Ora o mai più! [it, de]

Qui di seguito pubblichiamo la traduzione di un testo apparso nell’ultimo numero del giornale “Kanaille”. A questo link la versione online: https://kanaille.noblogs.org/. Qui invece il testo originale in tedesco: https://kanaille.noblogs.org/post/2021/04/27/jetzt-oder-nie.

PER GLI IMPRIGIONATI E LE IMPRIGIONATE IN TUTTO IL MONDO
CON GLI OCCHI ILLUMINATI DAL FUOCO ARDENTE CHE BRUCIA E DEVASTA OGNI CARCERE
PER L’AZIONE DIRETTA, QUI E ORA
PER L’ANARCHIA

Malacoda Berlin

Ora o mai più!

Il topo da laboratorio è nato in laboratorio. Ha passato tutta la sua vita lì. Non conosce altro che il laboratorio, il cibo da laboratorio, la ruota, la bottiglia d’acqua, la segatura, l’odore di disinfettante, le stanze senza finestre, la luce artificiale, le grandi mani ricoperte di lattice e gli occhi, incastonati in volti oscuri e mascherati, che lo scrutano attraverso le teche. E conosce il desiderio, il desiderio di essere vicino ai suoi fratelli e alle sue sorelle nelle altre gabbie, il desiderio di una vita diversa.

Questo ratto non ha idea del mondo al di là delle mura che lo circondano. Non sa nulla della terra umida e morbida e dell’erba profumata. Niente degli alberi, dei fiumi, del sole e del cielo stellato. Non sospetta nemmeno l’esistenza del formaggio francese nel frigo della stanza accanto. La cosa più importante è sopravvivere.

Il topo da laboratorio spera che questa sopravvivenza sia (la) più confortevole possibile, senza dolore, che permetta di essere vicino agli altri e comprenda il concepimento della prole. Ma tutto questo dipende dagli esseri umani in laboratorio. Gli umani decidono l’habitat e si prendono cura di tutti gli animali. Distribuiscono il cibo, curano le malattie e decidono chi deve riprodursi. Gli umani governano la vita e la morte.

Il cibo è monotono, ma soddisfa la fame. In ogni gabbia c’è almeno un abbeveratoio. Da alcuni flaconi esce un’acqua che ha un sapore diverso e porta con sé una certa apatia che si deposita sull’isolamento e la miseria della vita da laboratorio. La bevanda filtra nel corpo e allo stesso tempo lo avvolge in un abbraccio stretto che si insinua protettivo di fronte al dolore e alla disperazione. La distribuzione di cibo e dei flaconi d’acqua va di pari passo con la suddivisione del lavoro negli esperimenti, che porta con sé sia benefici che grandi sofferenze. Molto spesso è una combinazione di entrambi.

Molti si sono rassegnati alla vita noiosa nelle loro gabbie. Si sdraiano nella segatura e fissano la ruota che gira o le luci dei vari dispositivi che li circondano. Alcuni possono sbirciare attraverso le finestre di plexiglass i pochi ratti scelti per riprodursi, sembrano felici, per il momento, nelle loro celle leggermente più grandi, insieme alle loro famiglie. Ma in realtà, tutti sanno che la vita qui fa schifo.

Certo, ci sono voci su altri cibi e anche su tutto un altro mondo fuori dalle pareti bianche e dai tubi fluorescenti, fuori dall’acciaio inossidabile, dalla segatura e dalla plastica. Ma solo i fanatici e gli estremisti credono in questo.

Anche se ci fosse un mondo diverso, al di fuori di quello in gabbia, che aspetto avrebbe? Dopo tutto, i topi, questi ratti, dipendono dagli uomini e dalla vita ben ordinata del laboratorio, tutto il resto sarebbe caos, l’anarchia più pura! Senza il laboratorio, prevarrebbero condizioni barbare. Se l’uomo non agisse in modo controllato isolando gli animali, vaccinandoli contro gli ultimi virus, proteggendoli dalle numerose malattie e, in caso di dubbio, eliminando alcuni di loro, l’intero sistema crollerebbe. Tutto questo è per il bene di tutti e il fine ultimo è quello di assicurare la sopravvivenza della popolazione. Inoltre, senza il sistema, la sua sovrastruttura e i sapienti uomini che vi regnano e ne gestiscono il potere, questi poveri ratti resterebbero senza cibo, verrebbero mangiati dai loro stessi simili o uccisi da altri nemici ancora sconosciuti. Farebbero tutti una fine miserabile molto presto, questo è sicuro. Dopo tutto, si sa che l’esistenza in laboratorio è il modo più naturale, progressista e innovativo di vivere. I topi da laboratorio sono la punta di diamante della civiltà e dell’evoluzione. E non c’è, alla fine dei conti, nessuna prova che un’altra vita al di fuori di questa sia mai stata sperimentata o vissuta o che sia anche lontanamente possibile.

La maggior parte si è arresa al proprio destino. È così che va il mondo. A cosa servirebbe combatterlo? Non è realistico. Non ce n’è abbastanza per tutti. Questa è la natura della cose e chi non si impone o non si fa valere, semplicemente, perde.

Per la maggior parte, non c’è motivo di mettere in discussione questo stato di cose. Non c’è ragione di cambiare qualcosa, di volere qualcos’altro, se non per ottenere un vantaggio per sé stessi. Dopo tutto, le cose sembrano andare molto peggio in altri settori. In questo d’altronde si fanno solo “esperimenti sociali”. Se la cavano certamente molto meglio dei topi nei reparti di ricerca genetica o di test cosmetici. Il laboratorio è ordinato e sicuro. Tutto il necessario è assicurato. Quelli che non si conformano vengono eliminati o finiscono nella “Skinner Box”, piccole celle individuali in cui ci si può muovere a malapena. Ma chi ci finisce in qualche modo se lo è meritato…

Rimanere in vita il più a lungo e nel modo più comodo e agiato possibile è l’obiettivo. Per questo, molti sono disposti a fare qualsiasi cosa e a sopportare tutto. Il vincitore è colui che riceve l’acqua potabile narcotica e non deve fare quasi nulla per averla, colui che ha una grande gabbia luminosa, una famiglia e una ruota che gira. Le ruote da corsa sono l’unica grande invenzione. Perché anche in un piccolo spazio il topo può tenersi in forma. Molto meglio che girare in tondo. Perché solo gli animali in forma sono scelti per gli esperimenti. Tuttavia, il ratto deve stare attento, perché se corre troppo sulla ruota, avrà mal di schiena e verrà eliminato, smaltito.

La sera, quando le luci abbaglianti si spengono e la stanza colma di gabbie impilate è immersa nel verde tenue delle luci delle uscite di emergenza e la maggior parte delle persone sono assenti, i topi interagiscono, quelli che non sono troppo stanchi o esausti, conversano attraverso le sbarre. Parlano degli avvenimenti della giornata o delle regole che governano il sistema di assegnazione del cibo e del lavoro. Vogliono migliorare la vita di tutti gli animali in laboratorio. Sviluppano piani su come questo possa avvenire concretamente. Come si possono indurre gli animali anestetizzati e indifferenti a protestare? Con lunghe discussioni e riunioni, sviluppano un’idea su come potrebbe configurarsi e realizzarsi una vita migliore per tutti. Al posto di tante piccole gabbie e celle, si immaginano una enorme gabbia, che non sarà più chiamata “gabbia” ma “parco”, il “Rat Park”. Questo parco se lo immaginano ricoperto di trucioli di faggio profumati, di qualità superiore (i ratti da laboratorio in realtà non hanno idea di cosa sia un faggio… ma scommettono che i trucioli hanno un profumo delizioso). Lo spazio è ampio e comprende belle e confortanti zone di riproduzione e allevamento. Fino a 20 animali possono viverci insieme e muoversi liberamente. Ci sono ruote su cui correre e vari “scenari”, piccole colline e giochi, giostre. È un paradiso e un’utopia progettata per rendere la vita da laboratorio un po’ più sopportabile per tutti. Naturalmente, ci sarebbero ancora esperimenti. Quindi dovrebbero comunque lavorare. Non si può fare nulla senza lavorare. Ma almeno la qualità della vita tra un esperimento e l’altro migliorerà notevolmente. E dietro questa idea, alcuni di questi topi da laboratorio, vorrebbero unire la maggior parte di loro affinché possano, insieme, essere in grado di negoziare con gli umani. Da molto tempo girano a vuoto con questo piano. Ma ci credono ancora. Perché senza questa speranza, nulla avrebbe senso.

Una sera, come sempre intorno alla stessa ora, la persona in servizio vestita di nero entra nella città delle gabbie per l’ultimo giro di ispezioni. Va fino in fondo al magazzino, dove gli animali scartati e dimenticati, tra sacchi di segatura e bottiglie di disinfettante, si muovono nelle loro celle nell’oscurità. Lì si siede a un tavolino sotto la ventola di scarico e si accende una sigaretta. Mentre lo fa, scruta gli animali nelle gabbie di fronte a lui. Proprio lì davanti siede un topo a cui è cresciuto un orecchio umano sulla schiena. Posa la sigaretta nel posacenere e si alza per avvicinarsi alla gabbia e osservare più da vicino quel ratto, con un misto di fascino e disgusto nello sguardo. Poi la radio alla sua cintura suona, un allarme. Ascolta attentamente per un momento, poi corre oltre le celle della sezione anteriore, apre la porta d’emergenza illuminata dal bagliore verde e corre fuori. La porta rimane aperta. Una forte raffica di vento scuote le gabbie. Tutti sono svegli e all’erta. La porta aperta offre una vista sul cielo notturno infinito e sull’erba che brilla al chiaro di luna. Molti ratti incollano il naso alle pareti di plexiglass e annusano in direzione della libertà. Il breve shock è sostituito da una concitata comunicazione. In fondo alla stanza, la sigaretta sta ancora bruciando nel posacenere. Da lì, una sorella imprigionata richiama l’attenzione: ha un modo per liberare se stessa e gli altri, ma deve agire immediatamente. Le obiezioni vengono dagli altri ratti, quelli organizzati. Hanno paura che gli umani li imprigionino o li uccidano tutti se il tentativo fallisce. Molti dei ratti organizzati preferirebbero non correre rischi e attenersi al piano a lungo termine per avanzare le richieste e negoziare. In un certo senso se la passano piuttosto bene, dopo tutto sono vivi e hanno dei privilegi. Pochissimi, e specialmente quelli che non hanno più niente da perdere, sanno che hanno solo una possibilità di libertà ed è ora o mai più!

La sigaretta nel posacenere sul tavolo di fronte alla gabbia è ancora accesa e sotto quel bruciante bagliore le piccole, agili zampe del ratto svitano il bullone che tiene il flacone ben attaccato alla parete di plexigas della cella. In breve, il bullone cede e il flacone si schianta sul tavolo, catapultando la sigaretta fuori dal posacenere e oltre il bordo del tavolo, cade sui sacchi pieni di segatura. Presto cominciano a bruciare.

La mattina seguente, i resti fumanti del Labor-Mondo sono ancora visibili in lontananza. Poco più in là, ai piedi di un vecchio albero nell’erba, si scorge un gruppo di ratti. Seduti, si leccano le bruciature e le ustioni e annusano ancora e ancora, travolti da stupore e meraviglia, l’odore della terra.


Jetzt oder Nie!

Die Laborratte wurde im Labor geboren. Sie hat ihr gesamtes Leben dort verbracht. Sie kennt nichts außer dem Labor, den Laborfraß, das Laufrad, die Trinkflasche, die Sägespäne, den Geruch von Desinfektionsmittel, fensterlose Räume, künstliches Licht, große plastiküberzogene Hände, große Augen, die sie, aus maskierten Gesichtern und über Klemmbretter hinweg, mustern. Und sie kennt die Sehnsucht, die Sehnsucht nach Nähe zu ihren Brüdern und Schwestern in den anderen Käfigen, die Sehnsucht nach einem anderen Leben.

Diese Ratte ahnt nichts von der Welt jenseits der Mauern, die sie umgeben. Sie ahnt nichts von der feuchten, weichen Erde und dem duftenden Gras. Nichts von den Bäumen, den Flüssen, der Sonne und dem Sternenhimmel. Sie ahnt noch nicht einmal etwas von der Existenz des französischen Käses im Kühlschrank im Zimmer nebenan.

Das Wichtigste ist zu überleben. Die Laborratte hofft, dass dieses Überleben möglichst komfortabel, ohne große Schmerzen, mit Nähe zu anderen, einschließlich der Zeugung von Nachkommen, ist. Aber all das hängt von den Menschen im Labor ab. Die Menschen entscheiden über den Lebensraum und die Versorgung aller Tiere im Labor. Sie verteilen das Futter, behandeln Krankheiten und bestimmen darüber wer sich fortpflanzen darf. Menschen herrschen über Leben und Tod.

Das Futter ist eintönig, stillt aber den Hunger. In jedem Käfig gibt es mindestens eine Trinkflasche mit Wasser. Aus manchen Trinkflaschen kommt Wasser, das anders schmeckt und eine gewisse Gleichgültigkeit mit sich bringt, die sich über die Isolation und das Elend des Laborlebens legt. Das Getränk sickert durch den Körper und umschlingt ihn gleichzeitig in fester Umarmung, die sich schützend vor den Schmerz und die Ausweglosigkeit schiebt. Das Verteilen des Futters und der Trinkflaschen geht auch mit dem Verteilen von Arbeit in den Experimenten einher, die sowohl zu Vorteilen, als auch zu großem Leid führen kann. Meistens ist es eine Kombination aus beiden.

Viele haben vor dem öden Leben in ihren Käfigen resigniert. Sie liegen in den Sägespänen und starren auf das sich drehende Laufrad oder die Lämpchen der diversen Geräte, die sie umgeben. Manche können durch die Plexiglasscheiben hinweg die wenigen Ratten beobachten, die zur Fortpflanzung ausgewählt wurden, wie sie in etwas größeren Käfigen, zusammen mit ihren Familien, für den Moment, glücklich scheinen. Aber eigentlich wissen alle, dass das Leben hier scheiße ist.

Natürlich gibt es Gerüchte über anderes Futter und sogar über eine ganz andere Welt außerhalb der weißen Wände und Leuchtstoffröhren, außerhalb von Edelstahl, Sägespäne und Plastik. Aber daran glauben nur Fanatiker*innen und Extremist*innen.

Selbst wenn es eine Welt außerhalb gäbe, wie sollte die aussehen? Schließlich sind sie auf die Menschen und das geordnete Leben im Labor angewiesen, alles andere wäre doch Chaos, die reinste Anarchie! Ohne das Labor würden barbarische Zustände herrschen. Wenn die Menschen nicht kontrollierend eingreifen, um die Tiere zu isolieren, gegen die neusten Viren zu impfen, gegen die vielen Laborkrankheiten zu beschützen und im Zweifel eben auch mal einige zu entsorgen, bricht das ganze System zusammen. Das ist ja nur zum Besten aller und sichert das Fortbestehen der Population. Außerdem würde ohne das Laborsystem und die dort herrschenden Menschen das Futter zur Neige gehen, sie würden von ihren Artgenossen aufgefressen, oder von anderen, bisher ungekannten Feinden getötet werden. Alle würden sehr bald ein elendes Ende finden, das ist sicher. Denn alle wissen doch, dass das Leben im Labor die natürliche und fortschrittliche Lebensweise ist. Laborratten sind die Speerspitze der Zivilisation und Evolution. Und es gibt schließlich keine Beweise dafür, dass es jemals ein anderes Leben geben hätte oder möglich wäre.

Die meisten haben sich ihrem Schicksal ergeben. So ist die Welt eben. Was sollte es bringen, sich dagegen zu wehren? Das ist unrealistisch. Es ist nicht genug für alle da. Das liegt in der Natur der Sache und wer sich nicht durchsetzt hat eben verloren.

Für die meisten gibt es keinen Grund diese Einstellung zu hinterfragen. Es gibt wenig Gründe etwas verändern zu wollen, etwas anderes zu wollen, als sich selbst einen Vorteil zu verschaffen. Schließlich sieht es in anderen Abteilungen viel schlimmer aus. In dieser machen sie immerhin nur „soziale Experimente“. Es geht ihnen viel besser als den Ratten in den Abteilungen für Genforschung oder Kosmetiktests. Im Labor herrscht Ordnung und Sicherheit. Für alles benötigte ist gesorgt. Wer sich nicht anpasst wird entsorgt oder landet in der „Skinner Box“, kleine Einzelzellen, in der man sich kaum bewegen kann. Aber wer dort landet hat es schon irgendwie verdient.

So lange und so bequem wie möglich am Leben zu bleiben ist das Ziel. Dafür sind viele bereit alles zu tun und alles zu ertragen. Erfolgreich ist, wer das betäubende Trinkwasser erhält und dafür kaum etwas tun muss, wer einen großen hellen Käfig, eine Familie und ein Laufrad hat. Laufräder sind die eine tolle Erfindung. Denn auch auf kleinstem Raum kann sich Ratte fit halten. Viel besser als im Kreis zu laufen. Denn nur fitte Tiere werden für Experimente ausgewählt. Wenn sie allerdings zu viel im Laufrad läuft, bekommt sie davon Rückenschmerzen und wird entsorgt.

Wenn abends die grellen Deckenlichter ausgehen, der Raum mit den aufgestapelten Käfigtürmen in das sanfte Grün der Notausgangleuchten getaucht ist und die meisten Menschen abwesend sind, unterhalten sich die, die den Austausch suchen und nicht zu dicht oder erschöpft sind, über die Käfigwände hinweg. Sie unterhalten sich über das Tagesgeschehen oder darüber, nach welchen Regeln das System der Futter- und Arbeitsvergabe funktioniert. Sie wollen das Leben aller Tiere im Labor verbessern. Sie entwickeln Pläne, wie das konkret aussehen kann. Wie können auch die betäubten und uninteressierten Tiere zum Protest bewegt werden? In langen Diskussionen und Plena haben sie eine Vorstellung davon entwickelt, wie ein besseres Leben für alle aussehen könnte. Statt der vielen kleinen Käfige und Zellen wollen sie einen Riesenkäfig, den sie nicht mehr „Käfig“ sondern „Park“ nennen, den „Rat Park“. Dieser ist mit den hochwertigeren duftenden Buchenspähnen ausgelegt (die Laborratten haben zwar keinen Plan was eine Buche ist, aber die Späne duften herrlich). Es gibt viel Platz und schöne Brutstätten. Bis zu 20 Tiere können gemeinsam dort leben und sich frei bewegen. Es gibt Laufräder und abwechslungsreiche „Landschaft“, kleine Hügel und Spielzeug. Das ist das Paradies und eine Utopie, die das Laborleben für alle ein bisschen aushaltbarer machen soll. Natürlich gäbe es auch weiterhin Experimente. Die Ratten müssten also auch weiterhin arbeiten. Ohne Arbeit geht es eben nicht. Zumindest würde es ihnen in der Zeit zwischen den Experimenten besser gehen. Und hinter dieser Idee wollen die Aktivist*innen den Großteil der Ratten vereinen, um mit den Menschen in Verhandlung treten zu können. Schon lange drehen sie sich mit diesem Plan im Kreis. Aber sie glauben trotzdem fest daran. Denn ohne diese Hoffnung hätten sie gar nichts mehr.

An einem Abend, wie immer um die selbe Zeit, kommt der schwarz gekleidete Mensch zur letzten Kontrollrunde in die Käfigstadt. Er geht, ganz nach hinten durch in die Abstellkammer, wo sich die ausgemusterten und vergessenen Tiere, zwischen Sägemehlsäcken und Desinfektionsflaschen, in der Dunkelheit in ihren Käfigen bewegen. Dort setzt er sich an einen kleinen Tisch unter dem Abzugsventilator und zündet sich eine Zigarette an. Dabei mustert er die Tiere in den Käfigen vor sich. Vor ihm sitzt eine Ratte, der ein menschliches Ohr auf dem Rücken gewachsen ist. Er legt seine Zigarette im Aschenbecher ab und steht auf um näher an den Käfig heran zu gehen und sie mit einer Mischung aus Faszination und Ekel zu mustern. Dann schlägt das Funkgerät an seinem Gürtel Alarm. Kurz hört er aufmerksam zu, dann rennt er los, an den Käfigen des vorderen Teils vorbei, stößt die Tür unter der grünen Lichtquelle auf und rennt hinaus. Die Tür bleibt offen stehen. Ein kräftiger Windstoß fegt über die Käfige hinweg. Alle sind wach und in Alarmbereitschaft. Die offene Tür gibt den Blick frei auf den unendlichen Nachthimmel und das Gras, das im Mondschein schimmert. Viele Ratten kleben mit den Nasen an den Plexiglaswänden und schnuppern Richtung Freiheit. Der kurze Schock wird durch aufgeregte Kommunikation abgelöst. Im hinteren Teil des Raums brennt noch die Zigarette im Aschenbecher. Von dort, ruft die Schwester mit dem Ohr, sie habe eine Möglichkeit sich und andere zu befreien aber sie müsste sofort handeln. Von den anderen Ratten kommen Einwände. Sie haben Angst, dass die Menschen alle Einknasten oder Töten, wenn der Versuch scheitert. Viele der organisierten Ratten würden lieber kein Risiko eingehen und sich an den langfristigen Plan für die Forderungen halten. Irgendwie haben sie es ja auch ganz gut, immerhin sind sie am Leben und haben ein paar Privilegien. Nur die wenigsten und vor allem die, die nichts mehr zu verlieren haben wissen, dass sie nur eine Chance auf Freiheit haben und die ist jetzt oder nie!

Im Schein der brennenden Zigarette, die im Aschenbecher auf einem Tisch vor ihrem Käfig steht, schrauben die kleinen, flinken Rattenpfoten an der Vorrichtung der an der Käfigwand befestigten, gefüllten Trinkflasche. Kurz darauf kracht die Flasche auf den Tisch und katapultiert die Zigarette aus dem Aschenbecher. Der Glimmsteingel rollt über die Tischkante und fällt auf die mit Sägemehl gefüllten Säcke. Bald fangen sie an zu brennen.

Am nächsten Morgen sind die rauchenden Überreste der Laborwelt in der Ferne noch erkennbar. Unweit, am Fuße eines alten Baums im Gras, sitzt eine Gruppe von Ratten, die sich gegenseitig die Brandwunden lecken und immer wieder staunend in die Gegend schnuppern.

[Übernommen aus kanaille.noblogs.org].