza del Colorado, dove si trova rinchiuso dal ’96 per una condanna di quattro ergastoli comminatogli dall’organizzazione criminale che incarna il governo degli Stati Uniti.

Costruire una descrizione del testo preso in esame apre due possibilità che concorrono al tentativo non semplice di esaminare sotto la lente della criticità anarchica il pensiero e l’azione dell’uomo che per quasi vent’anni ha messo in ginocchio la macchina securitaria americana; due strade che percorrono da una parte la vita stessa dell’autore e dall’altra il suo operato inteso vuoi come azioni che gli vengono imputate, vuoi come pensiero radicale incentrato sull’ecocidio dovuto all’espandersi delle civiltà moderne e nel relativo sviluppo tecnologico.

Kaczynski nasce nel 1942 a Chicago dove frequenta le scuole primarie e superiori, poi si laurea ad Harvard nel ’62. Assunto come professore di matematica presso l’Università di Berkeley, all’età di 26 anni, rinuncia senza spiegazioni all’incarico e si trasferisce in una casetta di 11 metri quadri a Lincoln, tra i boschi del Montana. Da allora vive, fino al suo arresto, in modo essenziale, con pochi soldi e senza acqua corrente né elettricità, sostentandosi cacciando e raccogliendo i frutti della natura – alcuni dei racconti sulla sua vita nei boschi sono contenuti nella “Prima intervista dal carcere” a cura di Theresa Kintz.

In “Un saggio del 1971”, oltre ad esporre le sue critiche embrionali al sistema tecnologico e alla civilizzazione, propone al lettore di «unirti a me ed altre poche persone nel tentativo di fondare un’organizzazione che abbia lo scopo di fermare e tagliare le sovvenzioni federali alla ricerca scientifica». Date le analogie con La società industriale ed il suo futuro, il Saggio, sommato alle delazioni di suo fratello, è stato utilizzato dalla FBI per scovare colui che riuscì a rimanere anonimo per diciott’anni dall’inizio delle attività dinamitarde.

La prima delle 16 azioni di FC (Freedom Club – sigla apparsa su 8 ordigni), risale al 25 maggio del ’78 e si tratta di un pacco bomba indirizzato ad un docente universitario di ingegneria, il quale, insospettito, lo consegna alla polizia che avrà modo di conoscerne le potenzialità distruttive poiché, nell’esplosione, viene ferito uno sbirro. Seguono altri attentati indirizzati ad istituti tecnici, docenti di ingegneria elettronica, aspiranti astronauti, ricercatori, genetisti, negozi di computer nonché a società di trasporti aerei (un pacco bomba collegato ad un altimetro si incendia all’interno di una borsa postale e costringe ad un atterraggio di emergenza il volo 444 della American Airlines) e al direttore, saltato in aria nella detonazione, dell’azienda pubblicitaria responsabile di un accordo con Exxon Corporation, compagnia petrolifera la cui nave è stata protagonista di un disastro ecologico in Alaska. Si contano, in totale, 3 morti e 23 feriti.

Dal ’93 hanno inizio le comunicazioni del «gruppo anarchico FC». Interessante, ma purtroppo limitato, è il passaggio in una di queste rivendicazioni in cui il gruppo tenta di spiegare la propria definizione di anarchico: «Nella nostra precedente lettera trasmessa a voi ci siamo definiti anarchici. Dato che “anarchico” è un termine vago che viene di solito applicato ad una grande varietà di atteggiamenti, è necessario dare un’ulteriore spiegazione. Noi ci definiamo anarchici perché vorremmo, idealmente, abbattere l’intera società odierna sostituendola con una suddivisa in piccole unità completamente autonome». Anche tralasciando il “termine vago” che intende FC, troppo riduttivo se consideriamo un movimento rivoluzionario internazionalista che concretamente intende abbattere il dominio, la proposta di “sostituire l’intera società odierna con una suddivisa in piccole unità completamente autonome”, per quanto possa apparire condivisibile, porta con sé alcuni aspetti che necessariamente andrebbero valutati e contestualizzati in un’ipotetica società liberata (a tal proposito vedi l’articolo “Approfondimenti di un discorso isolato?” su “Nurkuntra”, n. 6). Come potrebbero esistere delle “piccole unità completamente autonome” se l’interrelazione tra culture, economie – anche autodeterminate – e territori è di fondamentale importanza per l’esistenza delle stesse? La problematica del perpetuarsi del dominio dell’uomo non è legata solo al livello di autonomia che ogni “unità”, grande o piccola può raggiungere, ma sta anche nei rapporti di potere che sussistono sia all’interno dello stesso nucleo sociale, che dal nucleo all’ambiente esterno. L’idea di ridistribuire i popoli in piccole “unità autonome”, come fossero microcosmi indipendenti ed isolati rispetto agli altri esistenti, nonostante possa apparire condivisibile, risulta essere insufficiente alla risoluzione dello scontro con la società tecno-industriale ed il potere presente e futuro, in quanto si ripresenterebbe comunque l’insorgenza dei cosiddetti “sistemi auto-propaganti” di cui lo stesso Kaczynski parla nel suo ultimo libro Anti-Tech Revolution.

Il 19 settembre del ’95 viene pubblicato, come inserto di otto pagine allegato al Washington Post, La società industriale e il suo futuro, ovvero il Manifesto di Unabomber, composto da 232 paragrafi di analisi, letture e proposte che il gruppo FC è riuscito a diffondere attraverso i media americani più importanti. Una descrizione sistematica del mondo civilizzato contemporaneo ed alcune prospettive – talvolta pure criticabili – che hanno segnato una rottura radicale tra l’ecologismo “di sinistra”, riformista e politicamente cristallizzato, ed una nuova corrente che non intende scendere a compromessi, cosciente della gravità della situazione e che non attende tempi migliori per fermare il progresso tecnologico che avanza. A suon di attentati, il Manifesto è riuscito a sdoganare l’utilizzo della violenza verso i diretti responsabili – dunque persone e non solo cose – all’interno dei dibattiti concernenti il movimento ecologista, chiarendo l’intenzione di voler abbattere il sistema tecno-industriale ed i suoi difensori aggirando la morale che ingabbia le varie tensioni ed impedisce, talvolta, di ottenere risultati soddisfacenti nella lotta contro il nemico. Vi è da dire che, sia prima che dopo l’arresto di Kaczynski, sono state rivalutate alcune posizioni in merito all’utilizzo incondizionato della violenza, vedi il comunicato di FC riguardante l’ordigno piazzato nell’aereo nel ’79, dove si scrive: «l’intenzione era quella di uccidere un gran numero di uomini d’affari. Ma, ovviamente, molti passeggeri potevano essere innocenti – un bambino, oppure un proletario che andava a trovare sua madre. Oggi siamo contenti che quel tentativo sia fallito».

Nell’aprile dell’anno seguente Kaczynski viene individuato ed arrestato. Nella sua casetta vengono trovate delle copie su carta carbone del Manifesto ed alcune sostanze e materiali utilizzabili per il confezionamento di ordigni esplosivi. Durante il processo i suoi avvocati propongono l’infermità mentale per evitargli la pena di morte, ma lui rifiuta quest’offesa e rivendica tutti gli attentati a lui imputati. Di conseguenza la pena viene tramutata in quattro ergastoli, senza possibilità di riduzione o attenuanti. Dal carcere pubblica numerosi scritti indirizzati a giornali di movimento ed a riviste scientifiche, ricevendo sia solidarietà da parte dei “movimenti” – tra cui le frange ecologiste radicali e anarchiche – sia prese di posizione assolutamente distanti dal suo operato, o quantomeno, da quel che lui rivendica. Tra questi suoi scritti ricordiamo: “Moralità e rivoluzione”, “La nave dei folli”, “Colpite dove più può nuocere”, “Quando la non violenza è un suicidio”, “La verità sulla vita primitiva: una critica all’anarco-primitivismo”. Uno dei comunicati in sua solidarietà citati è “Rivogliamo indietro Kaczynski e la sua casetta!” redatto dal gruppo anarchico turco Ates Hirsizi, nel 1998.

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La prima e seconda edizione di Anti-Tech Revolution vengono stampate dall’americana Fitch&Madison Pubblication rispettivamente nel 2016 e nel 2020, mentre la prima versione in lingua italiana viene tradotta e pubblicata dalle novelle Editziones “Sa Kàvuna” (la roncola), di Decimomannu (SU), la quale esordisce con questo primo titolo.

L’opera si presenta come un bel volume di 240 pagine suddivise in quattro capitoli accompagnati a loro volta da altrettante appendici; una breve nota dell’editore ed un’interessante introduzione ove si riportano le motivazioni che hanno spinto i compagni anarchici e nichilisti alla pubblicazione del testo.

Nella prefazione, l’autore oramai settantacinquenne, specifica che tale libro non può essere solamente letto, bensì necessita di essere attentamente studiato e che, data la sua preoccupazione riguardo al futuro, decide di pubblicare solo una parte di un lavoro più completo il quale, probabilmente, vedrà la luce nei prossimi anni.

Nella parte finale del libro si trova un’immensa bibliografia su cui si è basato per le sue ricerche, ed un’intervista, purtroppo finora senza risposte, inviata dagli editori al matematico.

Dalla prima metà del libro Kaczynski si concentra sulla teoria che una società non possa mai predire l’andamento futuro della stessa in quanto viene costantemente, e sempre più velocemente, modificata dall’indefinitezza della selezione naturale. Per rafforzare questa tesi l’autore propone una lunga serie di avvenimenti storici, analisi politiche e formule fisiche che ne scandiscono i contorni ed aiutano a comprenderne i fondamenti. Nel riconoscere che le condizioni di miseria e sfruttamento alla quale è sottoposta la maggioranza degli esseri umani siano causate dall’eterna competizione tra le varie potenze economiche, ognuna delle quali ha l’interesse primario di superare le altre in fatto di preparazione tecnicoindustriale, esso elabora l’esistenza dei sistemi “auto-propaganti” come entità che tendono a promuovere la propria sopravvivenza a dispetto delle altre. Se, dunque, partiamo dal sunto che la selezione naturale promuove quegli organismi che riescono a sovrastare gli altri, e che le società si sviluppino in base alla suddetta selezione naturale, ne converremo che sia praticamente impossibile conoscerne le evoluzioni future.

Ciò significa che i sistemi che riusciranno ad avvantaggiarsi in termini di potere rispetto agli altri, non curandosi delle conseguenze che le loro azioni apporteranno sul lungo termine, avranno maggiori possibilità di successo entro breve tempo. Passaggio molto interessante è la discussione sulla noncuranza degli effetti ambientali di lunga durata, che fa riflettere il lettore riguardo le conseguenze che, purtroppo, in Sardegna conosciamo molto bene. Vediamo l’estrattivismo sfrenato che nel giro di pochi anni ha avvelenato e distrutto il territorio adiacente la miniera d’oro di Furtei; il problema delle scorie nucleari che intravede in alcuni paesi dell’isola i luoghi ideali dove stoccare l’immondezza radioattiva prodotta dall’innovazione energetica e dalle sue centrali; la vergogna del Parco Genos a Perdasdefogu, dove i bio-ingegneri al servizio del dominio sono riusciti a far sparire, e poi a svendere ad una società inglese, il DNA di 12000 sardi che, presi letteralmente per i fondelli, hanno acconsentito alla ricerca sulla fantomatica longevità degli isolani; oppure alle truffe milionarie legate allo sviluppo dell’energia rinnovabile, le quali relative pale eoliche, che spuntano come funghi nel territorio sardo, sterminano moltissime specie aviarie e le cui turbine contengono alcune terre rare, come il neodimio che, oltre a essere tossico, la sua estrazione dal sottosuolo comporta il massacro di migliaia di adulti e bambini congolesi costretti a scavare a mani nude e a sopravvivere in condizioni disumane.

Se verrà permesso al sistema tecnologico di arrivare alla sua logica conclusione, dunque, la Terra diventerà un pianeta morto. Ma come fermare questo scempio?

La proposta di Kaczynski è quella di creare un movimento rivoluzionario mondiale, da lui inteso legalitario – forse per motivi di censura –, che ostacoli, con l’azione diretta, il progresso tecno-scientifico intrinseco alle società moderne ed in grado di colpirne l’apparato tecnologico, al fine di non lasciarne traccia e debellare il male che divora la naturalità dell’esistenza. Egli detta regole, raccomandazioni e consigli per chi vuole modificare radicalmente una società e redige una serie di linee guida per la costruzione di un movimento anti-tecnologico. Da questi paragrafi emerge la volontà di voler continuare imperterrito alla ricerca di complici che sposino la causa anti-civilizzatrice che di già propose nel lontano 1971 nel sopraccitato Saggio.

Cinquant’anni non son bastati a piegare la schiena di un uomo che ha dedicato la vita alla difesa incondizionata dell’ambiente, dimostrando a testa alta la sua refrattarietà nei confronti del potere, e nemico imperterrito delle menti brillanti che campano ben protette sul dominio dell’artificio sul mondo naturale.

Nonostante la stima che si possa provare verso l’autore, per il suo operato ed i nuovi contributi da lui proposti in questo libro, però, vi sono delle grosse incongruenze che il lettore, specialmente se antiautoritario, troverà inapplicabili al proprio agire. Se da una parte vengono schematicamente esposte le 5 regole per la creazione di un movimento di tale portata, la cui efficienza viene poi convalidata da ulteriori studi ed analisi, ma che non possono essere condivise per ovvia ragione dagli anarchici più radicali, dall’altra vi sono alcuni passaggi importanti dei quali si dovrebbe farne tesoro. Non si può non essere d’accordo, ad esempio, sul suggerimento di non retrocedere mai dalle proprie posizioni per venire popolarmente accettati, e di tenersi pronti alle esplosioni sociali che, in maniera sempre più frequente e diffusa, esplodono ed esploderanno, vedi i recenti fatti di cronaca relativi alle insurrezioni che costellano il pianeta. Inoltre incoraggia il neo-movimentista anti-tecnologico a studiare la storia per evitare gli errori del passato, e a non scadere mai in inutili “guerre” con altri movimenti, poiché il metodo migliore per prevalere è quello di “superarli” con analisi più accurate ed azioni più incisive.

In definitiva Anti-Tech Revolution è un testo che non può mancare nelle librerie di chi lotta per la difesa dell’ambiente e che vede nel progresso tecno-scientifico la causa di tale disastro ecologico. È un libro dedicato a chi intende fermare ad ogni costo la stupidità della civilizzazione moderna, che s’impone irresponsabilmente come evoluzione dell’abbruttimento umano distruggendo il delicato equilibrio di un ecosistema oramai annichilito dai veleni prodotti dall’ingordigia dei potenti. Questo mette in guardia sui pericoli ai quali, ciecamente, l’umanità sta andando incontro nel seguire le logiche di profitto e sfruttamento, conducendo i “proletari del nuovo millennio” verso una vita mutilata della sua selvaggia ed indomabile bellezza. Kaczynski centra il bersaglio quando afferma che la tecnologia è il nemico concreto da abbattere per rivendicare l’esistenza che ci è stata rubata, senza se e senza ma, da chi vuole vederci rinchiusi in quattro mura, fisiche e mentali.

Eppure vi sono quelle individualità che mettono a disposizione della lotta contro il sistema putrido, corrotto e nemico di ogni spirito degno di essere chiamato libero, la loro irriducibile tensione. Non importa quali saranno i mezzi, se usati con sapienza ed intelligenza, utilizzati per l’attacco ai diretti responsabili – ed alle relative strutture – a cui interessa conservare in una teca di cristallo i meccanismi utili alla riproduzione del potere. Noi scruteremo tra i boschi alla ricerca di orme che portino nella giusta strada verso l’eliminazione del dominio, in qualsivoglia forma esso si manifesti, e passo dopo passo, proseguiremo il sentiero affinando l’olfatto che ci permetterà di fiutare meglio i profumi della vittoria. Continueremo il nostro cammino con il bagaglio di conoscenze individuali che solo l’esperienza può insegnare, forti del fatto che il nostro compito è quello di difendere la salubrità del territorio e degli animi indomiti che lo abitano, fiaccole mai spente a ricordarci che siam vivi.

Carlo Cavalleri
Trexenta, febbraio 2021

[Tratto da sardegnaanarchica.wordpress.com].