Scritto di Alfredo Cospito dal carcere di Ferrara: Un contributo riguardo la “Proposta per un nuovo manifesto anarchico” [it, en, fr]

Un contributo riguardo la “Proposta per un nuovo manifesto anarchico”

Premetto che vivendo in una “bolla” (una sezione di alta sicurezza) solo oggi, ad aprile 2021, ho ricevuto le “Riflessioni in merito al substrato anarchico contemporaneo informale, insurrezionale e internazionalista. Per un nuovo manifesto anarchico”, scritto nel lontano febbraio–aprile 2020.

Pur non sapendo come si sia evoluta la cosa vorrei comunque dire la mia. Dare il mio contributo su ciò che credo sia l’essenza reale e concreta di quella che a volte viene definita “la nuova anarchia”, a volte “l’internazionale nera”. Mi piacerebbe che questo mio scritto circolasse il più possibile fuori dai confini italiani e quindi spero che qualche compagno/a traduca queste mie parole nelle varie lingue. La mia intenzione è semplicemente quella di chiarire alcuni punti, spero di non pestare i piedi a nessuno, i miei sono solo punti di vista un po’ diversi… La prima cosa che ho notato in questo scritto è che la Federazione Anarchica Informale – Fronte Rivoluzionario Internazionale e la Cospirazione delle Cellule di Fuoco non vengono mai citate. Questa mancanza dal mio punto di vista è abbastanza sorprendente e indicativa perché stiamo parlando di esperienze di lotta armata che, con tutti i loro limiti, hanno dato l’avvio a questo fenomeno. Queste due esperienze ci hanno lasciato in eredità una concretezza che prima solo ci sognavamo, una concretezza prodotto di una vera e propria “internazionale”. Un’internazionale che ha permesso agli anarchici e alle anarchiche di comunicare attraverso le azioni senza organizzazioni e coordinamenti di sorta. Una forza che si è resa riconoscibile presentandosi al mondo attraverso degli acronimi. Acronimi dietro i quali non vi erano nient’altro che anarchiche e anarchici d’azione che si rapportavano tra di loro attraverso le parole che seguivano le azioni. Compagne e compagni che in quello specifico ambito avevano un solo fine: la distruzione concreta, fattuale dell’esistente e non il riconoscimento o l’auto-rappresentazione all’interno di un’assemblea. Nel vostro scritto (che se ho capito bene avrebbe tra i tanti anche lo scopo benefico di “attenuare le discrepanze” tra le cosiddette lotte “sociali” e “antisociali”) la reale essenza di questa “nuova” anarchia viene riportata sui binari dell’insurrezionalismo classico. Dico questo perché concetti base che sono fondanti per questa “nuova” anarchia nelle vostre parole vengono stravolti se non capovolti. Parole che sembrerebbero il tentativo di dare un’organicità, una strutturazione ad un fenomeno che per sua natura è etereo, destrutturato e che trova la sua forza proprio in questa sua impalpabilità e imprevedibilità.

In Europa negli anni passati furono sperimentati tra anarchici/e più o meno informali tentativi simili al vostro. Tentativi di assemblee internazionali più o meno riuscite. Tentativi che al di là delle intenzioni iniziali non portarono a nulla se non a libri, documenti in comune e manifesti vari, riducendosi di fatto al solito teatrino per i soliti/e compagni/e conosciuti/e. Mi tocca a questo punto ribadire quali sono (secondo il mio solitario punto di vista) i concetti fondanti alla base delle nuove pratiche informali:

– Superamento dello “strumento” assembleare, parlano solo le azioni, solo gli anarchici e le anarchiche che rischiano la vita colpendo duramente, la comunicazione avviene attraverso le rivendicazioni.

– Esclusione di ogni organizzazione di sorta, anche di coordinamenti, gli scritti che seguono le azioni in qualche modo invitano gli altri gruppi ad agire di conseguenza, non c’è bisogno di conoscersi perché questo darebbe adito a leader o coordinamenti.

– Esclusione dei teorici puri, che non hanno alcuna voce in capitolo, parlo di quei compagni/e che attraverso la loro “lucidità” e capacità teorica riescono (pur non volendo) ad imporsi nelle assemblee.

Queste a parer mio sono le caratteristiche fondanti di tutte quelle miriadi di azioni che negli ultimi anni si sono parlate per il mondo, rimbalzando spesso da un continente all’altro dando origine a campagne di lotta. Non importa se le azioni vengano accompagnate da un acronimo o meno, l’importante è la comunicazione che avviene attraverso le rivendicazioni*.

Nella vostra analisi sostenete tutto il contrario di quello che (secondo me) traspare con chiarezza e con tutta evidenza dalle dinamiche concrete e reali della cosiddetta “contemporaneità anarchica insurrezionale e internazionalista”. In più punti affermate che non bisognerebbe limitarsi all’azione distruttiva perché questa non basterebbe a far crollare il sistema tutto. Adombrando poi il rischio che limitandosi all’azione distruttiva si andrebbe incontro alla nascita di “gruppi di specialisti dell’azione”, insomma il solito spauracchio dell’avanguardia. Arrivando poi di logica in logica alla sorprendente affermazione che questa “nuova” anarchia non si dovrebbe circoscrivere ai soli che realizzano le azioni. Tutti concetti rispettabili ma che snaturano la vera essenza di questo fenomeno, riportandoci indietro al rischio molto più concreto e puntuale di creare specialisti della teoria (non dell’azione) che, dando “potere” decisionale alle assemblee, impongono (pur non volendo) la loro strategia perché più bravi a scrivere e parlare e magari perché compagni/e carismatici/e e conosciuti/e. Nel vostro scritto si parla di “informalità organizzativa” e di “prassi insurrezionale permanente”, questa vostra visione mi pare non rispecchi a pieno la “contemporaneità” dell’anarchismo d’azione. A questo punto mi azzardo a tentare per sommi capi la “genesi” di questo nuovo modo di intendere l’insurrezionalismo, almeno per quanto riguarda l’Italia. Qui da noi tutto è cominciato come critica all’insurrezionalismo sociale e alle sue dinamiche assembleari. Alle assemblee erano sempre i soliti a parlare perché avevano maggiore esperienza, perché avevano le idee più chiare. Peccato che le idee, essendo il prodotto di pochi illuminati, ristagnassero. Le parole di chi parlava meglio, di chi scriveva meglio e magari aveva più carisma pesavano di più di quelle degli altri che intimiditi rimanevano in silenzio. La maggioranza si accodava, qualche volta qualcuno/a provava ad intervenire ma le loro parole avevano un peso effimero. Insomma, le solite, temo inevitabili, dinamiche assembleari. Sia ben chiaro che non sto colpevolizzando nessuno, semplicemente in certi meccanismi sociali ci si entra senza neanche accorgersene, ci caschiamo tutti prima o poi. Dalla critica ai compagni/e con più esperienza a sperimentare percorsi “nuovi” il passo fu breve. Si partì dalla messa in discussione dei coordinamenti figli delle dinamiche assembleari, per poi arrivare alla messa in discussione di alcuni “dogmi”. Uno per tutti, quello che sosteneva che le uniche azioni valide fossero quelle “riproducibili” (le “piccole” azioni). Una formuletta che demonizzava come “spettacolare” e “avanguardia” ogni azione che per la sua violenza potesse andare un po’ più in là. Mi permetto di dire che nel vostro scritto questo “dogma” rischia di essere resuscitato quando fate la distinzione tra obiettivi giusti da colpire, “basi del sistema”, e obiettivi obsoleti, “simboli del sistema”. Le parole cambiano ma il succo rimane lo stesso. Chi è che dovrebbe decidere quali sono gli obiettivi giusti da colpire? Basterebbe questa semplice domanda per mettere in luce le contraddizioni di una tale impostazione. Col tempo l’ultimo “tabù” ad essere infranto fu quello delle rivendicazioni e delle sigle e lì il panico fu generale anche per le conseguenze repressive che una tale pratica avrebbe comportato, e che effettivamente comportò. Per qualche anno la maggioranza del movimento insurrezionalista di lingua italiana ignorò queste “nuove” pratiche. Ma l’aumento dell’impatto anche massmediatico provocato da azioni sempre più oggettivamente violente rese risibile ogni atteggiamento di snobismo e superiorità. Poi, con la diffusione in mezzo mondo della FAI–FRI, risultò demenziale insistere con quell’atteggiamento. In maniera critica o ipercritica, con i distinguo dovuti, tutti o quasi tutti presero atto che qualcosa di nuovo era nato.

Adesso temo sia arrivato il momento del “recupero” e risaltano fuori, di nuovo, coordinamenti, assemblee, manifesti. Sono certo della vostra buona volontà, ma ho paura che con questi presupposti quello che nascerà non potrà fare altro che ricalcare (e lo dico senza alcuna ironia) il “vecchio” e glorioso insurrezionalismo sociale. Secondo me è la metodologia che avete usato che è sbagliata. Dovrebbero essere i gruppi e i singoli anarchici/e, attraverso le azioni, a parlarne. Solo dalle loro analisi, veicolate attraverso le azioni, potrà rafforzarsi la nuova prospettiva anarchica. Solo così si potrà fare quella selezione necessaria, indispensabile, che escluda a priori gli “ideologi di professione”, coloro che non agendo nel reale non hanno gli strumenti affilati e quindi una visione concreta e realista per incidere nella realtà. Non è un’accusa, sono certo che tra di voi “ideologi di professione” non ce ne siano, è semplicemente una questione di metodo.

È il metodo che fa la differenza tra le diverse visioni dell’anarchia. In questo tipo di contesto le analisi strategiche non possono cadere dall’alto. Per quanto elaborate e ben scritte che siano, le parole devono essere veicolate dall’azione, altrimenti l’analisi inevitabilmente mancherà di realismo e concretezza. Detto questo, il mio è solo un punto di vista. Il punto di vista di un compagno prigioniero che ha una visuale limitata della realtà.

Proprio per il discorso appena fatto, il mio parere vale per quello che vale, poco. Il mio è solo un contributo, e spero tanto che le mie critiche si rivelino costruttive.

Alfredo Cospito
19 aprile 2021

* Bisogna comunque far notare che le azioni rivendicate hanno uno svantaggio nei confronti di quelle non rivendicate: comportano un rischio maggiore dal punto di vista repressivo. D’altra parte però anche le azioni non rivendicate hanno un inconveniente: l’invisibilità e la dispersione. Il messaggio che (in un’ottica sociale) le azioni non rivendicate vorrebbero trasmettere spesso non arriva o viene fortemente offuscato o stravolto.

PDF: Alfredo Cospito, Un contributo riguardo la “Proposta per un nuovo manifesto anarchico”.


Text of Alfredo Cospito from Ferrara prison: A Contribution About the “Proposal For a New Anarchist Manifesto”

A Contribution About the “Proposal For a New Anarchist Manifesto”

Let me preface this by saying that living in a “bubble” (a high security section) it was only today, April 2021, that I received the “Reflections on the contemporary informal, insurrectional and internationalist anarchist substrate. For a new anarchist manifesto“, written back in February–April 2020.

Although I don’t know how this has evolved, I would still like to have my say, by giving my contribution on what I believe is the real and concrete essence of what is sometimes called “the new anarchy”, sometimes “the black international”. I would like this writing of mine to circulate as much as possible outside the Italian borders and so I hope that some comrade will translate these words of mine into the various languages. My intention is simply to clarify a few points, I hope I’m not stepping on anyone’s toes, mine are just slightly different points of view… The first thing I noticed in this document is that the Federazione Anarchica Informale – Fronte Rivoluzionario Internazionale (Informal Anarchist Federation – International Revolutionary Front) and the Conspiracy of Cells of Fire are never mentioned. This lack from my point of view is quite surprising and indicative because we are talking about experiences of armed struggle that, with all their limitations, gave the start to this phenomenon. These two experiences have bequeathed to us a concreteness that we only dreamed of before, a concreteness that was the product of a real “international”. An international that has allowed anarchists to communicate through actions without organizations and coordination of any kind. A force that has made itself recognisable by presenting itself to the world through acronyms. Acronyms behind which there were nothing but anarchists of action who related to each other through the words that followed the actions. Comrades who had only one aim in that specific field: the concrete and factual destruction of the existing and not recognition or self-representation within an assembly. In your writing (which, if I understand correctly, would have among many other beneficial purpose to “mitigate the discrepancies” between the so-called “social” and “anti-social” struggles) the real essence of this “new” anarchy is brought back on the tracks of traditional insurrectionalism. I say this because basic concepts that are foundational to this “new” anarchy in your words are distorted if not overturned. Words that would seem an attempt to give an organic, a structure to a phenomenon that by its nature is ethereal, unstructured and that finds its strength precisely in this its intangibility and unpredictability.

In Europe in past years, among more or less informal anarchists, attempts similar to yours were tried. Attempts of more or less successful international assemblies. Attempts that beyond the initial intentions did not lead to anything but books, documents prepared in common and various posters, reducing in fact to the usual scene for the usual known comrades. At this point I must reiterate what are (according to my lonely point of view) the founding concepts at the base of the new informal anarchist practices:

– Overcoming the assembly “instrument”, only the actions speak, only the anarchists who risk their lives by striking hard; communication takes place through the claims.

– Exclusion of any kind of organisation, even of coordinations; the writings that follow the actions in some way invite the other groups to act accordingly; there is no need to know each other because this would give rise to leaders or coordinations.

– Exclusion of pure theorists, who have no say in the matter, I am talking about those comrades who through their “lucidity” and theoretical ability manage (even though they do not want it to happen) to impose themselves in the assemblies.

These, in my opinion, are the founding characteristics of all those myriad actions that have communicated around the world in recent years, often bouncing from one continent to another, giving rise to campaigns of struggle. It does not matter whether the actions are accompanied by an acronym or not, the important thing is the communication that takes place through the claim texts*.

In your analysis you support the opposite of what (in my opinion) transpires clearly and with all evidence from the concrete and real dynamics of the so-called “anarchist, insurrectional and internationalist contemporaneity”. In several places you state that we should not limit ourselves to destructive action because this would not be enough to bring down the whole system, then adumbrate the risk that limiting oneself to destructive action would lead to the birth of “groups of specialists of action”; in short, the usual bogeyman of the vanguard. Arriving then, from logic to logic, at the surprising affirmation that this “new” anarchy should not be limited to those who carry out the actions. All respectable concepts but that distort the true essence of this phenomenon, taking us back to the much more concrete and timely risk of creating specialists in theory (not action) who, giving “power” to the assemblies, impose (although not wanting this to happen) their strategy because they are better at writing and speaking and perhaps because they are charismatic comrades and better known to others. In your paper you speak of “organizational informality” and “permanent insurrectional praxis”, this vision of yours does not seem to me to fully reflect the “contemporaneity” of anarchism of action. At this point, I venture to attempt, in brief, the “genesis” of this new way of understanding insurrectionalism, at least as far as Italy is concerned. Here in Italy, everything started as a criticism of the social insurrectionalism and its assembly dynamics. At the assemblies it was always the usual ones who spoke because they had more experience, because they had clearer ideas. It was a pity that the ideas, being the product of the enlightened few, remained stagnant. The words of those who spoke better, wrote better and perhaps had more charisma carried more weight than those of the others who, intimidated, remained silent. The majority followed suit, sometimes someone tried to intervene, but their words carried little weight. In short, the usual, I fear inevitable, assembly dynamics. Let it be clear that I am not blaming anyone, simply that one enters certain social mechanisms without even realising it, we all fall into them sooner or later. It was a short step from criticising more experienced comrades to experimenting with “new” paths. It started with the questioning of the coordination of the assembly dynamics, and then came the questioning of some “dogmas”. One dogma in particular was that the only valid actions were those with “reproducibility” (the “small” actions). A formula that demonised as “spectacular” and “vanguardist” any action whose violence could go a little further. I allow myself to say that in your writing this “dogma” risks being resurrected when you make the distinction between the right targets to hit, “bases of the system”, and obsolete targets, “symbols of the system”. The words change but the gist remains the same. Who should decide which are the right targets to hit? This simple question is enough to highlight the contradictions of such an approach. In time, the last “taboo” to be broken was that of claims and acronyms, and there was general panic, also because of the repressive consequences that such a practice would have entailed, and indeed did entail. For some years, the majority of the Italian-speaking anarchist insurrectionalist movement ignored these “new” practices. But the increased impact, also in the media, caused by increasingly violent actions made any attitude of snobbery and superiority laughable. Then, with the propagation of the FAI–FRI throughout the world, it became crazy to insist with that attitude. In a critical or hypercritical manner, with due distinctions, all or almost all took note that something new had been born.

Now, I have the impression that the moment of “recovery” has arrived and, once again, coordinations, assemblies, manifestos emerge. I am sure of your good will, but I fear that with these presuppositions, what will be born will only be able to trace (and I say this without any irony) the “old” and glorious social insurrectionalism. In my opinion, it is the methodology you have used that is wrong. It should be the groups and the anarchist individualities, through their actions, to talk about it. Only from their analyses, conveyed through actions, the new anarchist perspective can be strengthened. Only in this way we can make the necessary and indispensable selection that can exclude a priori the “professional ideologists”, those who do not act in the real world and therefore do not have the sharp tools and a concrete and realistic vision to affect reality. This is not an accusation, I am sure that there are no “professional ideologists” among you, it is simply a question of method.

It is the method that makes the difference between the different visions of anarchy. In this kind of context, strategic analyses cannot fall from above. However elaborate and well-written they may be, words must be conveyed by action, otherwise the analysis will inevitably lack realism and concreteness. Having said that, mine is only a point of view. The point of view of an imprisoned comrade who has a limited view of reality.

Precisely because of the speech just made, my opinion is worth what it is worth, very little. Mine is only a contribution, and I hope very much that my criticisms turn out to be constructive.

Alfredo Cospito
April 19, 2021

* It must be noted, however, that claimed actions have a disadvantage over unclaimed actions: they involve a greater risk from the point of view of repression. On the other hand, unclaimed actions also have a drawback: invisibility and dispersion. The message that (from a social point of view) unclaimed actions would like to convey often does not arrive or is greatly obscured or distorted.

PDF: Alfredo Cospito, A Contribution About the “Proposal For a New Anarchist Manifesto”.


Texte de Alfredo Cospito depuis la prison de Ferrara: Une contribution à la « Proposition pour un nouveau manifeste anarchiste »

Une contribution à la « Proposition pour un nouveau manifeste anarchiste »

Je commence par dire que, étant donné que je vis dans une « bulle » (une section de Haute sécurité), ce n’est qu’aujourd’hui, en avril 2021, que j’ai reçu les « Réflexions au sujet de l’actuel substrat anarchiste informel, insurrectionnel et internationaliste. Pour un nouveau manifeste anarchiste », écrites dans le lointain février–avril 2020.

Même si je ne sais pas comment tout cela a évolué, je voudrais quand-même exprimer mon opinion. Apporter ma contribution à propos de ce que je pense être l’essence réelle et concrète de ce qui est défini parfois comme « la nouvelle anarchie », parfois comme « l’internationale noire ». J’aimerais que cet écrit circule le plus possible en dehors des frontières italiennes et j’espère donc que des compas traduiront mes mots dans d’autres langues. Mon intention est simplement de clarifier certains points, j’espère ne crisper personne, ce qui suit ne sont que des points de vue un peu différents… La première chose que j’ai remarqué dans ce texte c’est que la Federazione Anarchica Informale – Fronte Rivoluzionario Internazionale (Fédération Anarchiste Informelle – Front Révolutionnaire International) et la Conspiration des Cellules de Feu ne sont jamais nommées. Cette absence est, à mon avis, assez surprenante et révélatrice, puisque nous parlons, avec elles, d’expériences de lutte armée qui, avec toutes leurs limites, on fait démarrer le phénomène en question. Ces deux expériences nous ont légué un caractère concret qu’on n’avait jamais vu auparavant, un caractère concret qui est le produit d’une vraie « internationale ». Une internationale qui a permis aux compagnons et aux compagnonnes anarchistes de communiquer par les actions, sans aucune organisation ni aucune coordination. Une force qui s’est rendue reconnaissable, se présentant au monde par des acronymes. Des acronymes qui ne cachaient rien d’autre que des anarchistes d’action qui se relationnaient entre eux par les mots qui suivaient leurs actions. Des compagnonnes et des compagnons qui, dans ce domaine spécifique, n’avaient qu’un seul but : la destruction concrète, effective, de l’existant et non pas la reconnaissance et l’auto-représentation au sein d’une assemblée. Dans votre texte (qui, si j’ai bien compris, aurait parmi ses nombreuses finalités aussi celle d’« atténuer les divergences » entre les ainsi-dites luttes «sociales » et « antisociales ») l’essence réelle de cette « nouvelle » anarchie est ramenée à nouveau sur les rails de l’insurrectionnalisme classique. Je le dis parce que des concepts de base, qui sont fondamentaux pour cette « nouvelle » anarchie, sont déformés voire renversés dans votre texte. Il s’agit de mots qui sembleraient tenter de donner une organicité, une structuration, à un phénomène qui est par sa nature impalpable, déstructuré et qui trouve sa force justement dans ce caractère impalpable et imprévisible.

En Europe, par le passé, des tentatives plus ou moins semblables à la vôtre ont déjà été expérimentées, parmi les anarchistes. Des tentatives d’assemblées internationales plus ou moins réussies. Des tentatives qui, au-delà des intentions initiales, n’ont mené à rien d’autre qu’à des livres, des déclarations communes et autres manifestes, se réduisant de fait au petit théâtre habituel où jouent toujours les mêmes compas connu.e.s. Il me faut maintenant réaffirmer les concepts fondamentaux (selon mon point de vue, solitaire) qui sont à la base des nouvelles pratiques informelles :

– Dépassement de l’« outil »-assemblée, ce ne sont que les actions qui parlent, seulement les compagnons et les compagnonnes anarchistes qui risquent leur vie en frappant durement ; la communication passe par les revendications.

– Exclusion de toute forme d’organisation et aussi de toute coordination ; les textes qui suivent les actions invitent en quelque sorte les autres groupes à agir en conséquence, il n’y a pas besoin de se connaître, parce que cela provoquerait l’apparition de chefs ou de coordinations.

– Exclusion des théoriciens purs, qui n’ont pas leur mot à dire ; je parle de ces compas qui, par leur « lucidité » et capacité théorique arrivent (même s’ils ne le veulent pas) à s’imposer dans les assemblées.

Voilà, à mon avis, les caractéristiques fondamentales de toute cette multitude d’actions qui, ces dernières années, ont dialogué à travers le monde, souvent en rebondissant d’un continent à l’autre et en donnant lieu à des campagnes de lutte. Peu importe si les actions sont accompagnées par un acronyme ou pas, l’important est la communication qui a lieu à travers les revendications *.

Dans votre analyse, vous soutenez tout le contraire de ce qui (à mon avis) ressort clairement et évidemment des dynamiques concrètes et réelles de la dite « contemporanéité anarchiste insurrectionnelle et internationaliste ». À différents endroits, vous affirmez qu’il ne faudrait pas se limiter à l’action destructrice, car celle-ci ne suffirait pas à faire en sorte que le système dans son ensemble s’écroule. Vous évoquez ensuite le danger d’aller, si on se limite à l’action destructrice, vers la création de « groupes de spécialistes de l’action », bref l’épouvantail habituel de l’avant-garde. Vous arrivez ainsi, en suivant un fil logique, à l’affirmation surprenante que cette « nouvelle » anarchie ne devrait pas se limiter aux seules personnes qui réalisent des actions. Ce sont là des concepts parfaitement respectables, mais qui dénaturent l’essence réelle de ce phénomène, nous faisant reculer vers le danger bien plus concret et régulier de l’apparition de spécialistes de la théorie (non pas de l’action) qui, en donnant un « pouvoir » décisionnel aux assemblées, imposent (même s’ils ne le veulent pas) leur stratégie, parce qu’ils écrivent et parlent mieux ou peut-être parce qu’il s’agit de compas connu.e.s et charismatiques. Dans votre texte, on parle d’« informalisme organisationnel » et de « pratique insurrectionnelle permanente », mais il me semble que cette vision ne reflète pas complètement la « contemporanéité » de l’anarchisme d’action. Arrivé à ce point, je vais me risquer à tracer dans les grandes lignes la « genèse » de cette nouvelle manière d’entendre l’insurrectionnalisme, du moins en Italie. Ici tout a commencé par une critique de l’insurrectionnalisme social et ses dynamiques d’assemblées. C’était toujours les mêmes personnes qui parlaient lors des assemblées, parce qu’ils avaient plus d’expérience, parce qu’ils avaient les idées plus claires. Dommage que les idées, étant le produit d’un petit nombre d’illuminés, stagnaient. Les mots de ceux qui parlaient mieux, de ceux qui écrivaient mieux et peut-être avaient plus de charisme, pesaient plus lourd que ceux des autres, qui, timorés, se taisaient. La majorité suivait, parfois quelqu’un.e essayait d’intervenir, mais leurs mots avaient une incidence fugace. En fin de compte ce sont là les habituelles dynamiques d’assemblée, inévitables, je le crains. Que ce soit clair, je ne suis en train d’accuser personne, je constate simplement qu’on rentre dans certains mécanismes sociaux sans même s’en apercevoir, tôt ou tard on y tombe tous. De la critique des compas avec plus d’expérience à l’expérimentation de « nouveaux » parcours, il n’y a qu’un pas. On a commencé à mettre en question les coordinations issues des dynamiques d’assemblées, pour arriver ensuite à mettre en question certains « dogmes ». Un dogme parmi les autres : celui qui disait que les seules actions bonnes, valables, étaient les actions « reproductibles » (les « petites » actions). Une petite formule qui diabolisait en tant que « spectaculaire » et « avant-gardiste » toute action qui, par sa violence, pouvait aller plus loin. Je me permets de dire que dans votre texte ce « dogme » risque d’être ressuscité, là où vous faites une distinction entre des objectifs corrects à frapper, les « bases du système », et des objectifs obsolètes, les « symboles du système ». Les mots changent, mais le fond reste le même. Qui est-ce qui devrait décider quels sont les objectifs justes à frapper ? Il suffit de cette simple question pour mettre en évidence les contradictions d’une telle approche. Avec le temps, le dernier « tabou » à être brisé a été celui des revendications et des sigles et à ce moment-là la panique a été générale, aussi à cause des conséquences répressives qu’une pratique de la sorte aurait impliqué et qui a effectivement impliqué. Pendant quelques années, la majorité du mouvement insurrectionnaliste de langue italienne a ignoré ces « nouvelle » pratiques. Mais l’augmentation de l’impact, aussi médiatique, d’actions de plus en plus violentes a rendu ridicule toute attitude de snobisme et de supériorité. Ensuite, avec la diffusion de la FAI–FRI par le monde, le fait de continuer avec cette attitude était devenu quelque chose de dément. De façon critique ou hypercritique, avec les distinctions nécessaires, tout le monde ou presque a pris acte que quelque chose de nouveau était né.

Je redoute que soit arrivé maintenant le moment de la « récupération » et voilà qu’apparaissent à nouveau des coordinations, des assemblées, des manifestes. Je suis certain de votre bonne volonté, mais je crains qu’avec ces présupposés ce qui va naître ne pourra faire rien d’autre que de calquer (et je le dis sans aucune ironie) le « vieux », glorieux, insurrectionnalisme social. Je pense que c’est la méthodologie que vous avez utilisé qui est mauvaise. Ce sont les groupes et les individus anarchistes, par les actions, qui parlent. Seulement à partir de leurs analyses, véhiculées à travers les actions, la nouvelle perspective anarchiste pourra se renforcer. Seulement de cette façon pourra se réaliser cette nécessaire, indispensable, sélection qui exclura à priori les « idéologues de profession », ceux qui, étant donné qu’ils n’agissent pas dans la réalité, n’ont par conséquent pas d’instruments aiguisés, ni une vision concrète et réaliste, pour affecter la réalité. Ceci n’est pas une accusation, je suis sûr qu’il n’y a aucun « idéologue de profession » parmi vous, c’est simplement une question de méthode.

C’est la méthode qui fait la différence entre les différentes visions de l’anarchie. Dans ce type de contexte, les analyses stratégiques ne peuvent pas tomber d’en haut. Même si elles sont soignées et bien écrites, les paroles doivent être véhiculées par l’action, sans quoi l’analyse manquera inévitablement de réalisme et de caractère concret. Ceci dit, ce texte n’est que mon point de vue. Le point de vue d’un compagnon emprisonné qui a une vue limitée de la réalité.

Justement à cause de ce que je viens de dire, mon opinion vaut pour ce qu’elle vaut : peu. Ce n’est qu’une contribution et j’espère vraiment que mes critiques s’avèrent constructives.

Alfredo Cospito
19 avril 2021

* Il faut cependant faire remarquer que les actions revendiquées ont un désavantage par rapport à celles non revendiquées : elles impliquent un plus grand risque d’un point de vue répressif. D’autre part, néanmoins, les actions non revendiquées aussi ont un inconvénient : l’invisibilité et la dispersion. Le message que (dans une optique sociale) les actions non revendiquées voudraient faire passer souvent n’arrive pas ou il est fortement brouillé ou déformé.

[Traduit par attaque.noblogs.org].

PDF: Alfredo Cospito, Une contribution à la « Proposition pour un nouveau manifeste anarchiste ».