Su una sentenza e qualcosa d’altro. Un testo di Marco dal carcere di Alessandria
Non nascondo una certa monomania. Ho spesso avuto a che fare con la repressione. L’ho subita, affrontata, malamente provando a capirci qualcosa. Ne ho scritto per anni sulle riviste, non fosse altro perché riguarda personalmente me ed altri compagni. Per ironia della sorte mi ritrovo da qualche anno a far lo stesso, ma in qualità di prigioniero e assieme ad altri nella stessa condizione, sull’indagine che ha portato all’arresto mio e di vari altri compagni ed alla condanna di cinque di noi. Farei volentieri a meno di un simile protagonismo, ma ci tengo a tenere informati tutti i compagni. Ci tengo perché un processo è una resa dei conti di varie esperienze sulle quali ogni tanto è bene tornare a discutere per non lasciarle cadere al livello di un nozionismo futile.
Nel processo cosiddetto “Scripta Manent” è confluito di tutto. In un anno e mezzo di udienze – per non parlare della quantità di atti depositati – sono state trattate ovviamente le biografie personali – degli imputati ma non solo – ci sono state digressioni storico-sbirresche sull’anarchia, si è discusso dei precedenti giudizi contro gli anarchici, delle pratiche armate – passate e presenti – di esperienze editoriali, di piazza… «Un intreccio, talvolta inestricabile», così esordisce il giudice nella premessa delle motivazioni di sentenza. È già una buona notizia sapere che l’anarchia risulti incomprensibile a donne e uomini di legge. Ma vediamo cosa scrivono a conclusione del primo grado del processo. [Tutto ciò che si trova tra virgolette («») è tratto dalle motivazioni della sentenza].
Innanzitutto, la FAI [Federazione Anarchica Informale]. Per descriverla in sentenza si ricorre all’insiemistica. C’è un insieme più piccolo che risponde ai canoni di un’associazione sovversiva-terroristica vera e propria, dotata di struttura stabile, durevole nel tempo, che è «sovrastante rispetto alle persone e ai gruppi che ne fanno parte». Questo è «la FAI-associazione». C’è poi un insieme più grande e che contiene il primo. L’insieme grande è come la FAI-associazione vuol presentarsi al pubblico, ovvero come strumento esistente solo nel momento dell’azione, capace di comunicare tramite testi di rivendicazione e senza conoscenza diretta. Ha quindi quelle caratteristiche che è possibile ritrovare sui vari comunicati a firma FAI, dalla sua nascita a tutt’oggi, così come nelle dichiarazioni e nel dibattito attorno ad essa fatti dai compagni. Al suo interno ci sarebbero, oltre alla FAI-associazione, anche le varie cellule FAI «autorizzate dai creatori della sigla ad utilizzarla, ma che non fanno parte della struttura FAI». Quest’insieme è quello che il giudice chiama «FAI-metodo», ritenendolo una maschera utilizzata dall’associazione al solo scopo di proteggersi dalla repressione. Questo perché la FAI-metodo non risponde, al contrario della FAI-associazione, ai canoni dell’articolo 270 bis del codice generale. Con questa maschera l’associazione si sarebbe fatta beffe di sbirri e compagni creduloni, un po’ per pararsi il culo, un po’ per servirsi dell’azione di «lupi solitari» inconsapevoli che non fa mai male.
Questa visione dell’anarchia, a metà strada tra un settarismo alla Babeuf e la vigliaccheria – visione mai emersa nel corso del dibattimento – si presta ad essere una scappatoia giudiziaria per evitare al giudice di doversi confrontare con tutti i precedenti giudizi assolutori riguardanti la FAI in ordine al reato di 270 bis. Non vengono considerati poiché in tutti quei giudizi si sarebbe giudicata la FAI-metodo.
Un ulteriore insieme, comprensivo dei due appena descritti nonché di altri gruppi FAI presenti al di fuori dello Stato italiano, è quello denominato FAI-FRI, a sua volta ricompreso nell’Internazionale Nera.
Per dare una base minima alla teoria degli insiemi, l’assioma a cui si rifà la sentenza è la giurisprudenza più recente in tempi di terrorismo islamico, di cui è lo stesso giudice uno dei più ferventi produttori, almeno in provincia di Torino, essendo spesso chiamato a decidere della sorte di qualche apologeta via Facebook. Da qui il riferimento ai lupi solitari, al «terrorismo individuali tipico della matrice islamista, ma rinvenibile anche in quella anarchica, improntato ad un modello orizzontale». Il parallelo prosegue riconoscendo tanto all’ISIS quanto alla FAI un orizzonte di lotta così vasto da trarre giovamento da «qualsiasi atto di violenza e terrorismo» e da ottenere contributi anche da sconosciuti.
Per alcuni condannati, già sottoposti in passato a processo per 270 bis relativamente alla FAI, viene riconosciuta l’esclusione di un secondo giudizio per il periodo già preso in esame nelle precedenti inchieste. Così l’associazione risulta a singhiozzo, operante solo per determinati segmenti temporali. La gambizzazione di Adinolfi [Genova, 7 maggio 2012, rivendicata dal Nucleo Olga della FAI-FRI] rientra così in un periodo di inoperatività di Alfredo e di operatività di Nicola. «Un intreccio inestricabile», appunto, da cui il giudice sembra uscire più confuso di quanto non apparisse già nella sua premessa.
I periodi di inoperatività sono quindi coperti da precedenti giudiziari assolutori, eppure il giudice torinese arriva in larga parte a condannare proprio rivalutando elementi già ritenuti ininfluenti in quegli stessi giudizi. Ritiene possibile farlo solo ora perché «esclusivamente gli attenti analisti della digos di Torino» avrebbero finalmente permesso di leggere in maniera unitaria il tutto.
Grande risalto viene dato ad uno scritto dei tempi del processo Marini a firma di vari compagni, tra cui alcuni degli attuali imputati. Scritto in cui il giudice intravede il pensiero FAI in germe. Paradossalmente, dunque, a suo modo di vedere negli anni ’90 alcuni degli odierni condannati avrebbero pubblicamente espresso in un testo firmato con nomi e cognomi l’esigenza di dotarsi di un’organizzazione armata, mentre dal 2003 in poi, in testi anonimi diffusi attraverso la FAI, eviteranno di sbottonarsi troppo per timore di subirne le conseguenze.
Questo testo, assieme alla «visione complessiva» (ironicamente personificata dallo sbirro, tuttofare nell’inchiesta, di nome Quattrocchi) della digos torinese, permetterà di trasformare, come dicevo, in «indizi gravi» vecchi elementi già vagliati e scartati in altre indagini ma che portano ora, tra le varie cose, a riconoscere Alfredo come promotore di uno dei gruppi fondatori della FAI, la Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare). Nello specifico ciò avviene ripescando una Perizia del DNA già scartata da un altro giudice. Da qui, a cascata, col medesimo procedimento e ritenendo «contatti qualificati» le relazioni tra compagni, vengono dedotte le restanti condanne in merito all’associazione. Cinque in tutto.
Stando alla sentenza, questo nucleo di cinque persone avrebbe mantenuto col resto del mondo relazioni su un altro livello, più subdolo, quello in cui la FAI si presenta per ciò che non è, camuffandosi e facendosi scudo di altri compagni ignari, così nelle redazioni delle riviste come nell’ampio mondo di azioni rientranti nella FAI-metodo.
A proposito di riviste e blog, l’istigazione a delinquere non viene riconosciuta perché per il giudice è stata posta in essere attività di propaganda sovversiva, reato ormai abrogato.
Per quanto riguarda il Fronte Rivoluzionario Internazionale «mancano elementi dimostrativi dell’esistenza d’un organismo plurisoggettivo in grado di avere una volontà autonoma rispetto a quella degli individui o delle singole associazioni nazionali». Si riconosce che la comunicazione tra gruppi sia avvenuta solamente tramite l’azione e senza conoscenza reciproca, escludendo per il FRI la rispondenza ai canoni del 270 bis c. p..
Ad Alfredo viene riconosciuta l’«Operazione parchi puliti» della Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare) contro quelli che all’epoca erano denominati CPT (attentato alla sede dei RIS di Parma, più pacco bomba a Cofferati), sebbene venga assolto per il reato di «attentato terroristico» – ma condannato per «fabbricazione, detenzione e porto in luogo pubblico di un ordigno esplosivo» – nel caso di Parma perché la bomba trovata inesplosa aveva l’interruttore posizionato su «OFF». Gli vengono riconosciuti anche le tre fasi della «Operazione FAI DA TE», sempre contro i CPT, della RAT [Rivolta Anonima e Tremenda] (attentato alla Scuola Carabinieri di Fossano, plichi esplosivi alla Coema, a Chiamparino e Fossati, tre ordigni esplosivi al quartiere Crocetta di Torino). E’ condannato come promotore dell’associazione per i segmenti temporali dal 2003 all’agosto 2007 e dal 23 ottobre 2013 ad oggi. Viene assolto per i plichi esplosivi contro i CPT della Narodnaja Volja. Venti anni di carcere.
Anna è condannata a 17 anni. A differenza di Alfredo viene assolta anche per l’«Operazione parchi puliti». Inoltre, per entrambi cambia la qualificazione della strage per gli attentati di Fossano e della Crocetta. Da strage politica passa a strage comune. Questo perché, si legge in sentenza, «un soggetto, anche se avente la qualifica di pubblico ufficiale, non può rappresentare la personalità dello Stato e un attacco al singolo non può automaticamente trascendere in un attacco allo Stato».
Nicola è condannato a 9 anni come promotore dell’associazione per l’intero arco temporale, dal 2003 ad oggi.
Io e Sandro veniamo condannati a 5 anni come partecipi. Sandro per l’intero periodo, io dal 18 maggio 2010 ad oggi.
Per la bomba al tribunale di Civitavecchia del Comitato Pirotecnico per un anno straordinario [12 gennaio 2016], vengono assolti Francesca e Alessandro.
Assolti da tutti i capi d’imputazione 18 compagni e compagne.
Per quanto riguarda la consulenza portata a processo dall’accusa non viene dato alcun valore a quella linguistica che per assurdo è proprio quella ad aver ispirato il nome dell’inchiesta. Da quella grafologica se ne ricava l’impossibilità di riconoscere l’autore d’uno scritto normografato, mentre le «media probabilità» di individuare quella di uno manoscritto. La perizia DNA dell’accusa per l’attentato di Parma, come detto, viene accolta.
Finito il primo grado Sparagna redige il suo ricorso in appello contro la sentenza facendosi andare bene la struttura associativa delineata dal giudice, sebbene stravolga completamente quella da lui impostata in ipotesi d’accusa. Nel farlo passa dal contegno degno d’uno zerbino e riverente verso la corte mantenuto nel corso del dibattimento a quello stizzito d’un preadolescente bullizzato a cui han sottratto il giocattolino. Nel suo isterismo chiede di ascoltare in secondo grado qualche altro testimone in aula, oltre che di acquisire la documentazione dell’autorità giudiziaria greca riguardante le azioni realizzate dalle CCF [Cospirazione delle Cellule di Fuoco] e le sentenze contro di esse, a partire dal 2011. Poi ritiene di non doversi concedere circostanze attenuanti generiche agli imputati, visto il comportamento aggressivo mantenuto in aula e qualche offesa rivolta al codice penale, alla persona dello stesso p. m. nonché allo sbirro Quattrocchi. Per il resto riporta in toto le accuse del primo grado. Dunque, fa appello anche contro la differente qualificazione della strage, oltre che contro l’associazione a tempi alterni. Uniche varianti: ad Erika non ha richiesto la partecipazione ad associazione sovversiva ma solo l’istigazione per CNA [Croce Nera Anarchica] ed Anarhija; nessun appello contro Carlo, Patrizia e Alessandro Settepani. Inoltre, nel timore che gli sfugga di mano una delle inchieste che gli han fatto guadagnare la promozione alla Direzione Nazionale Antimafia, o nella brama masochistica di sentirsi rivolgere qualche nuova offesa anche in secondo grado, Sparagna ha chiesto di far la parte del sostituto procuratore generale in corte d’appello, dunque di portare avanti personalmente l’accusa anche in secondo grado probabilmente nella speranza di riuscire a portare in cassazione una struttura associativa più armonica e senza soluzione di continuità rispetto a quella emersa dal primo grado, per far quadrare due conti senza badare troppo alle forme.
Finito questo resoconto ci tengo a dire ancora due cose per non far sì che una condanna resti un mero dato meritevole al massimo di essere divulgato a scopo informativo.
Non dovrebbero spaventare né la gravità di una sentenza, né l’incasellamento nel codice penale delle esperienze messe all’indice. A Torino, con l’aprirsi del processo d’appello, torneranno ad essere sotto processo oltre vent’anni di storia, teorie e pratiche dell’anarchia. Fa piacere un’aula piena di compagni perché è il segnale d’un interesse per ciò che vi sta avvenendo e un modo per non lasciare che un processo si riduca a una questione personale, a un accidente della vita.
Non lo dico ragionando in termini di difesa. Pur volendo bisogna essere degli illusi a pensare di scardinare un processo con una presenza di pubblico. Lo dico invece perché nel tempo c’è il rischio che la videoconferenza porti a disertare le aule per il motivo ben più banale di non aver modo di interagire coi prigionieri. È forse in parte ciò che è successo nel nostro caso in primo grado, dove la videoconferenza ha alcune volte demotivato i solidali mentre i prigionieri aggiornavano i compagni fuori sul procedere delle udienze.
Se si vuol ragionare in termini di occasioni, un evento repressivo può anche essere uno stimolo, non certo gradevole, per discutere o litigare di mille cose. Nella mole di carte portate a processo dall’accusa non c’è solo l’ossessione di un p. m., di chi lo manovra o dei suoi sottoposti, ma una miriade di argomenti e di esperienze tangibili che il movimento anarchico ha saputo produrre. Interessarsi a tutto questo può essere un’occasione di crescita, più utile dell’ansia di mostrarsi compatti per non sfigurare davanti alla repressione.
L’inchiesta “Scripta Manent” prende a pretesto il dibattito di quei compagni che al tempo di un altro processo, quello detto Marini, seppero continuare a parlare d’anarchia senza calcolatrice tra le mani. E non fu polemica sterile. Perché se siamo abituati al fatto che i processi producono degli scazzi, è altrettanto vero che questi dovrebbero essere accompagnati da dibattiti, assolutamente vitali per un’anarchia che non voglia andare avanti per inerzia.
Qui dentro, in questi anni, si sono avvertiti più i primi dei secondi, a quanto è dato sapere a livello pubblico. Abituati ad essere scandagliati ad ogni alito di vento, si sta perdendo il senso della polemica. Le critiche sono molto spesso ritenute attacchi personali, controproducenti sotto molti punti di vista, non ultimo quello repressivo. Del resto, proprio dei miserabili come Sparagna vorrebbero forzarci a mantenere un profilo basso almeno quanto il senso critico. Già questo dovrebbe bastare a spingerci, per testardaggine, a dire la nostra. Ma non è il motivo principale.
La storia è piena di polemiche quanto di silenzi. Tra le prime, ad esempio, per parlare di rivoluzione anche in duri tempi di guerra tra gli stati, Malatesta polemizzava, nella sua “Risposta ai 16 anarchici di governo” – e basta il titolo per cogliere i toni della polemica – contro i firmatari del manifesto «interventista» di Kropotkin, Malato, Guillame, Cornelissen, Grave… Tra i secondi si può citare il diffuso lasciar correre di molti anarchici alla celebre accondiscendenza di Berkman e Goldman col bolscevismo fino a quando non arrivò la strage di Kronstadt. Per carità, non è mia intenzione ricercare precedenti illustri. Ma visto che spesso ci si sente urtati dalle divergenze a furia di vivere nelle falsate rievocazioni di un passato idilliaco in quanto a relazioni tra anarchici, voglio solo dire che il quieto vivere acritico può esser foriero di disastri più di quanto possa fare un’accesa e sincera polemica. Sono quindi assolutamente favorevole agli scazzi perché motivo di crescita per tutti i compagni, purché non se ne avvertano solo gli effetti negativi ma anche i vitali dibattiti che li generano.
Di temi su cui continuare a farlo ce ne sarebbero parecchi. La FAI è sicuramente un argomento scomodo, quasi innominabile. Le remore a nominarla sono assolutamente «super partes», investono quasi per intero il movimento anarchico italiano. Si capisce benissimo che alcuni silenzi attorno al processo derivino proprio dalla cappa di ansie e paure che gli sbirri vorrebbero creare attorno ad essa. Eppure, se guardiamo alle molte inchieste partite in questi anni vediamo che trattano di azioni antimilitariste, contro i CPR, in solidarietà agli anarchici prigionieri. Se guardiamo alle lotte in corso, ai cortei, ai blocchi e alle manifestazioni pubbliche notiamo, come è ovvio, il ricorrere di tematiche simili.
Ora guardiamo al processo “Scripta Manent”: ben tre sigle aderenti alla FAI realizzarono altrettante campagne contro gli allora CPT dal 2005 al 2007, la RAT festeggiò a suo modo il 2 giugno colpendo una caserma in un impari confronto con le bombe gettate dall’Occidente su Iraq e Afghanistan, più altre azioni e riferimenti ai prigionieri e contro la repressione, sempre oggetto di questo processo. Dunque, anche qui, lager, militarismo, repressione tra gli obiettivi. Chi colpisce firmando FAI certamente non individua obiettivi alieni all’ambito anarchico, semmai si caratterizza per un certo approccio alla lotta.
Noto invece una certa difficoltà, all’interno di molte lotte pubbliche, ad accennare a questo processo, ai temi trattati, alle campagne portate avanti e agli obiettivi colpiti, sebbene siano temi che ricorrono in quelle stesse lotte.
Va detto che quei compagni che le portano avanti non si sono assolutamente tirati indietro dal portare solidarietà ai colpiti dall’inchiesta “Scripta Manent”, pur tacendone in quelle lotte. Quindi c’è stato una sorta di sdoppiamento, una solidarietà a seconda del contesto.
Non è una questione di convergenza di lotte, ma di modi di approcciarle o eluderle. Né voglio apparire ecumenico a scoppio ritardato, tutt’altro. E’ solo triste dover rilevare fino a che punto le lotte particolari abbiano per fine le lotte stesse. Non riescono a guardare al di fuori di sé stesse, quasi accecate dalla visione ristretta, quando al contrario il patrimonio anarchico ha molto da offrire. Un patrimonio di cui si dovrebbe essere orgogliosi, sempre e ovunque, invece di ritenerlo inopportuno alle volte. Non sono certo gli spunti che mancano, semmai la buona volontà di saperli cogliere e diffondere.
Fortunatamente la solidarietà non ci è mai mancata in questi anni, da parte di nessuno. Questo va detto con chiarezza. Semmai è stata più intimorita dal fatto di poter essere strumentalizzata dalla repressione anziché interessata ad esprimersi liberamente anche coi suoi benefici contrasti intrinseci. E’ proprio questo contrasto di opinioni il miglior antidoto all’appiattimento del pensiero. Dunque ben venga.
Bisogna forse scrollarsi di dosso il timore di parlare per paura che non sia il momento adatto perché gli sbirri leggono, ascoltano, osservano… E’ una cosa, questa del controllo, che succederà sempre. L’unico modo per non girare in tondo attorno a dove vuol restringerci la repressione è non adeguarsi ad essa. Per tornare a a parlare di azione, di metodo, di strumenti… o più semplicemente per evitare di ammutolire definitivamente.
Marco
About a sentence and something more. A text by anarchist Marco Bisesti from the prison of Alessandria
I don’t deny a certain monomania. I have often had to deal with repression. I have undergone it, faced it, badly tried to understand something of it. I wrote about it for years in magazines, if anything because it concerned me and other comrades personally. Ironically, I find myself doing the same thing now for some years, but as a prisoner and along with others in the same condition, concerning the investigation that led to my arrest and that of various other comrades, with five of us being sentenced. I’d happily do without being the centre of attention, but I want to keep all the comrades informed. I want it because a trial is the culmination of various experiences that it’s good to discuss again at times in order not to let them fall to the level of futile opinionism.
In the so called “Scripta Manent” trial all sorts of things were put together. In a year and a half of court hearings – not to mention the amount of documents submitted – personal biographies were obviously dealt with regarding the accused and not only – there were historical-cop digressions on anarchy, discussion of previous judicial proceedings against anarchists, armed practices – past and present – publishing and street experiences… «A sometimes inextricable tangle», a judge opens in the premise of the sentence motivations report. It is already good news to know that anarchy is incomprehensible to women and men of law. But let’s see what they write at the end of the first grade trial. [Everything in inverted comas («») is taken from the sentence motivations report].
First of all the FAI [Federazione Anarchica Informale, “Informal Anarchist Federation”]. In order to describe it in the sentence, they have recourse to set theory. There is a smaller set that responds to the canons of an actual subversive-terrorist association with a stable structure, lasting in time, which «stands above the persons and groups that are part of it». This is the «FAI-association». Then there is a bigger set that contains the former. The bigger set is the way the FAI-association wants to present itself to the public, i.e. as an instrument that exists only in the moment of action, capable of communicating through claims and with no direct knowledge. It has therefore characteristics that it is possible to find in various communiques signed FAI, from its origin up to the present day, as well as in the declarations and discussions by comrades about it. Allegedly it contains, besides the FAI-association, also the various FAI cells «authorized by the creators of the acronym to use it, but which are not part of the FAI structure». This set is what the judge calls the «FAI method», considering it a mask used by the association with the sole aim of protecting itself from repression. This is because the FAI-method, unlike the FAI-association, doesn’t correspond to the canons of article 270 bis of the law. Allegedly the association made fun of cops and simple-minded comrades with this mask, partly to protect itself, partly to exploit the actions of unaware «lone wolves», which never hurts.
This vision of anarchy, mid-way between Babeuf-style sectarianism and cowardice – a vision which never emerged during the trial – lends itself to being a judicial loophole that spares the judge from dealing with all the previous judicial acquittals concerning the FAI in regard to the 270 bis law. These are not taken into consideration because in all those precedents the FAI-method was allegedly put on trial.
Another set, comprising the two just described and other FAI groups present outside the Italian State, is that called FAI-FRI, in turn re-included in the “Internazionale Nera” [“Black International”].
In order to give a minimum base to the theory of the sets, the axiom the sentence refers to is the most recent jurisprudence in times of Islamic terrorism, of which the same judge is one of the most fervent producers, at least in the province of Turin, as he is often called on to decide over some apologist via Facebook’s fate. Hence the reference to lone wolves, «individual terrorism typical of the Islamist matrix, but also retraceable in the anarchist one, based on a horizontal model». The parallel carries on by attributing to both ISIS and the FAI a horizon of struggle so vast that it takes advantage of «any act of violence and terrorism» and obtaining contributions even from unknown people.
Some of those convicted, already in the past tried for 270 bis concerning the FAI, are being granted exclusion from a second trial for the period under examination in previous investigations. So the association results in fits-and-starts, operating only for certain time segments. The kneecapping of Adinolfi [Genoa, May 7th, 2012, claimed by “Nucleo Olga” of FAI-FRI] thus enters a non-operational period for Alfredo and an operational period for Nicola. «An inextricable tangle», in fact, of which the judge seems to come out more confused than he had already appeared in his premise.
Non-operational periods are therefore covered by previous judicial acquittals, but the Turin judge ends up convicting people precisely re-evaluating elements which had been considered un-influential in those very trials. He thinks it possible to do so only now because «exclusively the careful analysts of the Digos of Turin» would finally have made it possible to read all this in a cohesive way.
Great emphasis is given to a piece of writing of the time of the Marini trial signed by several comrades, including some of those on trial. A piece of writing in which the judge discerns the FAI thought in embryonic form. Paradoxically, therefore, according to him, in the 1990s some of those on trial publicly expressed the need to give themselves an armed organization in a text signed with names and surnames, while from 2003 onwards in anonymous texts spread through FAI they avoided letting anything slip for fear of the consequences.
This text, along with the «overall vision» (ironically personified by a factotum cop of the Digos of Turin involved in the investigation, named Quattrocchi [four-eyes]) would allow, as I was saying, old elements already examined and discarded in other investigations to become «serious evidence» as now they lead to, among other things, identifying Alfredo as the promoter of one of the founding FAI groups, the “Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare)” [“Fire and in Affinity Crafts Cooperative (occasionally spectacular)”]. In particular this happens through the fishing out of a DNA expert’s report previously discarded by another judge. From this point, like a cascade, with the same procedure and considering relations between comrades as «qualified contacts», the remaining convictions are deduced as concerns the association. Five in total.
According to the sentence, this nucleus of five people is alleged to have maintained relations on a different more subtle level with the rest of the world, a level where the FAI presents itself for what it is not, camouflaging and shielding behind other unaware comrades, in both publishing groups and the wider world of actions being part of the FAI-method.
In regard to magazines and blogs, instigation to commit crime is not recognized because for the judge subversive propaganda activity was put in act, a crime by now abrogated.
Regarding the “Fronte Rivoluzionario Internazionale” [“International Revolutionary Front”], «elements are missing that demonstrate the existence of a multi-subjective organism capable of having an autonomous will compared to that of the individuals or single national associations». It is established that communication between groups happened only through action and with no reciprocal knowledge, thus excluding the FRI from the application of the canons of 270 bis.
«Operazione parchi puliti» [Operation clean parks] by “Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare)” is attributed to Alfredo, an operation against what were called CPTs at the time (attacks on the RIS [“Scientific Investigations Department”] of carabinieri in Parma, parcel bomb to Cofferati), even if he is acquitted of the crime of «terrorist attack» – but he is convicted for «fabrication, possession and transport of an explosive device in a public space» – in the case of Parma, as the bomb found unexploded had the switch positioned on OFF. He’s also been attributed the three phases of «Operazione FAI DA TE» [Operation do it yourself], again against CPTs, of the RAT [“Rivolta Anonima e Tremenda”, “Tremendous and Anonymous Revolt”] (attack on a Carabinieri Training Centre in Fossano, parcel bombs to Coema, Chiamparino and Fossati, three explosive devices at the Crocetta neighbourhood in Turin). He is convicted of being the promoter of the association in reference to time segments extending from 2003 to August 2007 and from 23rd October 2013 to the present day. He is acquitted of involvement in the parcel bombs against CPTs by “Narodnaja Volja”. Twenty years’ prison.
Anna is sentenced to 17 years. Unlike Alfredo, she is acquitted also for «Operazione parchi puliti». Moreover, the denomination of massacre regarding the attacks in Fossano and Crocetta changes for both of them. From political massacre to common massacre. This is because, the sentence reads, «even if a person has the qualification of public official, he cannot represent the personality of the State and an attack on a single individual cannot automatically transcend into an attack on the State».
Nicola is sentenced to 9 years as promoter of the association for the entire period of time, from 2003 to the present day.
Sandro and I are sentenced to 5 years as participants. Sandro for the entire period, me from 18th May 2010 to the present day.
Francesca and Alessandro are acquitted of involvement in the bomb against the court of Civitavecchia carried out by “Comitato pirotecnico per un anno straordinario” [“Fireworks committee for an extraordinary year”, explosive attack on January 12th, 2016].
18 comrades are acquitted of all charges.
As concerns experts’ reports brought to the trial by prosecutors, no attention is given to the linguistic one, which absurdly is precisely the one that inspired the name of the investigation. A graph report establishes the impossibility of identifying the author of a stencilled piece of writing, and the «medium probability» of identifying that of a manuscript. Prosecutors’ DNA survey concerning the attack in Parma, as said, is taken into account.
As the first grade comes to an end, Sparagna [Roberto Sparagna, the public prosecutor in the case] submits his appeal against the sentence, while he accepts the associative structure outlined by the judge, even if it completely distorts the one he put forward in his prosecution hypothesis. In so doing he passes from an attitude worth a doormat and reverential towards the court to that of a pissed-off bullied pre-adolescent whose little toy has been taken away. In his hysteria he demands that some other witness be heard in court in the second grade, and the acquisition of the Greek judicial authority’s documentation regarding actions carried out by CCF [“Conspiracy of Cells of Fire”] and relative sentences from 2011. Then he states that generic attenuating circumstances should not be granted to those on trial, given the aggressive behaviour held in court and some offensive words against the penal code, the prosecutor himself and the Quattrocchi cop. As for the rest, he reiterates all the charges of the first grade. So he is also appealing against the renaming of massacre with offence and the idea of an association operating at given times. The only variations: he didn’t request that Erika be involved in participating in a subversive association but only that she be charged with instigation [to commit crime] regarding CNA [Croce Nera Anarchica, “Anarchist Black Cross”] and Anarhija; no appeal against Carlo, Patrizia and Alessandro Settepani. Moreover, fearing that one of the investigations that earned him promotion to National Anti-mafia Director might slip out of his hands, or in his masochistic desire to hear some offensive words once again in the second grade, Sparagna demanded to be appointed general public prosecutor’s assistant in the court of appeal, thereby carrying out the prosecution case personally in the second grade as well, probably hoping to get to cassation with a more harmonious associative structure, and one without interruption, than that which emerged in the first grade, so as to make the accounts square without too much care for protocol.
As I finish this report I want to say a couple of things so that a sentence doesn’t remain a mere fact worth no more than being spread as information.
Neither the gravity of a sentence nor the filing of the experiences on trial in the penal code should scare. As the appeal trial begins in Turin, over twenty years of anarchist history, theories and practices will be back on trial. It’s good to see a court full of comrades because it’s a sign of the interest for what is happening and a way to prevent a trial from being reduced to a personal question, an accident of life.
I’m not saying this in terms of defence. Even if we wanted we would be deluded if we believed that a trial could be unhinged by the presence of public in court. On the contrary, I’m saying this because there is the risk that videoconferencing might in time lead to deserting the courts for the very banal reason that there would be no way to interact with the prisoners. And perhaps this is what in part happened in our case during the first grade, where videoconferencing sometimes demotivated people in solidarity and prisoners updated comrades outside about the trial.
A repressive event can be also a stimulus, certainly not a pleasant one if we want to think in terms of occasions to discuss or quarrel over a thousand things. In the bulk of papers brought to the trial there is not only the obsession of a prosecutor, of those who manoeuvre him and his subordinates, but also a myriad of arguments and tangible experiences that the anarchist movement was able to produce. To take an interest in all this can be an occasion for growth, more useful than the anxiety of showing oneself to be united so as not to cut a poor figure in the face of repression.
The “Scripta Manent” investigation takes the pretext of the debate of those comrades who at the time of another trial, that known as Marini, were able to continue to talk about anarchy without a calculator in their hands. And it wasn’t sterile polemics. For if we are accustomed to the fact that trials produce arguments, it is also true that the latter should go alongside discussions, absolutely vital for an anarchy that doesn’t want to carry on by force of habit.
Inside here, over these years, the former [the arguments] were more noticeable than the latter [the discussions], according to what has been made known on a public level. Accustomed to be sounded out at any breath of wind, we are losing the sense of polemics. Criticisms are often perceived as personal attacks, counter-productive in many respects, not least the repressive one. After all, precisely miserable people such as Sparagna would like to force us to keep a low profile, at least in a critical sense. Just this should be sufficient to push us, out of stubbornness, to having our say. But it’s not the main reason.
History is as full of polemics as it is of silences. An example of the former, talking about revolution even in hard times of war between states, in his “Risposta ai 16 anarchici di governo” [“Reply to the 16 pro-government anarchists”] – and the title is sufficient to grasp the tone of the polemic – Malatesta argued against those who signed Kropotkin’s «interventionist» manifesto, Malato, Guillame, Cornelissen, Grave… As an example of the latter we can mention the widespread let-it-go of many anarchists indulged in the face of Berkman’s and Goldman’s famous condescension with bolshevism until the Kronstadt massacre. For goodness’ sake, it’s not my intention to look for illustrious precedents. But given that one often feels offended by divergences due to living in the falsified evocations of an idyllic past concerning relations between anarchists, I just want to say that calm a-critical living can be more harbinger of disasters than heated and sincere polemics. Therefore I’m absolutely in favour of arguments because they lead to growth in comrades, provided we don’t only perceive their negative sides but also the vital discussions that generate them.
Topics on which to continue to do so are not lacking. The FAI is certainly an uneasy argument, almost unmentionable. The scruples in mentioning it are absolutely «above the parts», they affect the Italian anarchist movement almost entirely. You can very well understand that much silence around the trial derives precisely from the blanket of anxiety and fear that cops want to create around it. But if we look at the many investigations of recent years we see that they deal with antimilitarist actions, actions against CPRs, solidarity with anarchist prisoners. If we look at ongoing struggles, marches, blocks and public demonstrations, we obviously note the repetition of similar arguments.
Now let’s look at the “Scripta Manent” trial: no less than three acronyms belonging to the FAI carried out as many campaigns against former CPTs from 2005 to 2007, the RAT celebrated on 2nd June in its own way by striking a military barracks in an uneven comparison with the bombs dropped on Iraq and Afghanistan by the West, plus other actions and references to prisoners and against repression, always present in this trial. So also here, concentration camps, militarism and repression among the objectives. Anyone who strikes signing FAI certainly doesn’t single out objectives alien to the anarchist area, on the contrary they are characterized by a certain approach to the struggle.
On the contrary in many public struggles I note a certain difficulty in mentioning this trial, the issues it deals with, the campaigns carried out and the targets struck, even if they are questions that recur in those very struggles.
It should be said that the comrades who carry out these struggles absolutely never failed to give solidarity with those struck by the “Scripta Manent” investigation, even if they didn’t mention it in those struggles. So there is a sort of splitting-in-two, a sort of solidarity according to context.
It’s not a question of convergence of struggles but of ways of approaching or eluding them. Nor do I want to appear ecumenical all of a sudden, quite the opposite. Only it’s sad to have to see up to what point particular struggles are ends in themselves. They can’t see beyond themselves, almost blinded by a limited vision, when instead the anarchist legacy has much to offer. A legacy of which one should be proud at all times and in all places, instead of thinking it inopportune at times. It’s certainly not the ideas that are lacking, but the will to be able to grasp and spread them.
Fortunately we never lacked solidarity over these years, from anyone. This must be said clearly. If anything it [solidarity] was more scared of possibly being exploited by the repression than interested in expressing itself freely, along with its beneficial intrinsic contrasts. Precisely this contrast of opinions is the best antidote to the flattening of thought. So it’s very welcome.
Perhaps we should get rid of the fear of talking because we are afraid it might not be the right moment as the cops are reading, listening, watching… Control is something that will always be there. The only way not to go round in the circles repression wants to restrict us to is to not adapt to it. In order to start talking about action again, methods, instruments… or simply to avoid remaining silent for ever.
Marco