L’uomo della necessità
La relazione conclusiva di Carlo Bonomi all’assemblea nazionale della Confindustria del 23 settembre è uno di quei documenti che dovrebbero essere studiati per intero nei manuali di filosofia politica. Ci sono tre tipi di animali politici nella fauna italiana, scrive il Filosofo: l’Uomo della Provvidenza, l’Uomo della Possibilità, infine c’è l’Uomo della Necessità.
L’Uomo della Provvidenza, come è noto, fu Benito Mussolini. In che senso incarnava la figura della Provvidenza? Nel senso che, alla società del periodo, la rivoluzione proletaria sembrava davvero alle porte, serviva un intervento miracoloso, anti-storico, per salvare la borghesia e schiacciare le rivendicazioni operaie. Bonomi finge di non ricordare il sostegno che la sua Confindustria diede all’ascesa del fascismo, schernendosi dietro all’affermazione anti-fascista: «mai più uomini della provvidenza»!
Gli «uomini del possibile» sono quelli che nascono da una società democratica che liberamente sceglie una o l’altra opzione politica. Dove è ancora possibile la scelta. Ma ai padroni non piacciono nemmeno loro, in quanto, spiega il Filosofo, hanno «un occhio sempre mirato al consenso di breve periodo», cercano di «evitare scelte coraggiose», temono eccessivamente «delusione e scontento». Sono «campioni mondiali di un’unica specialità»: «Il calcio alla lattina, il rinvio eterno al futuro di qualunque soluzione efficace».
Infine c’è Lui, l’Uomo della Necessità. «Ecco, Mario Draghi è uno di questi uomini, uomini della necessità». E parte la serenata. Il padrone si mette a recitare la parte del cortigiano, ricorda la lunga disonorata carriera del nostro Presidente del Consiglio, dalla Banca d’Italia al Financial Stability Board, fino ai nove anni al timone della Banca Centrale Europea. Lunga vita all’Uomo della Necessità:
«Ma la mano decisa con cui il Presidente Draghi e il suo Governo hanno mutato energicamente su finalità e governance le prime 80 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il modo in cui il Governo sta scrivendo le riforme fondamentali, pilastri del Piano, introducendo obiettivi prima inesistenti, come produttività e concorrenza, hanno rapidamente ed efficacemente risposto alle aspettative delle imprese.
La mano ferma con cui è stata ridefinita e accelerata la campagna vaccinale ci ha, in pochi mesi, condotto a una percentuale di vaccinati sulla popolazione che nei primi mesi dell’anno appariva fuori portata. Anche per merito dell’opera instancabile del Generale Figliuolo, cui vanno i nostri più calorosi ringraziamenti.
La stessa mano ferma con cui il Governo ha assunto una settimana fa, la decisione dell’obbligo di introdurre il green pass per tutto il lavoro pubblico e privato.
Una decisione che noi, condividiamo integralmente».
Non sono sarcastico, nella filosofia politica di Bonomi possiamo apprezzare quella che è, senza neanche particolari camuffamenti, una vera e propria triade hegeliana: l’Uomo della Provvidenza, rappresentava il momento della Singolarità, l’essere-in-sé dello Stato contemporaneo, lo Stato etico di cui parlava Giovanni Gentile; gli uomini del possibile rappresentano la figura della Particolarità, con le sue accidentalità e contraddizioni, con la sua libertà meramente intellettualistica, la sua cattiva infinità «che ci ha dato, in media, un premier all’anno»; l’Uomo della Necessità incarna allora, la figura hegeliana dell’Universalità, la vera sintesi tra la mano ferma del dictator e il libero mercato della società liberale.
La relazione di Bonomi andrebbe letta per intero e consiglio a tutti di studiarsela. È consultabile a questo link e sarebbe bene salvarla a futura memoria: https://www.confindustria.it/wcm/connect/5590fcbe-579d-4654-ad20-b5d647d93a80/Relazione+Presidente+Assemblea+2021.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=ROOTWORKSPACE-5590fcbe-579d-4654-ad20-b5d647d93a80-nMiWqKk.
La sensazione è di avere tra le mani un classico di Locke o di Smith, che rimarrà. Attraversa temi che diversi compagni si pongono da qualche tempo, sembra una risposta a «Capitalismo ed elettrificazione», come se Bonomi avesse voluto mandare un contributo per il dibattito di Spoleto dell’11 settembre.
Il «compagno» ci propone una vasta mole di questioni che non possono essere esaurite in questa sede e sulle quali occorrerà tornare: dalla crisi dei chip ai problemi internazionali della logistica, dai container bloccati in Cina allo spostamento dell’asse del mondo ad Oriente, dal monopolio cinese sulle terre rare (i materiali con cui vengono fatti i dispositivi elettronici) alla ritirata interna della stessa Cina che lascia il pianeta privo della sua «fabbrica del mondo», dalla conversione digitale a quella ecologica.
Per ora mi soffermerò solo sulla questione centrale del dibattito di Spoleto. Con la cosiddetta fine delle ideologie, lo scontro fra visioni del mondo l’una contro l’altra armate e contrapposte, il confronto tra ipotesi diverse e ideali diversi, diventa irrazionale e improduttivo. Gli uomini della possibilità, almeno nella loro retorica, incarnavano una dinamica nella quale la storia presentava delle alternative, delle possibilità. La ragion tecnica ha sussunto questa dinamica (che comunque, giova ricordarlo, era in ogni caso menzognera) all’interno di una sintesi più ampia. La nuova ideologia unica, che camuffa se stessa e la sua natura ideologica, afferma che le scelte non sono più ambito di orizzonti etici e partigiani. Lo scontro politico viene ricondotto al problem solving, la natura impersonale dell’algoritmo decide come vanno affrontate le questioni.
La ricetta per la crisi argentina, per la crisi greca, per la crisi del Covid, per la crisi ecologica e per la crisi dei chip è una e una sola. Non ci sono alternative, come già aveva proclamato Margaret Thatcher. È in questo senso che non ci servono – dicono i padroni – uomini della provvidenza, che incarnino lo Stato etico, né uomini della possibilità: nessun altra strada è possibile, l’algoritmo ha deciso che le crisi del capitale si risolvono con la macelleria sociale. Serve semplicemente un macellaio «con la mano ferma», per dirla con le parole del presidente degli industriali. Serve l’Uomo della Necessità, che faccia quello che è necessario fare. «Le cose giuste vanno fatte», chiosa Bonomi, «anche quando sono impopolari».
Anche perché il quadro generale non è molto confortante. E qui il Nostro non si concede nessuna facile consolazione. Invita a non festeggiare la crescita economica, perché questa rappresenta un rimbalzo nemmeno sufficiente a compensare le perdite del 2020. E dice una cosa molto importante a tal proposito. In questa crescita, ci ricorda, «l’industria è il vero traino del paese». E aggiunge:
«Passerà molto tempo, purtroppo, prima che la domanda interna di consumi possa tornare a essere un driver potente di crescita: dopo tanti anni di perdita del reddito pro-capite che a parità di potere d’acquisto è tornato nel 2020 ai livelli di metà anni Novanta, di estensione della povertà assoluta, di aggravamento delle disuguaglianze di genere, tra generazioni, territoriali e sociali».
Non strabuzzate gli occhi. Bonomi non è diventato affatto un compagno. Anche perché sono stati lui e i suoi compari ad averci impoverito, ad aver aumentato le disuguaglianze di genere, tra generazioni, territoriali e sociali. Il Filosofo sta facendo un discorso molto più raffinato, che bisogna cogliere molto bene. Sta dicendo che la società dei consumatori al momento non dà segnali di ripresa. La crescita economica non si otterrà, almeno per ora, grazie alla domanda interna, al consumismo, alla gente che va in discoteca, a cena fuori, in vacanza, ecc. La gente diventerà sempre più povera, è l’industria che sta crescendo. Vale a dire Bonomi riconosce che c’è un processo di proletarizzazione profonda e che piuttosto che continuare a fare welfare, bisogna sostenere gli industriali. Se la gente ha fame, che venga a lavorare nelle nostre fabbriche insomma!
Infatti tutte le ricette che detta a Draghi vanno nella stessa direzione: far crescere ancora di più gli industriali ed aumentare ancora di più le disuguaglianze. Siamo in una fase di sacrifici insomma, «come è stato nel dopoguerra» per fare un esempio, come «dopo gli anni di piombo» per dirne un altro. Chissà che qui invece il Filosofo non pecchi di ottimismo. E se fossimo prima della guerra, prima degli anni di piombo?
Giacché non siamo liberi di determinare alcunché e tutto è sovradeterminato dalla Necessità, le cose da fare sono ben note: meno tasse alle imprese, più sfruttamento del lavoro, più spazio alle agenzie interinali, mandare la gente in pensione più tardi. La disoccupazione se la devono pagare da soli i pezzenti che vengono a lavorare per noi, va dunque sostituita con un «nuovo ammortizzatore universale di tipo assicurativo». Perché «noi dell’industria non possiamo accettare di restare a fare da bancomat» per i poveracci che licenziamo. Insomma il blocco dei licenziamenti «è stata una sciocchezza», che non ci pensiate più a farne altre di questo tenore. Abbiamo già fatto cadere un governo per questo, no? E minaccia: «Confindustria si opporrà a tutti coloro che vorranno intralciare il processo di riforme».
Nel suo prezioso contributo il «compagno» spiega anche perché non ha alcun senso l’ipotesi complottista. A chi afferma dietrologicamente che lo scontro sociale farebbe piacere a qualche misteriosa forza oscura, il «compagno» risponde che quella che cercano gli industriali è solo la «pace sociale». In questo senso offre ai sindacati di fare un accordo, il Patto per l’Italia, per gestire questa macelleria sociale in maniera più possibilmente ordinata, che le bestie da scannare insomma non si agitino troppo. «Non serve a niente l’antagonismo», ricorda il Megadirettoregalattico, «non servono a niente le contrapposizioni». Quello che serve è la «coesione sociale», ognuno nel suo ruolo naturalmente: gli inferiori e i superiori.
In conclusione, la filosofia dell’Uomo della Necessità è una filosofia nella quale la libera scelta è abolita nel nome supremo delle decisioni economiche ineluttabili. Al cattolico libero arbitrio il Filosofo sembra prediligere la luterana teoria della predestinazione: siamo predestinati al futuro che Draghi e Bonomi stanno preparando per noi. Agitarsi non serve a niente, non possiamo farci niente. Lo stesso Draghi non potrebbe fare altrimenti, non è un uomo, ma semplicemente un agente del Zeitgeist.
Ma le cose stanno davvero così? Sarò un inguaribile ottimista, ma sento che dopo tanto, troppo tempo qualcosa sta cambiando. La filosofia dell’Uomo della Necessità rappresenta infatti anche una conferma, un secolo e mezzo dopo, della profezia di Bakunin. Il nostro compagno aveva preconizzato l’ipotesi che la concentrazione delle conoscenze scientifiche in poche mani di esperti avrebbe dato vita ad una nuova casta. Un po’ come gli scriba dell’antico Egitto, gli scienziati oggi sono i soli depositari del sapere con cui viene governato il mondo, un sapere che mettono a disposizione dei nuovi faraoni del capitalismo transnazionale e dal quale siamo tutti esclusi. Un sapere che gli stessi scienziati non possiedono per intero, ma che è frazionato in competenze specifiche e complesse. (Proprio perché hanno competenze frazionate gli scienziati non possono diventare una classe dominante, ma sono una casta di scriba a servizio dei dominanti; precisazione che andrebbe bene agitata contro una lunga sequela di confusioni).
In Dio e lo Stato Bakunin riallacciava dunque la fondazione dell’autorità politica non solo ad una emergenza positivista dal dominio di classe, di cui lo Stato è garante, ma anche a una produzione metafisica, alla fondazione ideologica dello Stato intorno al proprio Dio. In questo senso, il futuro Stato tecnocratico avrebbe avuto la scienza come propria religione civile e negli scienziati i propri preti. In Stato e Anarchia Bakunin si spinge oltre e, nelle stesse pagine in cui polemizza con Marx, indica proprio nella distopia di uno Stato socialista autoritario la possibilità della realizzazione di questo dominio tecnico: un dominio che avrebbe costituito intorno ai burocrati di partito, unici depositari della conoscenza dei veri interessi del popolo, la nuova casta dominante. Se pensiamo alla filosofia di Bonomi dell’Uomo della Necessità, se pensiamo alla Cina come avamposto mondiale della nuova ipotesi di dittatura tecnologica… beh, sembra che entrambe le ipotesi di Bakunin si siano verificate. Roba da far tremare i polsi.
Allora perché essere ottimisti? Perché contro questa svolta si sta sollevando in tutto il pianeta una resistenza impressionante, soprattutto perché essa è estremamente spontanea. Una delle chiavi di risposta sul perché la sinistra sia oggi tanto afona si trova proprio intorno al fatto di non aver potuto capire, per difetti costitutivi, che l’odio verso la scienza contiene un germe di odio di classe. In questa fase storica, numerosi sfruttati individuano in maniera ancora inconsapevole nella rivoluzione tecnologica un qualcosa che seriamente li spaventa. Non essendone consci, si aggrappano spesso a ipotesi complottiste e sono fauna da pesca per i reazionari. Ma dietro a quella intuizione c’è un sentimento autentico: la tecnica sta ridisegnando il pianeta affinché l’ordine dei padroni diventi irrovesciabile.
Nell’ultimo mese di settembre sono accadute cose impressionanti. La disastrosa fuga degli occupanti americani ed europei, e dei collaborazionisti locali, dall’Afghanistan non ci parla anche del fatto che la modernità tecnica può essere sconfitta? Restringendo il campo al contingente, le piazze italiane contro il green pass hanno avuto una significativa svolta con episodi come l’assedio al quotidiano di destra «Libero» e la contestazione a Giorgia Meloni a Milano, caricata dalla polizia, il tutto iniziato con la campagna aggressiva di «infangamento» – in realtà erano già belli che infangati – nei canali telegram dei fascisti di Forza Nuova (le foto che inquadrano Castellino allo stadio, quindi con il green pass, sono apparse proprio nelle chat dei cosiddetti no vax).
Insomma sembra che la Tigre populista si sia sbranata il domatore fascista, sia scappata dal circo e si aggiri affamata per la città. Non sappiamo che colore abbia la Tigre, in che direzione vada e chi sarà la prossima vittima. Io non invito in alcun modo a fare fronte popolare con queste forze. Io dico semmai, rompiamolo il fronte. A volte basta così poco: una vetrina rotta differenzia immediatamente le posizioni dei commercianti da quelle di chi, affamato, ne approfitta per rubarsi qualcosa.
Insomma, io non credo che la strada della Necessità tecnica al servizio del capitalismo sia davvero tracciata e non si possa più fare niente. Sarebbe bellissimo se l’Uomo della Necessità dovesse rompersi il muso, contro la muraglia che sapranno opporgli, le donne e gli uomini della Libertà.
Emmeffe
[Pubblicato su malacoda.noblogs.org, 03.10.2021].